Fandom: Persona 4
Personaggi: Naoto Shirogane, Lopmon, Altri
Prompt: M1 – colpo di scena
Note: Digimon!AU
Parole: 4000
 
Foresta Nebbiosa, Isola di File
1° avvio del primo periodo della Tigre Sacra, ciclo 2881
 
Quando quel fortissimo bagliore emesso dall’enorme schermo della più grande piazza di Tokyo l'aveva folgorata, Naoto aveva chiuso con forza gli occhi e aveva stretto i pugni, cercando di aggrapparsi ad ogni sensazione per riuscire a capire cosa stesse realmente succedendo, così come le era stato insegnando da quando aveva iniziato a fare il suo lavoro.
Quella era la regola numero uno: rimanere vigili e attenti, sempre, indipendentemente da quale la situazione fosse.
Per questo, mentre sentiva il suo corpo sollevarsi da terra, la ragazza si era morsa con forza le labbra, trattenendosi anche dall'istinto di urlare per evitare che una qualunque informazione sfuggisse al suo udito.
Ma, in realtà, quello sforzo poteva essere considerato totalmente inutile.
Il suo udito non stava più funzionando.
L'ultima cosa che Naoto aveva sentito era il suo peso abbandonare il suo corpo, come se fosse diventata leggera come una piuma.
Il canto della bambina, che poche ore prima le era apparso in sogno, si stava adesso facendo sempre più forte, come se le pareti di quella stretta stanza blu fossero nuovamente intorno a lei.
La ragazza aprì gli occhi, cercando di capire dove si trovasse, invano.
Era nel buio più totale.
Era come se la vista le fosse stata privata da un essere superiore, contro cui lei non aveva alcuno scampo.
E dopo, pure il tatto e il gusto vennero a meno.
Non riusciva a sentire più niente.
E poi...
...poi arrivò il botto.
In quel momento, Naoto non sapeva se avesse davvero perso conoscenza o meno.
Ma, quando la ragazza riaprì gli occhi, la prima cosa che notò era che il tetro buio che era stata costretta a osservare pochi istanti prima se ne era completamente andato.
Adesso, al suo posto, si trovavano così tanti colori che la ragazza fu costretta ad assottigliare nuovamente le palpebre, mentre una fortissima fitta di dolore la colpiva alla testa.
«Dove… dove sono?»
Quel sussurro scivolò fuori dalle sue labbra senza che neanche lei se ne rendesse conto, nel momento in cui i suoi occhi si erano finalmente abituati al mondo che la circondava.
Il luogo in cui la ragazza si era risvegliata era tutto fuorché a lei conosciuto e l’unica deduzione che poteva fare era quella di trovarsi in una foresta.
Ma non era per niente facile stabilire quanto in profondità essa si estendeste.
La detective riusciva infatti a vedere solo pochi degli alberi che la circondavano, soprattutto a causa di una fitta nebbia che avvolgeva l'intera area, impedendo di raggiungere con lo sguardo i luoghi più lontani.
Nessun suono giungeva alle sue orecchie, se non quello di...
La ragazza si portò una mano al petto, rendendosi conto solo in quel momento di stare ansimando.
Doveva calmarsi.
Non importava il luogo in cui si trovava in quel momento, sicuramente qualcuno sarebbe venuto a cercarla.
“Mantieni la calma Shirogane.”
Dopo essersi detta quelle parole, Naoto iniziò a focalizzarsi sul suo respiro, cercando con tutta se stessa di ricominciare ad averne uno che fosse il più regolare possibile.
Doveva assolutamente tornare in sé e cercare una spiegazione logica a quello che le era successo.
Ce la poteva fare.
Non doveva essere poi così difficile, ricordava perfettamente cosa le era successo.
Non appena la scena di poco prima si ricostruì nella sua mente, però, la  detective sentì nuovamente l’ansia farsi strada nel suo cuore.
Era assurdo.
Tutto quello che ricordava non aveva, in realtà, alcun senso.
«Shirogane. Calma.» si ripetè nuovamente, questa volta ad alta voce, come per essere sicura che il messaggio arrivasse a destinazione.
Poteva farcela.
Doveva solo pensarci a mente fredda e tutto avrebbe acquistato un sens-
Un rumore secco interruppe il silenzio in cui la ragazza era immersa e Naoto alzò lo sguardo, puntandolo tra le fronde alla sua sinistra.
L’unica cosa che era visibile erano i pochi spiragli di luce che riuscivano a superare le fronde degli alberi e che illuminavano la fitta nebbia che la circondava.
Nonostante ciò, la ragazza trattenne il respiro, continuando ad osservare il punto da cui quello strano rumore era giunto.
Poteva percepirlo.
Era come se qualcosa la stesse osservando.
Naoto assottigliò lo sguardo, mentre tutti i suoi pensieri e le sue domande di poco prima smettevano di ronzarle in testa, lasciando spazio solo a piani immediati di fuga.
Si alzò lentamente, continuando a mantenere il suo sguardo sui cespugli fin troppo vicini a lei, mentre la sua mano destra raggiungeva la fondina che si trovava legata alla sua cintura.
Un piccolo senso di sollievo si fece strada dentro di lei non appena le sue dita esili sfiorarono la pistola che si trovava lì, al suo interno.
Ma quel momento durò poco.
Un suono più flebile, come solo un leggero frusciare di foglie arrivò dalle sue spalle e Naoto si voltò immediatamente, mentre la mano destra afferrava con forza la pistola e la puntava verso la nebbia.
Niente, lì non c'era nessuno.
La ragazza continuò a tenere la pistola puntata davanti a sé, cercando di fare in modo che il suo respiro diventasse il più silenzioso possibile.
Non sapeva neanche lei per quanto tempo rimase in quel modo, con la pistola stretta nella mano destra e lo sguardo che scrutava l'orizzonte, alla ricerca di qualsiasi minimo movimento.
E fu allora che se ne rese conto.
Le fievoli luci, che fino a quel momento aveva creduto essere i pochi raggi del sole che riuscivano a passare oltre la nebbia, erano… vive.
Alcune di loro sparivano e apparivano a ritmo, altre si spostavano da un albero all'altro, altre si facevano più vicine...
Naoto dovette usare tutte le sue forze per non mettersi a urlare, mentre le sue dita stringevano con più forza la pistola.
Quelli erano occhi. Era circondata.
“Mantieni la calma.”
Non doveva assolutamente far capire al suo nemico di essere stato individuato.
Altrimenti...
“Mantieni la calma!”
Giusto.
Doveva restare il più lucida possibile.
Se si fosse fatta prendere dal panico, sarebbe sicuramente morta.
Cercando di comportarsi come se niente stesse succedendo, la ragazza fece un piccolo passo indietro, mentre i suoi occhi si muovevano da una parte all’altra, con l’unico intento di trovare anche solo un piccolo spiraglio dal quale scappare.
Ma quello che accadde dopo fu troppo veloce per lei da prevenire.
Un altro suono, questa volta molto più vicino degli altri, arrivò dalla sua destra e Naoto fece appena in tempo a spostarsi poco più indietro per veder comparire di fronte a lei un'ombra nera.
La ragazza puntò immediatamente la pistola contro il nemico, pronta a sparare, quando l’arma rischiò seriamente di caderle dalle mani.
Non era possibile.
Quello che era lì, a pochi centimetri da lei, era un ragno grande almeno quanto un gatto.
Le otto zampe dell’aracnide, lunghe almeno quaranta centimetri, erano marroni e pelose e, alla loro base, si trovava un piccolo aculeo cremisi.
Il suo corpo era rotondo e a strisce gialle e marroni, mentre il suo volto era come se fosse coperto da una maschera dorata, che lasciava intravedere solo i suoi otto occhi celesti, così luminosi da sembrare delle lampadine.
Ma fu quando quelle stesse luci si puntarono si puntarono nuovamente verso di lei che un urlo di puro terrore sfuggì dalle labbra di Naoto e il suo dito premette il grilletto, mentre quel mostro aveva aperto la bocca e le mostrava i denti affilati.
Il ragno (o almeno, quell'essere chiaramente geneticamente modificato che condivideva il suo stesso aspetto) lasciò andare uno straziante lamento di dolore e indietreggiò di qualche passo, i suoi movimenti si fecero man mano sempre più rigidi e, infine, si accasciò a terra, non muovendosi più.
Per un attimo silenzio calò nella foresta, mentre la detective non poteva far altro che trattenere il respiro, osservando delle piccole strisce luminose, caratterizzate da delle particolari lettere, avvolgere il corpo del mostro, mentre quest’ultimo si dissolveva lentamente nell’aria.
Ma la ragazza non ebbe il tempo di chiedersi cosa quelle strane scritte significassero.
Neanche mezzo secondo dopo lo sparo, un fortissimo boato si propagò intorno a lei e tantissimi ragni, uguali a quello che Naoto aveva appena ucciso, saltarono all'interno della radura, per circondarla.
Ma, mossa da uno spirito di sopravvivenza che neanche lei era a conoscenza di avere, la ragazza aveva già iniziato a correre e si era buttata tra le fronde con meno "luci" al loro interno, mentre tutti i suoi nemici si accavallavano uno sopra al punto in cui lei si trovava fino ad un secondo prima.
Non che questo bastasse per fermarli.
Non appena si resero conto di essere stati raggirati, i mostri si voltarono nuovamente verso di lei e iniziarono a seguirla all'interno della foresta.
Naoto, dal canto suo, non aveva neanche il coraggio di voltarsi a guardare ciò che stava succedendo alle sue spalle.
L'unica cosa che la ragazza poteva fare in quel momento era continuare a correre, sperando che prima o poi sarebbe riuscita a sfuggire alla morte che, invece, le sembrava oramai sempre più vicina.
Non che ci fosse bisogno di voltarsi per farsi un'idea di ciò che stesse succedendo.
Il rumore delle centinaia di zampe che colpivano il suolo era fin troppo esplicito per i suoi gusti.
Alcuni ragni tentarono anche di prenderla di sorpresa, attaccandola dai lati.
Uno di loro si attaccò al suo braccio e Naoto urlò, iniziando a muoverlo con una forza e una velocità tali da far perdere l'equilibrio al suo nemico.
Ma, per quanto si sforzasse, la ragazza sapeva che non poteva andare assolutamente avanti così.
Non importava quanto corresse.
Prima o poi i suoi movimenti si sarebbero fatti più lenti e la sua corsa sarebbe cessata.
Ne era consapevole e, come temeva, ne erano consapevoli anche quei mostri.
Ma, nonostante questo, Naoto non poteva smettere di correre.
Ogni passo che lei faceva, era seguito dall'assordante rumore di altre centinaia, se non migliaia, zampe che toccavano il terreno, facendolo addirittura tremare.
“Mantieni la calma!” si ripeté nuovamente lei, continuando a stringere con forza la pistola nelle sue mani.
Magari non tutto era davvero perduto.
Se fosse riuscita a raggiungere la fine di quella foresta, forse i suoi inseguitori l'avrebbero lasciata in pace.
Ma quella non era certo un'impresa facile.
Per quanto corresse, lo scenario intorno a lei non cambiava minimamente.
La nebbia che avvolgeva il luogo era fitta, sempre più fitta, e, paradossalmente, invece di abituarsi a essa era come se i suoi occhi le diventassero sempre più estranei, impendendo a Naoto di vedere cosa ci fosse anche solo davanti a lei.
Anche la vegetazione si stava rivelando un ostacolo non da poco.
Ogni singolo albero era intrecciato agli altri, spesso rendendo la strada su cui lei stava correndo un sentiero obbligato, in quanto sarebbe stato praticamente impossibile cercare vie alternative tra i rami e i tronchi di legno.
E, se questo da una parte poteva essere un vantaggio, dall'altro era invece la sua condanna.
Certo, così come lei era costretta a seguire il sentiero, lo erano anche i tantissimi ragni che le stavano alle calcagna: nessun nemico sarebbe potuto apparire ai suoi lati e prenderla di sorpresa, impedendole così di scappare.
D'altro canto...
...e se il sentiero non avesse portato al limite della foresta, ma al suo interno?
Naoto non fece neanche in tempo a considerare quell'ipotesi, in quanto il terreno sotto ai suoi piedi mancò improvvisamente e lei lasciò andare un acuto urletto di sorpresa prima di cadere a terra.
La detective si rannicchiò, mentre il suo corpo veniva sbalzato sul terreno e iniziava a rotolare giù dall’inatteso pendio.
Non appena toccò nuovamente la terra ferma, Naoto si tirò immediatamente su, nonostante le fortissime fitte di dolore che arrivavano da ogni centimetro del suo corpo.
Doveva continuare a scappare.
Se fosse rimasta ferma in quel punto, quei ragni l'avrebbero sicuramente raggiunta.
Fu solo in quel momento che la ragazza si rese conto che, intorno a lei, regnava il silenzio più totale.
Nessuno strano verso di attacco, nessuna zampa che faceva rumore colpendo il terreno. Niente di niente.
La detective rimase immobile e trattenne il respiro, cercando di captare anche il più lieve dei suoni.
Che i ragni avessero continuato a correre senza accorgersi che lei fosse caduta…?
Per la prima volta da quando si trovava in quell’assurdo luogo, Naoto lasciò andare un sospiro di sollievo, mentre il cuore le batteva all'impazzata nel petto e le sue gambe perdevano le forze, facendola cadere in ginocchio.
Ce l'aveva fatta. Era fuggita da quei mostri.
Ora l'unica cosa che doveva fare era trovare un'uscita da quella foresta e capire cosa stesse succedendo.
La detective si alzò, ignorando la fitta di dolore che le sue gambe le lanciarono, e iniziò a guardarsi intorno.
La nebbia, così come gli alberi e le piante, non si trovava in quel luogo, permettendole, finalmente, di vedere cosa la circondasse.
L'antro in cui era caduta era buio e circondato da pareti ripide e rocciose, probabilmente molto difficili da scalare.
Un'apertura, diametralmente opposta al punto in cui si trovava lei, si apriva nella parete, lasciando lo spazio ad un tunnel che pareva essere stato scavato artificialmente, mentre in alto si trovava l'uscita e la ragazza dovette addirittura aguzzare lo sguardo per riuscire a vederla.
Lì, tra le rocce, vicino alla parete su cui era rotolata, vi era una piccola fessura da cui era visibile solo una fitta coltre di nebbia.
Naoto abbassò nuovamente lo sguardo e posò una mano sulla roccia fredda di fronte a lei.
Anche se non era sicuramente consigliabile perdersi tra le gallerie di quello strano posto, tentare di scalare quella parete tanto ripida quanto scivolosa era un'opzione ancora peggiore.
In più, se fosse anche riuscita a raggiungere la fessura da cui era entrata, non avrebbe avuto idea di dove fosse l'uscita da quella maledetta foresta...
Sì, la galleria era sicuramente l'opzione migliore.
Dopo essere arrivata a quella conclusione, la ragazza fece per voltarsi e per dirigersi verso la parte opposta di quell'antro, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Lì, poco lontano da lei, pendeva un filo quasi trasparente.
La detective aguzzò lo sguardo, notando solo in quel momento che quel filo non era unico.
Centinaia, se non migliaia, di filamenti penzolavano dal soffitto, e arrivavano fino a terra.
Un brivido le corse lungo la schiena e Naoto staccò il palmo dalla parete, rendendosi conto solo in quel momento di quanto quella fosse appiccicosa.
Si portò la mano al volto, osservando con attenzione i numerosissimi e sottilissimi fili che la ricoprivano.
“Sembra una ragnatela...”
Quando quel pensiero risuonò nella sua mente, la ragazza alzò di scatto lo sguardo, mentre il sollievo che aveva provato poco prima stava piano piano scomparendo, lasciando spazio solo alla paura.
Quelle strane ragnatele erano ovunque e ricoprivano completamente sia le pareti che il suolo...
...e anche il suo corpo.
Non c'erano dubbi.
Quello in cui Naoto si trovava non era un luogo sicuro.
Era un nido.
La ragazza si voltò di scatto, iniziando a correre verso la galleria che si trovava dall'altra parte dell'antro.
Quando era ormai a metà strada, però, un rumore arrivò dall'alto e lei si gettò istintivamente all'indietro, prima che un'enorme figura cadesse sul suolo, emettendo un fortissimo boato.
La detective afferrò la pistola dalla fondina e alzò lo sguardo, puntando l'arma davanti a sé e preparandosi a colpire il nuovo nemico che si era palesato.
Non appena vide ciò che si trovava di fronte a lei, però, Naoto dovette appellarsi a tutte le sue forze per non far cadere la pistola al suolo.
Lì, a neanche due metri da lei, vi era un essere molto più spaventoso dei mostri che poco prima l'avevano inseguita.
Doveva essere la loro madre.
Il ragno contro cui la detective continuava a puntare la pistola era molto più grande di quelli da cui era scappata.
Sei delle sue otto zampe erano lunghe almeno quanto due braccia di un uomo adulto ed erano completamente ricoperte da un leggero pelo nero, con degli artigli rossi che spuntavano dalla loro punta; mentre le due zampe anteriori erano prive di pelo e mostravano un colore violaceo, quasi malato, e si concludevano con delle vere e proprie mani rosse.
Il suo corpo era formato da un'enorme bolla nera, con sopra dipinta l'immagine di un teschio.
E il suo volto...
Il suo volto era sicuramente uno degli aspetti più terrificanti.
Metà del viso di quel mostro sembrava essere completamente nascosta da una strana maschera dorata, simile a quella che si trovava sul viso dei ragni più piccoli di poco prima, con due corna appuntite ai lati, ma che Naoto capì essere in realtà parte della sua stessa faccia nel momento in cui vide i nove occhi verdi che si trovavano su questa.
Sotto di essa, la sua pelle presentava lo stesso colore violaceo delle sue zampe anteriori ed era spaccata in quattro, creando così l'apertura di quella che doveva essere la sua bocca.
Naoto fece un passo indietro, mentre poteva sentire il suo intero corpo tremare.
Doveva essere un sogno.
Mentre poteva ancora esserci una spiegazione logica per i "piccoli" ragni che aveva visto poco prima, un aracnide di quelle dimensioni non poteva certo essere reale.
Sì, quello doveva essere un sogno.
Sì sarebbe svegliata presto, bastava solo riuscire a smettere di dormire.
Il nemico di fronte a lei aprì la bocca, mostrando le sue quattro diverse fila di denti affilati e la sua lingua rossa, e la detective si lanciò istintivamente di lato, prima che una spessa ragnatela venisse sparata dalle fauci del ragno e colpisse precisamente il punto in cui, un istante prima, lei si trovava.
No. Era inutile sperarci. Quello non poteva essere un sogno.
Quando il nemico si voltò nuovamente verso di lei, Naoto non ci pensò due volte.
Il suo dito premette il grilletto e il rumore dello sparo riempì il nido, mentre il proiettile volava direttamente verso il mostro, colpendolo al volto e... non facendogli assolutamente niente.
La già poca speranza che Naoto aveva avuto fino a quel momento iniziò a vacillare, mentre ricaricava la pistola e faceva esplodere un altro colpo.
E poi un altro. E poi un altro ancora.
Ma non c'era niente da fare.
I proiettili che colpivano la sua maschera dorata venivano sbalzati ai lati del suo volto, mentre i pochi che arrivavano alla parte più bassa della sua pelle causavano solo danni superficiali, pari ad una puntura di zanzara.
Nel frattempo, il ragno continuava ad avvicinarsi sempre di più a lei e Naoto, di rimando, faceva dei passi indietro, cercando con tutta se stessa di rimanere il più lucida possibile.
Quando anche l'ultimo proiettile presente nella sua pistola venne respinto, la detective abbassò l'arma, mentre la sua schiena toccava la parete rocciosa dell'antro.
Era la fine.
Il mostro era ormai a pochi centimetri da lei e, anche se le sembrava quasi impossibile, Naoto poteva giurare di vedere come una luce riflessa nei suoi occhi, come se si stesse divertendo a vederla tentare di difendersi, senza alcuno scampo.
Ma, oramai, non c'era niente che lei potesse fare.
Il ragno aprì nuovamente la sua mostruosa bocca e la ragazza chiuse gli occhi, sperando che, almeno, la ragnatela che presto l'avrebbe avvolta l'avrebbe uccisa in modo indolore, prima che quelle temibili fauci potessero affondare nella sua carne.
Il suono della ragnatela che veniva sparata ad alta velocità verso di lei riempì il silenzio che si era creato e Naoto strinse con più forza le palpebre, pronta al colpo.
«Scappa!»
Ma niente la colpì.
Un ringhio irritato, seguito da un forte lamento di dolore, risuonò nel nido e la ragazza aprì gli occhi, per trovarsi davanti una scena a dir poco surreale.
La faccia del ragno era ricoperta dalla stessa ragnatela che il mostro aveva sparato e il suo corpo era piegato all'indietro, come se ci fosse qualcuno sul suo addome.
E fu in quel momento che lo vide.
Una piccola figura marrone, non facile da distinguere a quella distanza, si trovava sopra il mostro e lo aveva afferrato per la chioma, continuando a tirarla all'indietro.
Poi, la figura saltò in aria e iniziò a girare, come se fosse un tornado, tornando a schiantarsi neanche un secondo dopo sul nemico che, sorpreso, lasciò andare un forte lamento di dolore, prima di cadere a terra.
Prima ancora che Naoto potesse capire cosa stesse succedendo, però, il suo soccorritore saltò di fronte a lei e le afferrò la mano.
«Dobbiamo scappare!»
Con una forza decisamente improbabile per la sua piccola stazza, l'essere iniziò a correre, trascinandosi dietro la detective che, frastornata, non poté far altro che seguirlo, mentre questo entrava nel tunnel che il nemico aveva bloccato fino a quel momento.
Un urlo di rabbia arrivò dalle sue spalle e Naoto si voltò, riuscendo a vedere con la coda dell'occhio il ragno che, con incertezza, si rialzava sulle sue gambe e guardava nella loro direzione, iniziando a seguirle.
«Non guardare indietro, pensa a correre!» le urlò il suo soccorritore, continuando a sfrecciare nel tunnel.
«Cosa è quel coso?!»
La ragazza sapeva che quello non era il momento adatto ad una domanda del genere, ma quelle parole scivolarono fuori dalle sue labbra prima che lei potesse fermarle.
Ma, come prevedibile, l'essere non le rispose, ma svoltò bruscamente a destra e iniziò a correre in una galleria più stretta della precedente, costringendo Naoto a stringersi nelle spalle per non rimanere schiacciata tra le pareti.
Nel farlo, però, la ragazza inciampò nei suoi stessi piedi e cadde in avanti, sopra la creatura che, non aspettandoselo, non poté minimamente schivarla.
Neanche un secondo dopo, la mano rossa del ragno si inserì nella fessura, tentando di afferrarla.
La detective lasciò andare un urlo di puro terrore quando le dita del mostro arrivarono a pochi millimetri da lei... per poi fermarsi.
Il nemico lasciò andare un grugnito di frustrazione, mentre cercava di far entrare la mano più in profondità per poterla afferrare.
Nel frattempo Naoto si era alzata nuovamente in piedi, aveva afferrato la povera creatura dolorante e si era allontanata ulteriormente dalla fessura, mentre il cuore continuava a batterle con forza nel petto e il respiro si faceva sempre più affannoso.
Non sapeva neanche lei per quanto tempo restò lì, immobile, ad osservare la mano del mostro che tentava di avvicinarsi di più possibile.
Poi, dopo aver lasciato andare un ultimo ringhio di frustrazione, il ragno ritirò l'arto e riprese a camminare nel tunnel, tornando nella direzione da cui era venuto.
Per l'ennesima volta da quando si era risvegliata, le gambe di Naoto cedettero nuovamente e la ragazza cadde in ginocchio, mentre le lacrime che fino a quel momento aveva trattenuto avevano iniziato a offuscarle la vista.
Ce l'aveva fatta.
Era riuscita a salvarsi di nuovo.
«A-Ahia.»
Solo quando un leggero lamento di dolore arrivò alle sue orecchie, si rese conto di star stringendo con così tanta forza la creatura, che poco prima aveva anche schiacciato al suolo, da doverle rendere difficile anche respirare.
«S-scusa!» esclamò Naoto con una voce molto più femminile e acuta del solito, aprendo immediatamente le braccia e lasciando andare l'essere che cadde al suolo, tossendo.
«N-non preoccuparti.» rispose poi, voltandosi verso di lei e mostrandole per la prima volta il suo volto.
Quello fu il primo momento in cui la detective poté osservare la creatura che le aveva salvato la vita.
A differenza dei mostri che aveva incontrato fino a quel momento, quell'essere assomigliava, anche se molto lontanamente, ad un coniglio.
La sua pelle era ricoperta da un leggero pelo color cioccolato al latte, con alcune chiazze rosa intorno al collo e sulle sue orecchie.
Sempre se quelle potevano essere considerate orecchie.
Ciò che si trovava ai lati della sua testa erano come due enormi parabole allungate, che terminavano in tre diverse punte rosa.
Sulla sua fronte, vi erano tre piccole corna.
«C-cosa sei?»
Quelle parole sfuggirono dalle sue labbra prima che Naoto riuscisse a rendersene conto.
La creatura piegò la testa di lato, come se quella fosse la domanda che meno si aspettasse in quel momento.
«Sono Lopmon.– rispose poi, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo –Benvenuta a Digiworld.»
 QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Protectiveness, physically or verbally defending someone
NUMERO PAROLE: 4180

PERSONAGGI: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi, Tohru Adachi, Rise Kujikawa, Ryotaro Dojima, altri
COPPIE: NaotoxAdachi, NaotoxKanji
AVVERTIMENTI: Soulmate!AU dove non si vedono i colori prima di incontrare la propria anima gemella; UnderAge.


Era ormai passato un mese da quando il corpo di Chie Satonaka era stata ritrovato appeso al cancello del cimitero.
Da allora ci furono altre tre notti piovose ad Inaba e, in tutti e tre i casi, gli agenti di polizia che venivano comunque mandati ad ispezionare le strade non riuscivano mai a fermare l'assassino.
Seduta al tavolo della cucina, Naoto osservava uno dei sette fascicoli che aveva sul tavolo di fronte a lei, uno per ogni vittima che, in quell'arco di tempo, aumentava il numero di uccisioni avvenute.
Dopo Chie Satonaka, ad essere stata presa di mira fu la professoressa Kashiwagi, la coordinatrice di classe di Naoto.
Quello fu un segno allarmante per la polizia.
Kashiwagi non era infatti minimamente legata a Yamano o alle altre vittime: l'unica cosa che la collegava a Konishi, Amagi e Satonaka era il fatto che si trovassero nello stesso istituto.
Le due vittime successive a Kashiwagi erano state altre due ragazze della Yasogami High School: Ayane Matsunaga e Ai Ebihara, una coetanea e una senpai di Naoto. 
Con i loro omicidi, il loro presentimento era diventato completamente realtà.
Neanche queste due ragazze avevano infatti alcun legame con la prima vittima e, l'unica cosa che le collegava tra di loro e con l'omicidio di Kashiwagi, era che tutte e tre lavoravano o frequentavano la Yasogami High School, la stessa scuola anche delle altre vittime se non si considerava Yamano.
Possibile che l'assassino ci avesse preso così tanto gusto da uccidere qualunque ragazza le capitasse adesso sotto tiro?
«Cosa ci fai già sveglia?»
Quando la voce di Tohru le arrivò dalle sue spalle, Naoto si voltò, osservando quello che in quel periodo di tempo era diventato ufficialmente il suo fidanzato.
L'uomo era appoggiato allo stipite della porta della cucina e teneva le braccia incrociate, osservandola con curiosità.
Naoto sorrise.
«Sto provando ad esaminare il caso.» gli disse, alzando poi leggermente le spalle per arrivare all'altezza giusta per dare un bacio all'uomo quando lui si abbassò per venire incontro.
Tohru le mostrò la sua espressione preoccupata.
Gliela mostrava spesso in quel periodo in realtà.
«Sì, ma sono le cinque del mattino.– rispose, mentre portava una mano alla bocca per coprire lo sbadiglio che stava lasciando le sue labbra –E mi piacerebbe svegliarmi e trovare la mia ragazza accanto piuttosto che dover venire fino alla cucina per darti il buon giorno.»
Naoto abbassò lo sguardo.
Tohru aveva ragione.
Gli aveva promesso più volte che sarebbe stata a letto con lui e non avrebbe continuato a osservare quei fascicoli invano…
«Ehi ehi,– l’uomo le alzò il viso, posandole un bacio sulla fronte –non c’è bisogno di essere così tristi adesso. Non ti preoccupare, non è successo niente.»
Naoto annuì.
Da quando era morta Satonaka, la ragazza aveva quasi del tutto abbandonato le indagini sul caso e lasciava che fossero gli altri a portarle a termine, anche se, ogni tanto come quella mattina, sentiva il bisogno di tornare sul campo e di provare nuovamente a cercare l’assassino.
Era stato Tohru a consigliarle di riposarsi un po’.
E, anche se Naoto non era stata del tutto convinta all’inizio, aveva seguito il suo consiglio.
Ma alla fine era ovvio che lui sapesse cosa fosse meglio per lei, no?
Lui era la sua anima gemella.
Lui sapeva tutto di lei. Lei sapeva tutto di lui.
Almeno questo era ciò che lui le aveva ripetuto più volte in quel periodo e ciò in cui Naoto aveva riposto più fiducia.
Non riusciva neanche a ricordare come fosse la sua vita di appena un mese prima, senza l’uomo con lei.
E neanche voleva farlo.
«Vuoi un caffè?» le domandò l'uomo, avvicinandosi alla macchinetta.
«Sì, grazie.» rispose lei, chiudendo il fascicolo e riponendolo sopra agli altri.
Tanto sarebbe stato completamente inutile continuare ad esaminarlo.
Oramai, era come se l’assassino l’avesse in pugno e stesse solo giocando con lei.
Questo era il modo in cui la ragazza si sentiva ogni volta che leggeva uno di quei fascicoli o osservava le varie foto.
Quelli che fino ad un mese prima gli sarebbero sembrati indizi fondamentali per la riuscita del caso erano adesso, ai suoi occhi, solo degli inutili pezzi di carta.
E ogni giorno questa sensazione aumentava.
«Naoto.»
La ragazza alzò lo sguardo, puntandolo su Tohru.
«Sì?»
«Tra tre notti pioverà.»
Questa fu l'unica cosa che le disse.
Lui era colui che, tra i due, si era preso l'incarico di osservare il meteo ogni giorno e riferire all'altra quando l'assassino avrebbe potuto colpire.
Naoto sapeva che era una cosa senza senso.
Avrebbe potuto benissimo vedere quelle informazioni da sola, senza aver bisogno di qualcuno che le dicesse quando agire.
Ma così aveva deciso Tohru.
E lei faceva sempre quello che Tohru le diceva di fare.
«Sta volta lo prenderemo, ne sono sicura.» commentò la ragazza, incrociando le braccia sul tavolo e posando la testa su queste.
Sapeva che non era vero.
L’assassino le sarebbe di nuovo passato davanti agli occhi, come era successo già altre tre volte dopo la morte di Satonaka.
E quella sensazione terribile sarebbe aumentata, lasciandola completamente senza fiato.
«Non ne ho dubbi, Naoto.» le rispose Tohru, poggiando la tazza di caffè sul tavolo e abbassandosi a darle un bacio sulla nuca.
...Ma andava bene anche così.
Tohru era con lei.
E lui sarebbe riuscito a tirarle su il morale.
 
«Sei proprio sicura di volerlo fare, Shirogane?»
Naoto annuì.
«Sì, Dojima. Se io faccio da esca è possibile che riusciamo a catturarlo. È stata un’idea di Tohru.»
L'uomo la guardò, leggermente incredulo.
«Certo però che avresti potuto dirlo prima che eri una ragazza,– commentò  –è più di un mese che lavoriamo insieme.»
La detective sorrise debolmente a sua volta.
Anche quella di rivelare al mondo il suo vero sesso era stata un’idea di Tohru.
Da circa una settimana, infatti, la ragazza aveva gettato le bende che il suo fidanzato tanto odiava e aveva iniziato a vestirsi esattamente come lui preferiva.
In quel momento, infatti, stava indossando la gonna e la camicetta che avevano comprato insieme qualche giorno prima, quando erano usciti a fare compere.
«Il fatto che lei non lo abbia capito per un mese intero mi fa mettere in dubbio le sue capacità.»
L'uomo ridacchiò.
«E pensare che tu e Adachi siete anime gemelle… anche questa è stata una sorpresa.» disse poi.
Naoto annuì, continuando a sorridere.
Per un attimo, rimasero in silenzio a guardarsi l’un l’altra.
Era una cosa strana quella.
Da quello che la detective ricordava non c’erano mai stati così tanti momenti di silenzio tra loro due.
«Allora io vado Dojima.» Naoto si alzò, afferrando la sua borsa.
Poi, senza dire altro, si avviò verso l’uscita.
«Shirogane.»
Prima che potesse abbassare la maniglia, l’uomo la chiamò.
La ragazza si voltò.
«Sì, Dojima?»
«Sei sicura di stare bene?»
Quella domanda la colse completamente alla sprovvista.
Certo che stava bene. Perché non avrebbe dovuto?
«Di cosa sta parlando, Dojima?» domandò, mentre il sorriso di poco prima scompariva dalle sue labbra.
L'uomo la guardò e quando Naoto incrociò il suo sguardo sentì il suo cuore avere un sussulto.
Era lo stesso identico sguardo che Dojima le aveva mostrato un mese prima, dopo la morte di Amagi.
Quello sguardo di compassione che tanto le ricordava quello con cui la guardava sempre suo nonno...
«Sei diversa, Naoto.– disse, chiamandola per nome e facendola sussultare leggermente –Non sei venuta in centrale da almeno due settimane, quando prima non vedevi l'ora di tornare qua dopo essere andata a scuola. Poi compari nuovamente e sei vestita da ragazza, mentre prima non uscivi se non con qualcosa che doveva a tutti i costi coprire il tuo seno. Non mi chiami più nel bel mezzo della notte perché ti è venuta un'idea su chi possa essere il colpevole o su un modo in cui questo può avere agito. Dove è la Naoto Shirogane che ho conosciuto? Dove è la detective che è si è fatta quasi 10 km a corsa sotto l'acqua per salvare Satonaka?»
Naoto era rimasta ad ascoltare quel discorso, senza battere ciglio.
In fondo al suo cuore, sapeva che quell'uomo aveva ragione.
Sapeva che qualcosa in lei era cambiato, che c'erano tante cose che erano cambiare, che tutto il suo mondo si era completamente cambiato.
Ma Tohru era felice quando la trovava a casa una volta che era tornato dal lavoro.
Era felice quando lei non restava sveglia fino a tardi a pensare a chi potesse essere l'assassino.
Era felice quando lei non pensava troppo.
E a lei andava bene così.
«Arrivederci, Dojima.»
Quelle furono le uniche parole che la detective disse prima di uscire dalla stanza.
 
«Naoto, come va il caso?»
Quando Rise le aveva posto quella domanda le due si trovavano sul tetto della scuola, durante la pausa pranzo.
Era una domanda che la sua amica le faceva spesso in quel periodo.
Anche se Naoto non capiva perché le interessasse tanto.
«Non lo so.» rispose la detective, continuando a mangiare il suo panino.
La idol la guardò per un po’, come se continuasse ad aspettare che la ragazza continuasse a parlare.
Poi, sospirò.
«Naoto, sei sicura di stare bene?– le domandò, posando una mano sulla spalla dell’amica –Ti comporti in modo strano.»
La detective non disse niente, annuì semplicemente.
Era ovvio che stesse bene, Tohru era con lei.
Perché tutti le ripetevano la stessa domanda?
«Naoto, rispondimi.»
Naoto alzò lo sguardo.
«Ho risposto. Sto bene.» disse, guardando confusa l’altra.
Rise stava tremando.
«Naoto, ti prego, parliamone.– insistette lei, cercando chiaramente di mantenere la calma –Ti comporti come se qualcuno ti stesse controllando. Non parli più tanto come prima, non rimani più incantata ogni volta che il tuo cervello inizia a ragionare, non passi più le lezioni a guardare i fascicoli di nascosto sotto al banco! Mi spieghi cosa ti sta succedendo?!»
La detective la guardò, confusa.
Cosa c’era di strano nel suo comportamento?
Si stava solo comportando come sempre.
«Rise,– disse, mantenendo il suo tono di voce neutro –non urlare.»
Quando Naoto pronunciò quelle parole, la idol si trattenne chiaramente dallo scoppiare a piangere.
Rise era sempre stata così.
Si metteva a piangere anche se in realtà non c’era un vero e proprio motivo.
«Almeno avrai un piano, no?! Come agirai quando pioverà, tra due notti?!»
Naoto annuì.
«Farò da esca e lo cattureremo.»
Non sapeva neanche perché aveva parlato.
La Naoto Shirogane di un mese prima non avrebbe mai rivelato una tale informazione ad un civile.
«...E di chi è stata quest’idea?»
Rise non sembrava poi così convinta.
Naoto non capiva cosa avesse.
«Di Tohru.»
«Non voglio l’idea di Tohru, voglio la tua!»
Adesso la idol si era alzata in piedi e aveva urlato quelle parole, lasciando cadere il panino che, quasi finito, aveva poggiato sul suo grembo.
«Dove sono le tue idee, Naoto? Dove sono i tuoi piani geniali? Dove è la Naoto Shirogane che tutti noi conosciamo?!– la idol aveva adesso iniziato a urlare così forte che anche altre persone si erano voltate verso di loro –Dove è la Naoto che indossava abiti maschili e parlava con quella voce mascolina? Dove è la mia amica?!»
Naoto non poteva fare altro che guardare la idol urlare contro, mentre sentiva le spalle tremarle leggermente.
Rise aveva ragione.
Lei era cambiata in quel periodo.
«Rise,– la detective uso il tono neutro di poco prima –ti ho chiesto di non urlare.»
Le braccia, che la idol aveva tenuto alte fino a quel momento, ricaddero lungo il suo corpo, come se avessero perso completamente la forza di poter stare su. 
«Fa’ come ti pare.» disse poi, dirigendosi verso la porta e tornando all’interno dell’edificio scolastico.
Naoto la guardò allontanarsi, mentre sentiva l’impulso di allungare una mano e chiamarla, di trattenerla lì con lei.
Ma non lo fece.
Dopotutto, le andava bene così. 
 
«Ci sono io con te, Naoto. Non permetterò a nessuno di farti del male.» Naoto annuì quando Tohru le disse quelle parole.
Erano in macchina in quel momento, fuori stava piovendo e la ragazza stava indossando un semplice vestito che metteva in mostra le sue gambe e il seno prosperoso.
«Cosa devo fare?» chiese, voltandosi verso l'uomo alla sua destra.
Tohru le sorrise, accarezzandole la guancia.
«Devi solo camminare per un po' a giro. Ovviamente usa un ombrello, o ti prenderai un malanno, e io non voglio che tu ti ammali.– le spiegò lui, posandole poi un bacio sulla guancia –Io ti seguirò, starò a qualche metro da te, così in caso sarò sempre pronto per prendere l'assassino.»
La ragazza annuì, afferrando poi l'ombrello che l'uomo le tendeva.
Non aveva poi così tanta paura.
Aveva affrontato situazioni ben più critiche di quella.
Certo; fare da esca ad un pazzo stupratore omicida non era ciò che lei aveva sempre desiderato, ma allo stesso tempo la consapevolezza che Tohru e gli altri poliziotti la tenessero d'occhio rendeva la missione molto più facile e meno pericolosa.
In più lei era pur sempre una detective.
Non si sarebbe fatta mettere K.O. tanto facilmente.
Soprattutto perché altrimenti questo avrebbe potuto farla sfigurare di fronte agli occhi di Tohru.
«Ok, se sei pronta possiamo andare.»
Naoto annuì.
Poi, dopo aver posato un bacio sulle labbra dell'uomo, aprì la portiera della macchina.
La notte gelida di Inaba la salutò immediatamente e, quando una folata di vento la colse alla sprovvista, la ragazza portò automaticamente la mano alla sua testa, rendendosi conto solo dopo che non stava indossando il suo cappello.
In effetti, erano giorni che non lo portava.
Quel gesto che aveva appena compiuto aveva un che di irrazionale da quel punto di vista.
Stringendosi nel leggero cappotto (l'assassino doveva vedere che era vestita in modo succinto, dopotutto) la ragazza iniziò a camminare, stando attenta il più possibile a non farsi inzuppare dalla pioggia che continuava a infilarsi sotto il suo ombrello.
Inaba era completamente deserta.
La città, completamente avvolta nell’ombra e sommersa da quella pioggia così insistente, era particolarmente affascinante agli occhi della ragazza.
Quando aveva mosso ormai qualche passo, aveva sentito la portiera della macchina chiudersi dietro di lei.
Tohru doveva essere sceso.
Senza voltarsi, Naoto continuò a camminare per le strade di Inaba, evitando le grosse pozzanghere d'acqua che si erano formate al suolo.
Il vento freddo le passava attraverso i vestiti bagnati e la ragazza si strinse nelle spalle, per cercare riscaldarsi il più possibile.
Ombrello o no, si sarebbe sicuramente presa la febbre.
Ma quello non importava.
Dopo qualche minuto che stava camminando (forse un quarto d’ora? Venti minuti?) la detective aveva lasciato il quartiere commerciale di Inaba e stava adesso percorrendo il sentiero lungo il fiume.
Non era per niente facile camminare su quei tacchi, soprattutto su un terreno tanto scosceso.
La ragazza si guardò intorno, osservando con curiosità il fiume Samegawa, che si stava innalzando in modo quasi preoccupante al livello della strada.
Fu in quel momento che un rumore insolito attirò la sua attenzione.
Era come se qualcuno avesse pestato uno dei tanti legnetti che si trovavano in quell’area.
Come se il suo corpo si muovesse in automatico, la ragazza si mise in allerta, cercando di individuare il luogo da dove l'aveva sentito.
Passi.
Qualcuno la stava seguendo.
Che il piano stesse davvero funzionando...?
Incredula, Naoto iniziò a camminare più velocemente, così come Tohru le aveva detto di comportarsi se avesse sentito dei passi che non erano i suoi.
Doveva trovare un luogo riparato che le permettesse di tirare fuori la sua pistola, che era nascosta nella cintura del vestito che aveva legata in vita, e potesse così mirare bene all’assassino, senza che l'acqua entrasse nel suo campo visivo.
In realtà lei era completamente in grado di colpire i bersagli sotto la pioggia. 
Ricordava bene tutti gli allenamenti fatti con suo nonno, quando era più piccola.
Ma se Tohru aveva detto di fare in quel modo, chi era lei per ribattere?
Individuò uno dei tanti gazebo illuminati che popolavano le rive del fiume e lei iniziò a muoversi più velocemente.
Poteva sentire i passi dietro di lei aumentare di velocità.
Ma c’era qualcosa di strano.
Un brivido le corse lungo la schiena quando Naoto si rese conto che dovevano essere due persone.
Loro avevano sempre dato per scontato che l’assassino agisse da solo, non avevano mai preso in considerazione che potesse avere un complice.
Si stavano avvicinando.
E anche velocemente...!
Quando Naoto mise piede sotto al gazebo, si voltò, afferrando la pistola nascosta nella cintura con uno scatto che non pensava di essere in grado di fare.
Eppure era strano che lo pensasse.
Si era allenata più volte nel prendere di sorpresa i nemici... perché proprio ora non doveva funzionare?
L'ombrello le cadde dalle mani e la ragazza puntò la pistola dritta davanti a sé, mentre sentiva una forza che da tempo aveva perso impadronirsi nuovamente di lei.
Mise il dito sul grilletto.
Li aveva catturati...
«Aspett- Naoto non sparare!»
Quando quella voce così familiare le rispose, la detective rimase interdetta.
Ma lo fu ancora di più quando riconobbe una delle due figure che aveva adesso davanti a lei.
Rise teneva le mani in alto, mentre le sue gambe tremavano visibilmente, l'ombrello rosa che era caduto ai suoi piedi.
«Rise...?!»
«Sì... p-puoi mettere giù la pistola?» le chiese lei, continuando a tremare, gli occhi puntati sull'arma che la detective teneva tra le mani.
Naoto abbassò la pistola, continuando a guardare la sua amica che, sotto la pioggia, stava continuando a tremare dalla paura e dal freddo.
«Vedi, Rise? Te l’avevo detto che era in grado di difendersi.»
La detective sentì il suo cuore emettere un sussulto quando quella voce attirò la sua attenzione.
Lì, accanto a Rise, si trovava Kanji, l’amico della idol.
Il ragazzo teneva l'ombrello in avanti, coprendo la testa dell’amica, incurante dell'acqua che continuava a bagnarlo.
Per un attimo, a Naoto sfiorò l'idea assurda che lui fosse l'assassino e che avesse catturato Rise per usarla come ostaggio.
Poi, si rese conto da sola della stupidità di quell'ipotesi.
«Cosa ci fate qui voi due?»
La detective continuava a osservarli, passando da uno all'altro, senza comprendere il perché quei due l'avessero seguita, di notte, quando stava piovendo a quel modo.
Rise aveva le lacrime agli occhi.
«A-avevo paura che ti succedesse qualcosa, Naoto.– disse, provando, invano, a trattenere un piccolo singhiozzo che stava per scuoterle le spalle –Questa idea è una follia. Rischi di farti male! Q-quindi ho chiesto a Kanji se poteva accompagnarmi e aiutarti...»
Naoto osservò la sua amica che, con le spalle scosse dai singhiozzi, teneva lo sguardo puntato in basso.
Non riusciva a capire perché la ragazza fosse così in pensiero.
Con lei c'era Tohru, nessuno avrebbe potuto farle del male.
«Ok,– la voce dell'uomo arrivò dalle spalle di Rise e la ragazza sussultò visivamente –cosa sta succedendo qui...? Siete nel bel mezzo di un'operazione abbastanza pericolosa, ragazzini.»
Per un attimo, il tono di voce con cui Tohru pronunciò l'ultima parola, fece preoccupare la detective.
Era un tono fortemente infastidito, come se la loro presenza stesse rovinando tutto.
E Naoto non voleva che lui si sentisse così.
«Dovreste tornare a casa. Entrambi. State rovinando la missione.» disse automaticamente, cercando di rimediare a ciò che quei due avevano combinato.
Rise si voltò nuovamente verso Naoto, mostrandole uno sguardo completamente spaesato.
Kanji, invece, la stava guardando in un modo che era nuovo agli occhi della detective.
Era come se la sua espressione solitamente neutra e impassibile, avesse lasciato il posto ad uno sguardo preoccupato, quasi… dispiaciuto?
«Andiamo Rise, ti riaccompagno.»
Il ragazzo si voltò, afferrando il braccio della idol.
«No.»
Questa volta fu Tohru a parlare e Naoto si voltò verso di lui, confusa.
«Cosa c'è?– chiese Kanji, mantenendo il suo tono inespressivo –Dovevamo tornare a casa, no?»
Già, è quello che avrebbero dovuto fare.
Ma quelle parole non uscirono dalla bocca della detective.
Lei era lì, che continuava a guardare l'uomo che adesso aveva raggiunto il suo fianco, aspettando che quest'ultimo desse la sua decisione.
«Riaccompagno io Kujikawa.– disse, passandosi una mano dietro al collo –Non conviene portarla a casa. Se l'assassino ha visto che è uscita la starà aspettando. La porto in centrale.»
Nonostante le sembrasse strano, Naoto sentì il mondo crollarle addosso.
Prima ancora di potersi fermare, la ragazza afferrò il braccio del suo fidanzato, aggrappandosi a questo come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
«Naoto...?»
«E io come faccio se non ci sei tu?»
Neanche lei sapeva cosa le stava succedendo.
Una fortissima ansia si era sprigionata da dentro di lei ed era come se adesso l'avesse presa per la gola e la stesse stringendo con una tale forza da farle mancare il respiro.
Solo di una cosa era certa.
Non poteva portare avanti quella missione da sola.
Non poteva fare niente se non aveva Tohru al suo fianco...!
Quando la mano dell'uomo si posò sulla sua testa, il tremore che aveva colto il suo corpo fino a quel momento cessò, seppure lentamente.
«Torno subito, devo solo portare Kujikawa al sicuro. Non è questo quello che vuoi?»
Quello che voleva...?
Naoto non aveva minimamente idea di cosa volesse in quel momento.
Ma se Tohru diceva che era così, allora andava bene.
Fu in quel momento che successe qualcosa di inaspettato.
Rise afferrò la detective per un braccio, tirandola verso di sé e separandola dall'uomo.
«Rise...?» Naoto guardò incredula l'amica che adesso le stava stringendo il braccio con una forza tale da farle quasi male.
«Qualsiasi cosa tu le stia facendo, vedi di piantarla.» disse, con voce ferma nonostante le lacrime che continuavano a scivolarle lungo le guance.
Chi stava facendo cosa a chi...?
«Scusami?»
La voce con cui Tohru aveva pronunciato quella parola era una che Naoto non aveva mai sentito prima.
La ragazza si voltò verso di lui, osservando come sul volto dell'uomo si fosse adesso formato un sorrisino che la detective aveva visto veramente poche volte sul suo volto, e come stesse guardando Rise con uno sguardo divertito.
«Hai sentito benissimo quello che ho detto.– continuò la idol, stringendo con più forza la sua amica –È diventata un robot da quando esce con te! Non ragiona più, è come parlare con una bambola!»
In tutto quello, Naoto non poteva far altro che guardare la sua amica che, singhiozzante, stava affrontando l’uomo a pochi centimetri da lei, per aiutarla.
Ma… lei aveva davvero bisogno di aiuto?
«Naoto non è una bambola.– disse Tohru, sottolineando con un tono dispregiativo l’ultima parola –E io non le sto facendo niente, è lei che si sta comportando così di sua spontanea volontà. Non è vero, Naoto?»
La detective deglutì.
Tohru aveva ragione, no?
Lei faceva sempre come lui le diceva.
Erano anime gemelle, era normale che lui sapesse quello che lei voleva.
E allora perché quel “sì” non riusciva ad uscirle dalla gola?
Era come se una piccola parte del suo cervello, che aveva smesso di funzionare fino a quel momento, avesse ripreso a ragionare e le stesse gridando che c’era qualcosa di sbagliato.
Ma cosa poteva esserci di sbagliato in quello?
«Non è vero, Naoto?»
Tohru aveva ripetuto la domanda e ora la ragazza poteva sentire il suo sguardo puntato su di lei.
Seppur quella parte di lei continuasse a gridare, Naoto la rinchiuse nuovamente in un angolino, così come faceva ogni volta che capiva che non serviva a nulla.
Poi, annuì.
«Naoto...»
La detective era sicura che non si sarebbe mai dimenticata lo sguardo che Rise le mostrò in quel momento.
Era come se tutte le sue ultime speranze fossero completamente crollate, come se tutto quello che si aspettava che la sua amica dicesse fosse scomparso nel nulla.
«Rise,– disse, con una voce che non immaginava fosse così roca –vai con Tohru. Ti porterà al sicuro.»
La idol rimase per un attimo aggrappata a quel braccio, come se questo fosse la sua ultima ancora di salvezza.
O come se lo fosse stato per Naoto.
La detective non riusciva a capirlo.
Poi, lentamente, si allontanò, non smettendo però di osservare la sua amica.
«Ecco, vedi Kujikawa? Avevo ragione.– disse Tohru, raccogliendole l’ombrello da terra e porgendoglielo –Tatsumi, posso chiederti di rimanere con Naoto?»
Solo allora la ragazza notò che Kanji fino a quel momento era stato in silenzio, un’espressione quasi dolorante sul volto.
Naoto vide anche che stava stringendo con così tanta forza i pugni da rischiare di farsi male.
Quando Tohru lo chiamò, però, si riscosse.
«Cosa…?»
«So che la proteggerai.– continuò l’uomo, sorridendo –Ne sono certo.»
Naoto non sapeva da dove quella convinzione fosse venuta fuori.
Il suo istinto da detective le diceva che quella sembrava più una minaccia che una richiesta, ma lei cacciò quella sensazione.
Non vedeva perché Tohru avrebbe dovuto minacciare a quel modo il ragazzo.
«Naoto.» l’uomo la chiamò.
«Sì?» rispose lei, immediatamente.
«Aspettami qui, ok?– le disse, indicando il tavolo da picnic sotto al gazebo –Non muoverti finché non torno.»
La ragazza annuì, mettendosi a sedere.
Kanji le lanciò un’altro sguardo che Naoto non potè che definire enigmatico, prima di sedersi anche lui all’altro lato del tavolo.
Tohru le sorrise e si abbassò, posandole un bacio sulla nuca.
«Torno subito, tesoro.» disse.
Poi, se ne andò, portando con sé Rise che lanciò un’ultimo sguardo alla sua amica, prima di seguire l’uomo.
 

QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Ricevere avances indesiderate (M2)
NUMERO PAROLE: 18085
PERSONAGGI: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi, Tohru Adachi, Rise Kujikawa, Ryotaro Dojima, altri
COPPIE: NaotoxAdachi, NaotoxKanji
AVVERTIMENTI: Soulmate!AU dove non si vedono i colori prima di incontrare la propria anima gemella; UnderAge. 

Un irrisolvibile caso di omicidi.

Ecco cosa aveva spinto Naoto Shirogane a salire sul primo treno disponibile per Inaba, una piccola cittadina sperduta nella campagna.

Non aveva mai sentito parlare di quel luogo prima di allora, ma era bastata una telefonata dal suo segretario per farle accettare immediatamente l’incarico. Dopotutto non le capitava da mesi un caso così intrigante, senza considerare il fatto che se fosse riuscita a risolverlo la sua fama da “Principe Detective” sarebbe aumentata. Doveva far di tutto per scalare la vetta.

Certo, però, non si sarebbe minimamente aspettata di ritrovarsi in difficoltà fin dal momento del suo arrivo.

La ragazza si passò una mano tra i capelli, sospirando.

A chi poteva mai venire in mente di creare una mappa dove si utilizzavano i colori come punto di riferimento?

Naoto osservò nuovamente i vari punti indicati sulla cartina che aveva nella mano destra, cercando di distinguere le diverse tonalità di grigio che riusciva a intravedere, ma anche in questo modo le era impossibile capire quali di quelli fosse rosso, verde o giallo… come del resto era impossibile per la maggior parte della popolazione mondiale. Ma evidentemente la polizia di Inaba non aveva pensato a questo piccolo inconveniente quando le avevano spedito quella mappa per orientarsi. Oppure, come era molto probabile, era solo un modo per metterla in difficoltà, così come facevano molti adulti nel suo lavoro ogni volta che venivano a conoscenza della sua età.

“Mantieni la calma, Shirogane.”

Naoto ripiegò la mappa e la ripose nuovamente nel bagaglio, decidendo che forse era molto più facile un approccio diretto.

Da quel poco che era riuscita a capire osservando la cartina, la stazione di polizia non doveva essere molto lontano da lì e quindi sarebbe riuscita ad arrivarci in tempo e, magari, per strada avrebbe trovato qualcuno con informazioni più precise da darle.

Con questo pensiero in testa, uscì dalla stazione, trascinando dietro di sé il pesante bagaglio, così grande da farla sembrare ancora più piccola di quel che era, nonostante i tacchi che indossava.

Il vento freddo che la salutò non appena superò i tornelli, la costrinse a portare una mano al suo cappello per impedire che questo volasse via e la ragazza si fermò un attimo ad osservare il paesaggio che si era aperto all’orizzonte, rimanendo leggermente stupita di come le montagne e gli edifici della cittadina si amalgamassero alla perfezione. Il cielo era incredibilmente limpido e sereno, con neanche una nuvola che minacciava di coprire quello che suo nonno aveva da sempre definito “il blu che gli aveva cambiato la vita”.

Certo, questo Naoto non poteva capirlo, o almeno non ancora.

L’unica cosa che vedeva era quella triste e monocroma tonalità di grigi che, fin dalla sua nascita, era il limitatissimo spettro di colori che la ragazza (così come il resto della popolazione) poteva distinguere.

“«Un giorno riuscirai anche tu a capire cosa vuol dire rimanere incantati di fronte ad un paesaggio Naoto.–“ le aveva detto suo nonno, quando lei aveva circa quattro anni “–Devi solo trovare la persona giusta.»”

Cercare la persona che le avrebbe fatto capire come era davvero il mondo.

Quello era stato il suo obiettivo da quel momento, e non c’era giorno che non passasse a pensare a come sarebbe stato.

Poi, col tempo, quell’idea si era come cancellata dalla sua mente.

Suo nonno era morto, lei aveva ereditato tutta la fortuna degli Shirogane e il peso di dover portare avanti il lavoro di famiglia.

Aveva dieci anni quando iniziò a vestirsi da ragazzo, indossando (facendosi aiutare dal signor Yakushiji, il suo fedele segretario) il colore che suo nonno amava tanto.

Doveva in tutti i modi riuscire a fare carriera.

Ed era per quello che ora si trovava lì, a guardarsi intorno in quella piccola cittadina, pronta a risolvere il caso che finalmente le avrebbe dato lo slancio giusto per sentirsi chiamare una vera Shirogane…

Fu solo quando urtò leggermente contro un lampione che la ragazza si rese conto di aver continuato a camminare fino ad allora senza una meta, vagando per quella cittadina senza osservare minimamente il suo percorso.

Riscossasi dai suoi pensieri, si guardò velocemente intorno, cercando di capire dove si potesse trovare.

Una fermata dell’autobus, una stazione di servizio, un negozio di tofu...

Dannazione, si era completamente persa. 

Frustata tirò nuovamente fuori la cartina dalla propria valigia, sperando di poter individuare il luogo in cui si trovasse, ma non ebbe per niente fortuna.

Forse avrebbe davvero dovuto chiedere aiuto a qualcuno…

«Tatsumi, è già la quarta volta questo mese.»

La voce di un uomo le fece alzare la testa e la ragazza fu tentata di tirare un sospiro di sollievo.

Due persone si trovavano poco più avanti, di fronte all’entrata di quello che doveva essere il tempio della città.

«Non ho fatto niente. Ora se ne vada.» rispose il più giovane tra i due.

Naoto lo guardò per un secondo, trattenendo l’impulso di roteare gli occhi al cielo. Capelli di un grigio fin troppo chiaro per non essere tinti, tatuaggio di un teschio su un braccio, piercing che ricoprivano qualsiasi punto del suo viso… chiunque poteva capire che tipo di persona fosse il ragazzo che stava parlando con quell’uomo.

«Mandare all’ospedale cinque uomini è niente, eh?– sbuffò l’altro, portando una mano dietro al collo –Andiamo Tatsumi, stavolta l’hai fatta grossa...»

L’uomo che aveva pronunciato queste parole era invece vestito con una giacca elegante e una cravatta di un grigio acceso al collo.

«Ti ho detto di andartene.– disse il ragazzo, chiaramente irritato –Non ho niente a che fare con voi sbirri.»

Alla parola “sbirri” Naoto si riscosse.

Osservò con più attenzione l’uomo, distogliendo lo sguardo da quella cravatta che spiccava fin troppo tra il resto del grigio 

della sua persona, e notò che teneva qualcosa nella mano destra. Un distintivo.

Evidentemente alla fine la fortuna girava dalla sua parte.

Afferrò con più forza il manico della propria valigia e iniziò a camminare verso i due che nel frattempo continuavano a litigare.

Il rumore delle ruote del suo bagaglio doveva aver attirato l’attenzione su di lei, perché i due si voltarono nella sua direzione.

I loro sguardi, anche se per un solo momento, si incrociarono.

E fu in quel momento che accadde.

Un’enorme scossa la attraversò da parte a parte e Naoto dovette appellarsi a tutte le sue forze per non cadere in ginocchio, mentre la sua testa iniziava a girare e a lanciarle forti fitte di dolore.

Abbassò lo sguardo e si portò le mani alle orecchie, lasciando andare il manico della propria valigia, chiudendo gli occhi e cercando di eliminare quel rumoroso ronzio che diventava sempre più forte e la stava facendo impazzire.

Poteva sentire il cuore battere all’impazzata nel suo petto, come se stesse cercando di forare la gabbia toracica e uscire all’esterno.

Il respiro le mancò, il ronzio si fece di colpo più forte e la ragazza sentì la testa continuare a girare, sempre più forte.

Una fortissima sensazione di nausea la travolse e si accorse che le sue gambe avevano ceduto solo quando sentì una fitta di dolore arrivare dalle sue ginocchia... 

Poi, tutto finì come era iniziato.

Ancora scossa da quello che era appena accaduto, Naoto ansimò e cercò di tornare a respirare nuovamente, con il cuore che ancora continuava a pulsarle con forza nel petto.

Poi, con lentezza, aprì gli occhi, iniziando ad allontanare le mani dalla sua testa. E si fermò.

C’era qualcosa di diverso.

Qualcosa di incredibilmente diverso.

Sull’asfalto, grigio scuro come al solito, vi erano adesso due piccole macchie di un colore che non aveva mai visto prima e la ragazza assottigliò lo sguardo e allungò una mano di fronte a sé, per analizzare quell’oggetto tanto strano.

I suoi movimenti si bloccarono nuovamente quando notò che anche la sua pelle non era più come prima.

Non si trattava minimamente del grigio chiaro che era abituata a vedere fino a quel momento. No, a dire la verità, non si trattava di alcun tipo di grigio che aveva mai visto prima di allora.

Il suo cuore, che solo in quel momento aveva ripreso un battito minimamente regolare, si bloccò quando si rese conto che quello non doveva essere grigio.

Quando quella verità la colpì, Naoto alzò di scatto la testa.

E fu come se vedesse il mondo per la prima volta.

Tutto era così luminoso e così colorato che la ragazza sentì il fiato bloccarsi nella sua gola.

Il grigio non c’era più.

Quell’odiosa monocromia che l’aveva seguita fin da quando era nata era adesso completamente scomparsa e ad un primo sguardo Naoto neanche pensò di trovarsi nello stesso posto di prima.

La strada era ancora desolata e chiaramente fatiscente, ma allo stesso tempo i numerosi colori che la popolavano la rendevano venti, no trenta, anzi cento volte più bella e affascinante di prima.

E il cielo?

C’era davvero bisogno di parlare del cielo?

Ora capiva cosa le aveva da sempre detto suo nonno, cosa volesse dire che niente era più blu del cielo sopra di loro.

E Naoto poteva constatarlo in quel momento: era così blu che quando alzò lo sguardo pensò di poter annegare in quel meraviglioso colore che mai aveva visto prima ma di cui già era diventata dipendente.

«Tutto bene?»

La voce preoccupata dell’uomo la colse alla sprovvista.

La ragazza abbassò il viso immediatamente, incrociando nuovamente lo sguardo con quegli occhi così profondi e adesso anche così pieni di sfumature diverse di colore del poliziotto davanti a lei che la stava guardando preoccupato, tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi.

E in quel momento capì di aver trovato la sua anima gemella.

Tutto ciò che Naoto aveva costruito fino a quel momento e tutto ciò che aveva cercato di perseguire le apparve improvvisamente senza alcun senso.

Sentì il suo corpo tremare leggermente quando l’uomo si avvicinò di più, visibilmente preoccupato per la sua salute.

«Ehy, vuoi che chiami qualcuno?»

«No, sto bene.– rispose, sentendo il suo cuore cominciare nuovamente a battere nel petto –La ringrazio per essersi preoccupato.» aggiunse poi, afferrando la sua mano e alzandosi da terra.

Non poteva crederci.

Lo aveva trovato.

Lo aveva trovato davvero.

Naoto poteva sentire la sua mano continuare a tremare, mentre il calore di quella dell’uomo continuava a riscaldarla.

Abbassò lo sguardo, osservando la differenza delle loro mani.

La sua era così piccola in confronto che sembrava quasi scomparire stretta in quella dell’altro.

Chissà quanti anni di differenza avevano.

Non che importasse in fondo, anche i suoi genitori da quel che le aveva detto suo nonno avevano molti anni di differenza l’uno dall’altra…

«Ehm… sicuro davvero di stare bene?»

Fu solo quando l’uomo le parlò nuovamente che Naoto si rese conto di stare ancora stringendo la sua mano, nonostante fossero passati sicuramente più di 40 secondi da quando si era alzata.

Imbarazzata la lasciò andare, trattenendo una risatina nervosa.

“Ma che cavolo stai facendo Shirogane?!”

«Sì, mi scusi.» rispose e si maledì interiormente quando sentì come la sua voce fosse ridotta a quasi uno squittio.

L’uomo la guardò interdetto per un attimo, come se non stesse capendo minimamente quello che stava succedendo.

Naoto dal canto suo non stava ragionando abbastanza per pensare ad una spiegazione a questo fatto.

Stava andando nel panico. Completamente nel panico.

Erano anni che non pensava più a trovare la sua anima gemella e, adesso che l’aveva davanti, non sapeva davvero come comportarsi.

«Beh allora buona giornata...»

«Sono Naoto Shirogane.– disse la ragazza, in un disperato tentativo di non farlo allontanare –Sono arrivato poco fa col treno da Tokyo, ma non so come raggiungere la stazione della polizia.»

L’uomo la guardò nuovamente, squadrandola da capo a piedi.

«Quindi saresti tu il detective che ci hanno mandato?»

La ragazza annuii, ignorando completamente il tono quasi dispregiativo che era stato usato nei suoi confronti.

«Sì, sono io.– rispose lei, cercando di tornare a indossare la sua solita maschera fredda e di mostrarsi più alta, tenendo dritte le spalle –Se non le dispiace accompagnarmi, potrebbe farmi strada?»

Le parole le uscivano da sole dalle labbra, in un chiaramente tentativo disperato di rimanere con lui il più possibile.

In effetti, il fatto che lui non accennasse minimamente a quello che era appena accaduto era strano, molto strano. Il problema era la loro differenza di età? O forse il fatto che lui fosse in servizio e quindi non poteva farsi vedere in una situazione del genere dai civili. Forse se si fossero trovati soli, lui avrebbe accennato a quello che era successo…

L’uomo si voltò leggermente, puntando lo sguardo dove prima si trovava l’altro ragazzo. Poi sbuffò e si passò una mano dietro il collo.

Naoto registrò immediatamente quel movimento che gli aveva visto già fare in precedenza, mentre parlava con il ragazzo di poco prima che, nel trambusto che si era creato, se ne era andato. Sembrava lo facesse in modo involontario quando si trovava in difficoltà.

«Io sono Tohru Adachi.– disse poi, rompendo finalmente il silenzio che aveva iniziato a mettere ancora più ansia a Naoto –Vieni, ti accompagno.»

Naoto sorrise leggermente, ringraziandolo.

Poi, seguì l’uomo verso la sua auto, cercando con tutta se stessa di fermare il cuore che continuava, imperterrito, a martellarle nel petto.

~

La prima cosa che Naoto fece, quando quella sera entrò nell’appartamento che aveva affittato ad Inaba, fu lanciarsi sul letto, affondando completamente il volto nel cuscino.

Era stata una giornata pesante. Destabilizzante per l’esattezza.

Non solo chiunque a lavoro l’aveva trattata come se fosse una bambina (cosa a cui oramai era fin troppo abituata), chiedendole più volte di rimanere buona in quello che doveva essere l’ufficio che le avevano preparato; non solo questo fantomatico ufficio era pressoché inesistente, visto che era una semplicissima scrivania accatastata in un angolo, con una marea di fogli e fascicoli che si trovavano su di essa; non solo aveva scoperto fin troppo poco del caso, come se la polizia di Inaba stesse cercando di tenerla fuori dai giochi il più possibile; ma Adachi non aveva fatto minimamente niente per parlare con lei: non l’aveva cercata, non l’aveva neanche salutata quando era uscita e, in alcuni casi in cui era lei ad aver provato a parlarci, l’aveva anche ignorata!

Naoto ripensò a come si era sentita tesa quando era salita in macchina con quell’uomo, come aveva sentito il cuore battergli nel petto mentre si trovava lì, a soli pochi centimetri da quella che il destino aveva scelto come sua anima gemella… e a come si fosse sentita quando aveva notato che lo stesso fantomatico destino la stava prendendo solamente in giro.

La ragazza lasciò andare un lungo sospiro, tirandosi su a sedere e stringendo il cuscino tra le braccia.

C’era qualcosa di strano, qualcosa che continuava a bussarle il cranio dall’interno come per dirle che ci doveva essere un errore, un dettaglio che le stava sfuggendo.

Non era la prima volta che Naoto provava quella sensazione, le era capitato fin troppo spesso nella sua vita da detective.

Che il problema fosse la sua età?

Dopotutto questo le aveva sempre causato molti grattacapi a lavoro… e forse ora glieli poteva causare anche nella sua vita sentimentale.

Un tuono interruppe i suoi pensieri e la ragazza si voltò verso la finestra, accorgendosi solo in quel momento che aveva iniziato a piovere.

Non potè che rimanere affascinata di fronte alle piccole gocce che scivolavano lungo il vetro e che riflettevano la luce del lampione vicino, emanando piccoli luccichii.

Ancora non si era abituata al cambiamento drastico che il suo mondo aveva subito poche ore prima.

Tutti i colori che aveva incontrato in quella giornata e che continuava a trovare la incantavano completamente, affascinandola sempre di più.

Visto che i suoi colleghi non l’avevano presa molto in considerazione, aveva anche passato gran parte del suo orario lavorativo a cercare immagini e nomi dei diversi colori e delle varie sfumature che ora poteva vedere al mondo. Ed era solo grazie ad Adachi se questo era possibile.

Un piccolo sorriso le piegò le labbra e Naoto sentì la sua solita sicurezza tornare a fluire nel suo corpo.

Non doveva perdersi d’animo.

Ogni volta che la sua vita le aveva posto davanti un ostacolo, lei era sempre riuscita a superarlo, dimostrando al mondo intero chi era davvero Naoto Shirogane.

E questa volta non sarebbe stata da meno.

Avrebbe parlato con Adachi, gli avrebbe fatto capire che lei non era solo una bambina, così come lui credeva. Che lei era in grado di risolvere anche questo terribile caso di omicidi che continuava a invadere la tranquillità di quella cittadina.

Naoto si alzò, si sedette sulla sedia di fronte alla piccola scrivania e afferrò uno dei pochi fascicoli che era riuscita ad ottenere in centrale, iniziandolo a sfogliare e osservando per l’ennesima volta le due vittime che vi erano state fino ad allora.

La prima era stata un’annunciatrice televisiva: Mayumi Yamano. Era arrivata a Inaba da appena tre giorni e stava alloggiando nella locanda della città, quando è improvvisamente sparita durante la notte tra l’undici e il dodici aprile; la mattina dopo era stata ritrovata uccisa, appesa  ad un’antenna.

La seconda vittima invece era Saki Konishi, una liceale.

Naoto sentì un brivido correrle lungo la schiena quando si rese conto che avevano la stessa età.

Il modus operandi con cui l’assassino aveva trattato Konishi era identico a quello della Yamano: la ragazza era stata drogata, stuprata e uccisa con un coltello. Infine era stata appesa anche lei a testa in giù, in questo caso ad un palo della luce.

I coltelli utilizzati per uccidere le due donne erano stati ritrovati entrambi con i loro corpi: per Yamano il coltello era stato riposto sotto la sua cintura, per Konishi invece era stato legato al fiocco giallo che faceva parte della divisa scolastica della Yasogami High School, che ancora stava indossando quando era avvenuto il rapimento.

Se non fosse stato per il fatto che il metodo era lo stesso, nessuno avrebbe mai pensato che l’assassino di Yamano e quello di Konishi fossero la stessa persona.

Non vi era nessuna correlazione tra le due.

Yamano non risiedeva ad Inaba, mentre Konishi viveva lì da sempre. Yamano era una donna adulta, Konishi solo una liceale.

Anche da un punto di vista fisico le due vittime erano profondamente diverse e si poteva quindi escludere che l’assassino avesse sviluppato una sorta di avversione per alcune caratteristiche fisiche, così come spesso accadeva: Yamano aveva i capelli corvini e corti, era una donna abbastanza alta e aveva gli occhi grandi e scuri; Konishi invece era una ragazzina minuta, aveva i capelli lunghi e di un castano chiarissimo e gli occhi a mandorla. 

Inoltre le due non avevano alcun tipo di rapporto e, mentre Konishi conosceva praticamente ogni cittadino di Inaba, Yamano non conosceva nessuno se non i gestori della locanda dove alloggiava.

Solo una cosa le collegava l’una all’altra, facendo sì che la seconda vittima non fosse proprio completamente stata scelta a caso dopo la prima: Konishi era colei che aveva trovato il corpo di Yamano.

Che avesse visto qualcosa che l’assassino non voleva…?

Un altro fulmine cadde al suolo e Naoto si riscosse, uscendo dal suo momento di pura concentrazione.

Lanciò uno sguardo all’orologio sulla parete e notò solo in quel momento quanto fosse tardi.

Era meglio andare a dormire.

Poteva pensare il giorno dopo al caso. Aveva tempo dopotutto.

La ragazza chiuse il fascicolo e lo poggiò sulla scrivania, per poi cambiarsi e tornare nuovamente sul letto.

Avrebbe risolto quel caso.

Avrebbe dimostrato di non essere la bambina che tutti la accusavano di essere.

Avrebbe fatto vedere ad Adachi chi era sul serio e gli avrebbe fatto cambiare idea sul suo conto, portandolo finalmente a parlarle.

L’assassino non avrebbe fatto in tempo neanche ad uccidere una terza persona.

Con questa convinzione in testa, la ragazza spense la luce della camera e lanciò un ultimo sguardo alle gocce d’acqua che scivolavano lungo il vetro, per poi chiudere gli occhi e mettersi a dormire.

 

Forse aveva parlato troppo presto.

Naoto cercava di non congelare mentre si stringeva nel suo cappotto blu, tenendo le braccia incrociate e lo sguardo fisso in alto, puntato sull’albero.

Lì, era appeso un altro corpo.

Yukiko Amagi non era mai tornata a casa il giorno prima, dopo la scuola. I genitori avevano chiamato immediatamente le autorità, ma visto che non erano passate neanche 24 ore, quella segnalazione era passata in secondo piano.

E ora il suo corpo era lì, completamente bagnata dalla pioggia, la divisa scolastica ancora indosso, il coltello utilizzato per tagliarle la gola ben visibile nonostante l’altezza, in quanto era stato legato ai lunghi capelli neri della ragazza e ora penzolava, mosso dal vento.

A dare l’allarme era stata un’altra studentessa della Yasogami.

Chie Satonaka, 17 anni, colei che si era scoperto essere l’anima gemella di Amagi.

Da quel che erano riusciti a ricostruire dalla testimonianza frammentata di Satonaka, all’inizio la ragazza non era in pensiero. Amagi era solita non rispondere alle sue chiamate quando aveva da fare alla locanda di famiglia.

Poi però, qualcosa era cambiato.

Aveva sentito un forte ronzio alla testa e, quando aveva sbattuto le palpebre, i colori che conosceva oramai da anni erano spariti completamente, cosa che accadeva quando la tua anima gemella non c’era più.

Di fronte a ciò, Satonaka era corsa fuori casa, sperando che tutto quello fosse solo un incubo. Aveva vagato tutta la notte sotto la pioggia, fino a quando non aveva trovato il corpo di Amagi alle 4 del mattino.

«Non dovremmo tirarla giù?» azzardò Naoto, non smettendo di osservare quella scena, con un groppo che le si stava formando in gola.

Nella realtà non era per niente così calma come stava cercando di mostrare. La situazione le stava mettendo paura. Molta paura.

Non si era mai ritrovata davanti ad un caso di omicidi del genere e, ogni volta che il suo sguardo incontrava gli occhi semiaperti di Amagi, sentiva il sangue che le si gelava nelle vene.

Dojima, il capo del dipartimento di polizia che aveva conosciuto il giorno prima, si riscosse alle sue parole, come se anche lui fosse stato colto dalle sue stesse angosce che gli avevano impedito di pensare lucidamente. Poi annuì, dando ordine agli altri poliziotti sul posto di tirare giù la ragazza.

Mentre gli agenti si arrampicavano sull’albero, Naoto si guardò intorno, cercando di individuare qualsiasi dettaglio che potesse sfuggire ad una prima occhiata e che magari poteva adesso portarla ad identificare l’assassino.

Poco lontano, Adachi stava cercando di parlare con Satonaka che era caduta in ginocchio e stava piangendo e urlando, battendo i pugni contro l’asfalto bagnato, mentre una coperta era stata poggiata sulle sue spalle per non farle prendere freddo.

Naoto non riusciva neanche ad immaginare cosa si provasse.

Vedere la propria anima gemella venirti strappata via doveva essere una delle sensazioni più dolorose che si potesse provare in tutta la vita.

Senza che neanche se ne rendesse conto, la ragazza posò il suo sguardo su Adachi...

«Portate il coltello alla scientifica. Forse questa volta ci sono delle impronte che possono aiutarci.»

Dojima aveva iniziato nuovamente a dare ordini e Naoto si voltò, notando solo in quel momento che il corpo di Amagi era adesso a terra, sopra il telo verde.

Si avvicinò, indossando con i guanti in lattice che le avevano dato quando era stata chiamata sul posto quella mattina.

Mai aveva visto uno spettacolo più orribile.

L’intero corpo di Amagi era ricoperto dal suo stesso sangue, che era schizzato all’esterno attraverso i numerosissimi tagli che le attraversavano il corpo, il più grande dei quali era alla gola e doveva essere ciò che l’aveva uccisa.

La divisa era strappata e tagliata in più punti, la gonna era scomposta ed era stata chiaramente rimessa a posto alla meglio, dopo che l’assassino doveva averla violentata.

Le sue mani in compenso erano perfettamente pulite e, almeno ad una prima occhiata, non sembrava che la ragazza avesse lottato per la propria vita. Evidentemente era stata drogata anche lei, anche se ciò non si poteva ancora dire con certezza prima di una più accurata autopsia.

Quell’assassino era scaltro.

Terribilmente scaltro.

Un urlo acuto arrivò dalle sue spalle e Naoto si voltò, vedendo solo in quel momento che Satonaka si era avvicinata.

«Adachi! Dovevi tenerla lontana!» Dojima sgridò Adachi che, nel frattempo, cercava di tenere ferma la ragazza.

«Non è facile Dojima! E’ molto più forte di quel che sembra!» ribatté lui, afferrando la ragazza al volo quando le ginocchia di lei cedettero.

Satonaka ora era completamente priva di forze e l’unica cosa che continuava a fare era singhiozzare, sussurrando a malapena il nome di Amagi, come se questo potesse in qualche modo riportare in vita la sua anima gemella.

Naoto sentì il suo cuore frammentarsi completamente di fronte a quella scena.

«Portala in centrale Shirogane.– le disse Dojima, cogliendola completamente di sorpresa –Questo non è un posto per dei ragazzini.»

Stava succedendo di nuovo.

Stavano cercando di escluderla dalle indagini, di far sì che lei potesse esaminare al minimo il cadavere di Amagi così da avere meno prove su cui lavorare.

Ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di Dojima capì che forse non era quello il caso. L’uomo le stava mostrando uno sguardo preoccupato, che a lei ricordava molto quello che le lanciava suo nonno ogni volta che da bambina rimaneva ad ascoltare quando lui e i suoi colleghi parlavano dei casi che stavano risolvendo.

Aveva ragione: quello non era un posto per ragazzini. E, anche se forse in quel momento le stava dando della bambina, un professionista non poteva lasciare che Satonaka rimanesse lì, di fronte al corpo martoriato della sua amata.

Avrebbe dimostrato molta più maturità ad accettare quell’ordine, invece di insistere per rimanere a indagare.

«Va bene Dojima.– rispose, alzandosi e voltandosi verso la ragazza –Ci vediamo dopo in centrale. Voglio tutti i dettagli che trovate sulla mia scrivania.» continuò poi, portando un braccio intorno alla vita di Satonaka per sorreggerla.

Come se quello fosse facile.

Satonaka era almeno 20 centimetri più alta di lei…

«Sarà fatto Shirogane. Anche se non penso troveremo altro. L’assassino ha agito esattamente come le altre volte e non penso che questa volta abbia lasciato delle impronte.»

«Vorrà dire che faremo un’ipotesi col poco che abbiamo. Dobbiamo muoverci, prima che altre ragazze facciano la stessa fine.»

Dopo aver detto ciò, Naoto si voltò e, aiutando Satonaka a camminare, si diresse verso l’auto della polizia che le avrebbe portate in centrale.

 

Mayumi Yamano, Saki Konishi e ora anche Yukiko Amagi.

Naoto osservava le foto scattate dai poliziotti sulle diverse scene del crimine.

Erano tutte disposte sul tavolo di fronte a lei e c'era qualcosa che le accumunava, anche se non capiva bene cosa.

Prese tra le mani la prima, quella di Yamano.

Come si poteva vedere, la donna aveva ricevuto diverse pugnalate allo stomaco e al torace e il sangue si era riversato sui suoi vestiti bianchi, arrivando a macchiarli in maniera indelebile. Oltre a ciò, era ben visibile l'enorme taglio che la donna si trovava alla gola, e che doveva essere stato l'ultimo colpo inferto, quello mortale.

Ciò che maggiormente attirò l’attenzione della detective, fu comunque il fatto che il sangue non si trovasse solo sul corpo della donna. Questo era infatti anche riverso sull'antenna su cui lei era stata appesa e, inoltre, si trovava anche a terra, diluito in una pozzanghera d'acqua.

Naoto arricciò il naso, così come faceva ogni volta che il suo istinto le diceva che qualcosa era vitale nel dettaglio che aveva appena scoperto. Nonostante questa sensazione però, non aveva alcun indizio utile che l’aiutasse a capire cosa ci fosse di così importante.

Ripose la foto sulla scrivania e afferrò quella di Konishi, iniziando ad osservarla con la stessa attenzione che aveva riservato a quella precedente.

Così come la Yamano, Konishi presentava diversi tagli anche se, diversamente dalla donna, questi si trovavano sia sul petto che sulla parte esterna delle braccia, come se la ragazza in un barlume di coscienza avesse tentato di difendersi portando i propri arti davanti al suo corpo. Questa ipotesi poteva essere accertata anche osservando il taglio che la ragazza presentava alla gola: era molto più impreciso di quello che Naoto aveva visto sui colli di Yamano e di Amagi, come se l'assassino fosse stato colto alla sprovvista dal risveglio della ragazza e avesse dovuto ucciderla velocemente.

La detective osservò con più attenzione la foto che aveva tra le mani, cercando anche qui qualche dettaglio che le poteva essere sfuggito e che magari le avrebbe fatto finalmente avere un quadro completo sul modus operandi dell'assassino.

Ma non c'era poi così tanto da osservare in più.

L'unica cosa che quell’immagine mostrava, dopotutto, era la sola Konishi, appesa a quel palo della luce, con i vestiti zuppi e imbrattati di sangue.

Non vedendo via di uscita, Naoto passò all’ultima delle tre foto che aveva disposto sulla sua scrivania: quella di Amagi.

Non c'era poi molto da osservare in quell'ultima foto che le era stata consegnata da Dojima, due minuti prima.

Dopotutto, aveva vissuto lei stessa il ritrovamento di quel corpo solo poche ore prima, quando Satonaka aveva chiamato la polizia.

Naoto sospirò, lasciandosi completamente andare contro la sedia.

Poi si portò il dorso della mano sulla fronte, esattamente sotto la visiera del suo cappello, e chiuse gli occhi, come faceva ogni volta che cercava una risposta ad una domanda che sembrava non averne.

Sapeva che c’era qualcosa di importante in quelle tre foto.

Qualcosa che li avrebbe aiutati a individuare un comportamento caratteristico del loro assassino e che magari li avrebbe anche portati a scoprirne l’identità.

Ma cosa…?

«Satonaka, sei assolutamente certa di non aver visto nessun tipo sospetto aggirarsi intorno a Amagi?»

La voce di Dojima le arrivò alle orecchie e Naoto aprì leggermente gli occhi, puntando poi il suo sguardo sulla porta dell’ufficio dell’uomo, a pochi metri da lei.

Erano ore che quell’interrogatorio andava avanti.

Lui e Adachi erano entrati là dentro non appena erano tornati dalla scena del crimine e continuavano a fare domande a Satonaka, chiaramente cercando di trovare anche il minimo indizio utile. 

Ma Naoto sapeva che quella tortura era inutile.

Chie Satonaka non aveva assistito all'omicidio, aveva solo trovato il corpo di Amagi.

Non aveva neanche senso che continuassero a torchiarla in quel modo, come se fossero quasi sicuri che quella ragazzina indifesa potesse dare loro una rivelazione così grande da dare una svolta all’intero caso. 

Pensavano che fosse qualcuno che lei e Amagi conoscevano? Qualcuno che aveva magari pedinato la ragazza e che loro due potevano avere notato?

Quell'ipotesi non era impossibile, ma allo stesso tempo era fin troppo vaga per poter trovare il colpevole.

Alla fine dei conti, Inaba era solo una cittadina dispersa nella campagna: qui tutti si conoscevano, tutti si parlavano, tutti si incontravano.

Senza considerare il fatto che Yukiko Amagi era la figlia della proprietaria dell'Amagi Inn, l’unica locanda della cittadina.

Questo portava a due semplici conclusioni; primo: era più che normale che la ragazza conoscesse tutti gli abitanti di Inaba e che quindi potesse avere diversi potenziali nemici, anche senza che lei lo sapesse; e secondo: era la stessa locanda in cui aveva alloggiato Yamano.

E questo particolare era, secondo Naoto, l'unico motivo per cui Amagi era stata notata dall'assassino, così come allo stesso tempo era stata presa di mira Konishi.

Ma se quell’uomo prendeva di mira chiunque avesse avuto un minimo di contatto con i suoi omicidi…

Naoto si alzò, dirigendosi velocemente verso la stanza dove si stava volgendo l'interrogatorio.

Non c’erano dubbi.

Il prossimo target sarebbe sicuramente stata Chie Satonaka.

Bussò con insistenza alla porta e, quando sentì la voce di Dojima invitarla ad entrare, la aprì.

«Cosa c'è Shirogane?» le chiese l'uomo, puntando i suoi occhi su di lei.

Naoto incrociò il suo sguardo, guardando Satonaka con la coda dell'occhio.

«Sono quattro ore che la state interrogando e non penso che potrà darvi ulteriori informazioni.– gli fece notare lei, continuando a guardare l’uomo negli occhi –In più, se pensate che lei possa sapere chi è l'assassino, siete completamente fuori strada.»

Per un attimo, anche se solo per un attimo, Naoto potè notare una certa luce che fino ad allora non aveva visto negli occhi di Adachi.

Non sapeva bene cosa significasse, ma la ragazza provò una sensazione di felicità quando le sfiorò l'idea che potesse essere un moto di orgoglio che l’uomo aveva provato nei suoi confronti.

«Cosa intendi dire?»

Diversamente da quel che si aspettava, Dojima non la sgridò per aver interrotto il loro interrogatorio, né la cacciò come sempre avevano fatto gli altri poliziotti con cui aveva lavorato.

Anzi, la stava guardando con lo stesso sguardo che le aveva mostrato quella mattina, di fronte al cadavere di Amagi. Uno sguardo che, seppur compassionevole, mostrava fiducia nei suoi confronti.

Naoto fece fatica a trattenere il piccolo sorriso che si stava per formare sulle sue labbra di fronte a quei due agenti che, per la prima volta in vita sua, le stavano dando retta, senza trattarla come una bambina.

«Inizialmente, l’unico obiettivo del nostro assassino era Yamano.– disse lei, sistemandosi il cappello sulla testa, come faceva ogni volta che esponeva una delle sue teorie –Dopotutto è andato a colpire l’unica donna che si trovava qui da poco tempo, invece di iniziare fin da subito con le abitanti di Inaba.»

Dojima annuì leggermente.

Ottimo, la stava ascoltando.

«Ora veniamo ai due omicidi successivi. Sono convinto che, inizialmente, l’assassino abbia preso di mira Konishi e Amagi solo perché erano legate alla prima vittima; dopotutto,  Konishi è stata la ragazza che ha ritrovato il corpo, mentre Amagi colei che ha ospitato Yamano nella propria locanda. Forse entrambe hanno visto qualcosa che l'assassino non voleva che vedessero? Oppure l'assassino crede che sappiano qualcosa sul suo conto? Non lo so ancora. L’unica cosa che risulta chiara è che dopo l’omicidio di Yamano, l’assassino c’ha preso gusto, come dimostra il fatto che abbia ripetuto esattamente lo stesso modus operandi per uccidere le altre due vittime. Il punto è che adesso possiamo almeno ricavare una lista di chi possa essere la prossima persona a essere presa di mira.»

Quando finì di esporre la sua teoria, il silenzio calò completamente nella stanza.

Anche se nessuno parlava, tutti gli sguardi si erano posati su Satonaka che fino a quel momento era stata in silenzio, 

 gli occhi puntati in basso, mentre le lacrime le rigavano lentamente le guance e cadevano al suolo, senza emettere neanche un rumore.

«Volete dire che sarò io la prossima, vero?»

La voce con cui la ragazza pronunciò quelle parole era così rassegnata che Naoto si sentì in colpa per non averla fatta uscire dalla stanza prima di esporre la sua teoria.

«Satonaka...» provò a intervenire Dojima, portando una mano in avanti, come per poggiarla sulla sua spalla.

«Sarò io la prossima o no?» ripetè lei, la voce più tremante di poco prima.

In quel momento, fu Adachi a prendere la parola.

«È molto probabile che tu lo sia.»

Satonaka non rispose.

Continuò a guardare a terra, mentre le spalle continuavano a essere scosse dai singhiozzi.

Naoto potè vedere la gomitata che Dojima tirò ad Adachi, come per intimarlo ad avere un po’ più di tatto in una situazione del genere.

«Allora catturatelo prima che venga da me.»

Tutti e tre si voltarono verso la ragazza, non capendo cosa stesse dicendo.

«È ovvio che il nostro obiettivo sia catturarlo prima che arri-»

«Perché, se me lo ritrovo davanti,– le parole lapidarie di Satonaka bloccarono qualunque cosa Dojima stesse provando a dire –giuro che lo ammazzo.»

Anche Naoto non potè che rimanere sorpresa di fronte ad un’affermazione del genere, fatta all’interno di una centrale di polizia, in mezzo a due agenti e una detective.

Ma fu quando vide lo sguardo carico di odio di Satonaka che capì.

A lei non interessava minimamente quale sarebbe stato il suo destino. Non aveva paura, non le importava quello che le sarebbe successo, non le fregava di quello che quell’uomo avrebbe potuto farle.

Lei voleva ucciderlo.

Voleva vendicare la morte di Amagi con una tale forza che Naoto non aveva idea di cosa dirle. Lei non si era mai sentita così, non aveva mai provato un odio così grande verso una persona.

Lanciò uno sguardo ad Adachi che, nel frattempo, guardava anche lui Satonaka in modo sorpreso.

Chissà se anche lei avrebbe reagito in quel modo se a lui fosse successo qualcosa…?

«Beh, adesso posso andare?»

Vedendo che nessuno le rispondeva, Satonaka si era alzata dalla sua sedia, le lacrime che avevano completamente cessato di rigarle le guance.

Dojima la guardò per un attimo, come se stesse valutando se gli conveniva davvero lasciarla andare in quel modo.

Però, quando incrociò lo sguardo determinato della ragazza, non potè che annuire.

Senza neanche salutare, Satonaka superò Naoto e uscì dalla stanza, dirigendosi poi con passo deciso verso l’uscita della centrale, senza curarsi degli sguardi che i vari agenti di polizia le lanciavano al suo passaggio.

«Beh, speriamo che non lo ammazzi davver- ough.»

Dojima tirò una gomitata ad Adachi quando questo si lasciò sfuggire uno dei suoi commenti sarcastici.

«Non lo ucciderà perché noi lo troveremo prima. Basterà tenere d’occhio Satonaka.» disse l’uomo, continuando a lanciare occhiatacce al collega.

Naoto prese la parola.

«Dovremmo anche mandare degli agenti all’Amagi Inn.– propose –L’assassino potrebbe anche prendere di mira qualcuno che lavora là dentro.»

Dojima annuì.

«Bene, allora io torno alle mie indagini.» disse Naoto, soddisfatta di essere stata presa sul serio.

Prima che potesse uscire però, l’uomo la fermò.

«Shirogane, a proposito di Satonaka… avrei un favore da chiederti.»

La ragazza si voltò nuovamente verso di lui, ignara del fatto che quel “favore” sarebbe stata una delle missioni più difficili a cui lei avesse mai partecipato in tutta la sua vita.

~

“Questa è una pessima idea.”

Quello era stato l’unico pensiero di Naoto quando Dojima le aveva esposto ciò che lui aveva chiamato “favore” e che lei avrebbe invece rinominato volentieri “missione impossibile”.

E, nonostante fossero passati ben quattro giorni, la ragazza continuava a pensare la stessa identica cosa.

Con la divisa maschile della Yasogami High School indosso e la cartella sotto braccio, la detective si trovava ora di fronte al cancello principale del liceo di Inaba, ad osservare l'enorme quantità di studenti che entravano nell'edificio.

Ok, certo; era stata sua la supposizione che Satonaka potesse essere la prossima vittima ed aveva perfettamente senso che la seguissero per poterla proteggere e, nel migliore dei casi, catturare anche l’assassino. Ma non pensava certo che Dojima si mettesse subito in moto. E, soprattutto, non si immaginava di doversi trovare in una situazione simile.

Naoto sbuffò, superando il cancello e entrando nell’edificio, stando attenta ad attirare su di sé meno sguardi possibile.

Alla fine dei conti, veniva sempre tratta come una ragazzina.

Non che in quel caso fosse una brutta cosa però.

Dopotutto, nessun altro agente avrebbe potuto compiere quella missione senza creare scompiglio. Insomma, non è un poliziotto che si piazza davanti ad un ingresso scolastico, per accompagnare Satonaka fino a lì e fare in modo che torni a casa sana e salva non era sicuramente la migliore delle opzioni.

Inoltre questo avrebbe insospettito anche l’assassino, che avrebbe quindi potuto cambiare target…

Sì, alla fine dei conti, l’idea di Dojima non era proprio così terribile.

Era solo il fatto che fosse Naoto e non una qualunque altra sedicenne a doverla mettere in atto a renderla un completo disastro.

Con la coda dell’occhio osservò quello che gli altri ragazzi facevano, raggiungendo anche lei quello che le avevano designato come suo armadietto.

Non era mai stata in una scuola del genere prima di allora.

Aveva smesso di frequentare le scuole pubbliche quando andava in terza elementare e aveva continuato i proprio studi grazie alle lezioni private con i docenti che suo nonno aveva scelto appositamente per lei.

Eppure ora eccola lì, la detective Naoto Shirogane che si ritrovava a fingere di essere un liceale qualsiasi, trasferitosi da poco in quella cittadina.

«Shirogane, giusto?»

Una delle professoresse che si trovava lì vicino la chiamò e Naoto sussultò leggermente, completamente colta alla sprovvista.

Che avesse già fatto qualcosa di sbagliato?

No, era impossibile…

«S-Sì?» domandò, voltandosi verso di lei.

La donna la squadrò da capo a piedi, mostrando uno sguardo per niente gentile.

Naoto nel frattempo era stata fin troppo distratta dal suo abbigliamento.

La donna indossava una camicetta stretta, terribilmente stretta, che mostrava fin troppo il suo seno prosperoso. Certo, non che l’enorme scollatura e il fatto che i primi due bottoni fossero sganciati non aiutasse a quello scopo.

«Sono la professoressa Kashiwagi.– si presentò poi, passandosi una ciocca dei capelli castani tra le dita –Sono la coordinatrice della tua classe. Vieni, ti accompagno.»

Naoto non era molto sicura di voler seguire quella donna.

Tutto quanto nel suo comportamento, dal modo in cui camminava al modo in cui la guardava, la metteva terribilmente in soggezione.

Non avendo altra scelta però, la ragazza iniziò a seguire la sua professoressa, mentre sentiva lo sguardo di tutti gli studenti nel corridoio puntarsi su di lei.

Fortunatamente la sua classe non era lontana dall’ingresso.

Come Naoto aveva visto quando era andata a fare una breve ispezione nella scuola accompagnata da Dojima quella domenica, le aule degli studenti del primo anno si trovavano al piano terra e, la classe 1-3, la sua sezione, si trovava proprio accanto all’ingresso.

Questo era vantaggioso, molto vantaggioso.

Dalla porta della sua aula poteva infatti sorvegliare perfettamente le scale che portavano al primo piano, dove Chie Satonaka doveva dirigersi per andare a lezione, e allo stesso di tenere d’occhio anche gli armadietti e l’uscita.

«La lezione inizierà tra pochi minuti.– la informò Kashiwagi, continuando ad osservarla dall’alto verso il basso –Entra solo quando ti chiamo io, così ti presenti ai tuoi compagni.»

Prima che Naoto potesse anche solo ribattere, la donna era già sparita oltre la porta.

Ora sì che veniva la parte difficile.

Naoto non era mai stata brava in quelle cose.

Socializzare era per lei un qualcosa che l'aveva sempre messa a disagio, da quando aveva l'età di cinque anni.

Non si era mai trovata bene nel parlare con gli altri e, l'incubo di dover chiacchierare con un gran numero di persone, le avevano sempre fatto preferire la continuazione delle sue lezioni private, nonostante il suo segretario avesse provato più volte a iscriverla in una scuola una volta raggiunta l’età per fare le medie.

Eppure ora era lì, di fronte all'aula della classe 1-3 della Yasogami High School, e stava solo aspettando che quella donna le facesse cenno di entrare.

Fu grata del fatto che il codice d'abbigliamento non fosse così rigido e che quindi le avevano dato il permesso di tenere il suo cappello da cui odiava separarsi.

Un gran numero di voci arrivavano alle sue orecchie dalla porta dell’aula e Naoto si domandò se fosse così ogni mattina o se quel chiacchiericcio derivasse dal fatto che un nuovo studente stava per presentarsi alla classe.

Questa era comunque una delle poche domande di cui, sinceramente, sentiva che conveniva non sapere la risposta. 

«Shirogane, ora puoi entrare.»

Quando la professoressa la chiamò, la detective entrò all'interno dell'aula, trattenendo l’ansia ben visibile che si era impadronita di lei.

«Presentati alla classe.»

Oh ci mancava anche questo adesso.

Non poteva mettersi direttamente a sedere? Doveva davvero presentarsi a tutta quella gente…?

Le bastò un'occhiata per capire che le cose non sarebbero andate per niente bene.

Da quando aveva messo piede nell’aula, il chiacchiericcio di poco prima era aumentato e, soprattutto da parte delle ragazze, non stavano mancando occhiate e bisbigli rivolti a lei.

Naoto sentì quasi l’impulso di uscire immediatamente da quella stanza e di tornare in centrale, mettersi a sedere alla scrivania che le avevano assegnato e tornare a indagare per conto suo. Quando il volto contrariato di Dojima le venne in mente, però, capì che forse non era poi una buona idea.

«Sono Naoto Shirogane.– disse, cercando di apparire il più composta e fredda possibile, come al suo solito –Piacere di conoscervi.»

Non appena parlò le ragazze, che per un secondo erano state in silenzio, ricominciarono immediatamente a “sussurrarsi” qualcosa tra di loro.

Qualcosa che, anche se Naoto non voleva sentire, era comunque fin troppo udibile.

«E' carino non trovi??»

«E poi sembra così timido! Ha un'aria così misteriosa!»

«Chissà, magari è lui la mia anima gemella.»

...Forse era meglio ignorarle.

«Puoi sederti lì, Shirogane.»

La professoressa attirò nuovamente la sua attenzione e Naoto seguì il dito della donna, individuando il banco che lei le stava indicando.

Era un posto abbastanza nascosto dal punto in cui lei si trovava in quel momento, il che era un bene visto che sapeva già che avrebbe passato il tempo delle lezioni a studiare per il caso.

Dojima aveva parlato di andare a scuola, non di seguire.

Naoto si diresse al suo posto, continuando ad ignorare le occhiate e i bisbigli che la circondavano.

E fu in quel momento che il tempo fu come se si fosse fermato.

Seduto al banco esattamente dietro al suo  un ragazzo che lei era convinta di aver già visto prima la stava guardando con gli occhi spalancati, la bocca semiaperta come per dirle qualcosa che però non uscì mai dalle sue labbra, mentre le guance erano così rosse che la ragazza temette potessero andargli in fiamme.

Lei lo scrutò velocemente, cercando di capire dove lo avesse già visto.

Osservò con attenzione i capelli, di un biondo così chiaro da essere necessariamente finto, che erano tirati indietro, tenuti fermi dall'enorme quantità di gel. Passò poi a esaminare i numerosi piercing che si trovavano sia sul sopracciglio sia alle labbra che al naso e il suo sguardo fu anche catturato dal suo orecchino.

Ma fu solo quando i loro sguardi si incrociarono che Naoto lo riconobbe.

Era lo stesso ragazzo che aveva incontrato con Adachi qualche giorno prima, quando era arrivata ad Inaba per la prima volta.

Era lo stesso teppista che il poliziotto stava sgridando...

«Shirogane, qualcosa non va?»

Quando la professoressa la richiamò, Naoto si rese conto che dovevano essere passati almeno 60 secondi da quando si era completamente incantata a guardare quel ragazzo.

Imbarazzata, annuì leggermente, per poi sedersi velocemente al suo posto e tirare fuori il libro di testo.

Non aveva minimamente idea di cosa le fosse preso.

Non era la prima volta che incontrava tipi come lui e, sicuramente, non erano certo stati i piercing che indossava o il modo in cui teneva i capelli ad averla completamente fatta incantare a quel modo.

Eppure nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, Naoto aveva sentito come una fortissima scarica attraversarla.

E anche in quel momento poteva sentirla.

Poteva chiaramente percepire la tensione a cui ogni millimetro del suo corpo era sottoposto, mentre il ragazzo dietro di lei continuava a fissarla.

La ragazza poteva sentire lo sguardo di lui fisso sul suo collo, come se non avesse smesso neanche un minuto di osservarla.

Si portò le mani alle guance, rendendosi conto solo in quel momento di quanto il suo viso stesse andando a fuoco.

 

Le ore di lezione passarono così, senza che lei potesse fare molto se non seguire ciò che quella professoressa stava spiegando. 

Nonostante le sembrasse assurdo, poteva sempre sentire lo sguardo del ragazzo dietro di lei fisso sulla sua schiena, come se non avesse mai smesso di osservarla per tutto quel tempo.

Cosa voleva da lei?

Naoto non ne aveva idea, ma, dopo ben quattro ore di lezione, iniziava a sentirsi in soggezione.

La cosa che comunque la stava spaventando di più, non era il fatto che lui continuasse a fissarla, ma il fatto che quello sguardo le stava dando una strana sensazione di tranquillità e calma che mai prima di allora aveva provato.

Possibile che il suo istinto stesse cercando di dirle qualcosa?

Le era capitato molto spesso che il suo sesto senso cercasse di farle notare che qualcosa non andava in quel modo, mettendola a suo agio. Sì, nemmeno lei aveva mai capito il perché di quel paradosso.

Il suono della campanella la riscosse dai suoi pensieri e Naoto si alzò.

Era la pausa pranzo e, visto che non era venuta certo in quella scuola con l’intenzione di socializzare e “farsi nuovi amici” (come le aveva detto Dojima quando le aveva esposto il suo piano), lei era già pronta ad uscire dall'aula e a passare quel tempo a cercare Satonaka.

Non sapeva nemmeno se la ragazza era venuta a scuola quella mattina.

Naoto si era fatta dare l'indirizzo di casa di Satonaka dai suoi colleghi e, prima dell'inizio delle lezioni, si era appostata davanti lì vicino, aspettando che la ragazza uscisse.

Ma Satonaka non si era fatta viva.

Proprio in quel momento le era arrivata una mail da Dojima, che l’avvisava del fatto che i suoi genitori di Satonaka gli avevano appena riferito che ultimamente la ragazza usciva di casa molto presto, per poter passare la mattina ad allenarsi e migliorare il suo kung-fu.

Questa informazione aveva fatto suonare più di un campanellino d’allarme nella testa di Naoto.

Dopotutto non era un segreto che Satonaka volesse affrontare l’assassino...

«Ehy.»

Quando una voce la chiamò alle sue spalle, Naoto sussultò leggermente, voltandosi.

Una ragazza si era avvicinata a lei e ora le stava sorridendo.

«Tu sei Shirogane, giusto? È vero che sei un detective?»

...

Non erano passate neanche cinque ore che la sua copertura era già saltata.

«Non so di cosa tu stia parlando.» le disse lei, stando ben attenta a mantenere la sua voce mascolina.

La ragazza ridacchiò leggermente.

Naoto era abbastanza sicura di averla già vista, solo non ricordava dove.

«Eppure a me dicevi sempre tutto Nao.»

E fu in quel momento che la riconobbe.

Solo una persona avrebbe potuto chiamarla in quel modo.

Nonostante fosse evidentemente cresciuta, la ragazza non aveva perso nessuno dei suoi tratti caratteristici: aveva ancora la pelle candida e liscia, il viso magro con il mento leggermente a punta e portava sempre i capelli legati in quelle code alte che le incorniciavano il viso ed erano esattamente dello stesso colore che Naoto si era sempre immaginata ogni volta che vedeva quella bambina sorridere di fronte a lei.

Anche la voce dolce e melodiosa era la stessa di un tempo.

Colta completamente alla sprovvista, la detective afferrò il braccio della ragazza di fronte a sé, uscendo poi di corsa dalla stanza, sotto gli sguardi attoniti del resto della classe.

«Rise, si può sapere cosa ci fai qui?!»

Rise Kujikawa era stata la migliore amica di Naoto fin da quando lei ne aveva memoria.

La famiglia dei Kujikawa abitava esattamente accanto a casa sua e non era raro che lei e Rise passassero le giornate insieme.

Non che avessero mai avuto tanti interessi in comune.

Naoto ricordava bene anche come finissero spesso a litigare, visto che lei voleva passare il tempo a leggere libri che narravano dei detective che tanto ammirava, mentre l’amica avrebbe preferito giocare ad uno di quei giochini che la detective aveva sempre reputato altamente stupidi, come far finta di essere modelle o truccarsi a vicenda. Alla fine comunque trovavano quasi sempre un compromesso.

Quando i genitori di Naoto morirono, però, la ragazza si trasferì nella villa del nonno e da allora aveva completamente perso tutti i contatti con Rise.

O almeno, fino a quel momento.

«Semmai dovrei essere io a chiedertelo, cosa ci fa qui una detective come te-»

Naoto le tappò immediatamente la bocca, arrossendo.

«Usa il maschile.» le sussurrò, guardandosi intorno con la punta dell'occhio, per essere sicura che nessuno le stesse osservando.

Rise ridacchiò, spostandole la mano.

Doveva essere un incubo. Doveva per forza essere un incubo.

Rise Kujikawa era la persona meno adatta a mantenere segreti.

Non lo faceva con cattiveria, davvero, ma la sua parlantina era tale che, nel momento in cui iniziava a parlare, non si sapeva mai dove il discorso poteva andare a parare.

Con una come lei in classe, Naoto rischiava davvero di mandare a l’aria tutte le indagini.

«Scusami Naoto.– disse, e la detective le fu grata che non la stesse chiamando più con quello stupido nomignolo –Sono solo molto sorpresa di trovarti qui. Stai lavorando a quel caso di omi-»

Con uno scatto, la mano di Naoto tornò sulla bocca dell’altra.

Come volevasi dimostrare Rise era già riuscita a metterla in una situazione precaria tre volte nell’arco di cinque minuti.

Naoto si guardò nuovamente intorno, individuando almeno una decina di studenti che le stavano osservando in maniera alquanto curiosa.

«Possiamo parlarne da un'altra parte?» azzardò, guardando la ragazza negli occhi.

Doveva almeno fare in modo che nessuno la sentisse.

Rise annuì e si tolse, per la seconda volta, la mano di Naoto da sopra la sua bocca.

«Vieni.– le disse, afferrandola per il braccio –Andiamo sul tetto.»

Non che la detective avesse tanta scelta.

Prima ancora che potesse anche solo dire qualcosa infatti, la ragazza aveva già iniziato a trascinarla su per le scale, con la stessa determinazione che aveva sempre avuto, da quando erano piccola.

Un piccolo sorriso si formò sulle labbra di Naoto quando si rese conto che, nonostante tutto il tempo che era passato, Rise era rimasta esattamente la stessa.

La detective sapeva che anche lei aveva fatto carriera nel tempo in cui erano state separate.

Le era capitato più di una volta di trovarsi davanti i poster dove la ragazza veniva raffigurata nei suoi scintillanti, appariscenti e (doveva ammetterlo) a volte imbarazzanti costumi da ballo.

Aveva anche provato ad ascoltare qualcuna delle sue canzoni, ma Naoto non era molto il tipo da seguire una idol.

«Quindi, ora puoi dirmi cosa ci fai qui?»

Rise aveva aperto la porta del tetto della scuola ed era uscita all’esterno, appoggiando la propria schiena contro il recinto che delimitava il perimetro.

Naoto sospirò.

Non aveva minimamente via di scampo.

Si guardò intorno, accertandosi che nessuno fosse nelle vicinanze.

«Sì, sono qui per il caso di omicidi.– rispose, abbassando leggermente la visiera del cappello –Devo frequentare la scuola perché devo tenere d’occhio la prossima vittima.»

Gli occhi di Rise si illuminarono e la ragazza capì immediatamente di aver parlato troppo.

«Qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, è un no.»

«Posso aiutarti anche i-»

«Scordatelo.»

«Ma io-»

«Negativo.»

La idol incrociò le braccia sotto il petto, gonfiando le guance.

Di fronte a quella reazione, Naoto non potè fare a meno di pensare che era esattamente infantile come dieci anni prima.

«E io che ero pronta ad aiutarti.» commentò Rise, utilizzando il suo tono da cagnolino bastonato.

«Rise, non funzionava dieci anni fa, figurati se funziona adesso.» rispose la detective, ridacchiando.

Era strano come tutto non fosse cambiato.

Come quei dieci anni che le avevano separate fossero in realtà come se non fossero mai accaduti.

La idol sbuffò.

«Va bene va bene. Cambiamo argomento.»

Quando Naoto vide il sorriso che si stava formando sul suo volto però, si trovò a pensare che forse sarebbe stato meglio che quegli anni potessero sul serio farsi sentire.

«Hai trovato la tua anima gemella?»

La ragazza avrebbe voluto negare.

Dire ad una persona come Rise che aveva trovato la sua persona destinata, era come dirlo in diretta sulla TV nazionale. Solo che le persone a fare domande in quel caso sarebbero state migliaia, in questo una sola; ma Naoto non era poi tanto sicura quale delle due opzioni fosse la migliore.

In tutto questo, non fece neanche in tempo a dare una risposta, in quanto la idol la precedette.

«Sei arrossita! Ok, chi è il fortunato?» esclamò, allontanandosi dalla ringhiera e afferrandole le mani.

«E-eh? M-ma io-»

«Oh è una lei? Va bene uguale Naoto, ho sempre sospettato che fossi lesbica! Dimmi chi è!»

Ci mancava anche questa adesso.

«Rise aspetta-»

«Da quanto vi conoscete? State insieme da tanto? Come è stato quando l’hai trovata? Oddio, aspetta, tu quindi vedi i colori? Di che colore sono i miei capelli? E il fiocco di questa divisa? Io penso sia un colore chiaro, ma non riesco molto a comprendere quale possa essere.»

E mentre Rise continuava a sommergerla di domande, Naoto si chiese cosa le fosse passato nell’anticamera del cervello quando, pochi minuti prima, non aveva fatto finta di non riconoscerla nemmeno.

 

«Quindi... mi stai dicendo che la tua anima gemella non vuole che tu sia la sua anima gemella?»

«Grazie per l’incoraggiamento, Rise, davvero.»

Naoto si passò una mano sul volto, esasperata.

Erano ormai più di quaranta minuti che si trovavano sul tetto, sedute su una delle tante panchine di pietra che si trovavano in quello spiazzo.

In quell'arco di tempo, aveva raccontato tutto alla sua amica.

Non pensava affatto che ne avrebbe mai parlato con qualcuno e in effetti farlo le era servito molto per sfogarsi.

Le aveva raccontato di come lei e Adachi si fossero conosciuti, di come lei avesse provato (seppur non con molta insistenza) a parlare con lui e di come lui non aveva mai fatto niente per avvicinarla.

Le aveva anche esposto le sue paure, come il fatto che, forse, l'uomo non voleva stare con lei a causa della loro differenza di età.

«Ma è strano Naoto.– Rise inclinò la testa, un gesto che Naoto le aveva visto fare più volte quando erano piccole e di cui evidentemente ancora non aveva perso l'abitudine –Alla fine l'età conta poco in queste cose. Dopotutto se siete stati destinati come anime gemelle non è che lui può scappare da questo fatto, no?»

La detective non aveva mai pensato alle cose da quel punto di vista.

Rise aveva ragione, tremendamente ragione.

Dopotutto, se lei e Adachi erano destinati a stare insieme... perché lui si stava rifiutando con tutto se stesso a quel modo?

«Non è che magari hai sbagliato persona?» azzardò Rise.

«Come posso aver sbagliato persona?– le fece notare la detective, sospirando –I colori sono apparsi quando ho incontrato il suo sguardo! Non quello di qualcun altro!»

La idol la guardò per un attimo.

Poi, portò una mano al mento, come faceva sempre quando da piccole giocavano a fare le detective e facevano finta di risolvere vari casi.

Quel gesto doveva esserle rimasto impresso.

Oppure la stava prendendo in giro.

Naoto non era convinta di voler sapere quale delle due opzioni fosse la risposta.

«Aspetta, ma lui cosa sa di te?»

La domanda che Rise le aveva posto la fece tornare con i piedi per terra.

«In che senso...?» 

«In quale senso dovrei chiedertelo, Naoto? Ci avrai parlato, no? Cosa gli hai detto di te?»

Naoto non sapeva bene come rispondere a quella domanda.

A dire la verità, non erano stati poi così tanti i suoi tentativi di parlare con Adachi.

Certo, ci aveva provato, davvero; ma ogni volta che vedeva che l'uomo le dava poco spago, la ragazza smetteva immediatamente di tentarci e si comportava come se nulla fosse, chiudendosi completamente a riccio.

Le loro "chiacchierate" poi (se così si potevano definire) riguardavano solo il caso e mai i loro fatti personali, i loro hobby, ciò che li riguardava...

«Naoto?»

«Ci sto pensando Rise, non mettermi fretta.»

La idol davanti a lei si lasciò andare una piccola risata quando vide che Naoto era in difficoltà.

Sicuramente doveva trovare divertente il fatto che, per una volta, non era lei quella ad aver bisogno di aiuto, così come accadeva quando erano piccole.

Ma cosa poteva farci? Non era mai stata brava in quelle cose!

«Almeno sa che sei una ragazza?»

«Certo che lo s-»

La detective si bloccò, voltandosi incredula verso l'amica.

Adachi sapeva che lei era femmina?

«Oddio Naoto, sei un caso disperato!»

Non sapeva perché, ma quell'uscita Naoto se l'aspettava.

«Non ci ho pensato! È successo tutto così in fretta che non ci ho fatto poi così tanto caso!»

Ora sì che si stava vergognando.

Non poteva credere di aver commesso un errore del genere, non per un qualcosa di così importante poi.

Rise si stava chiaramente trattenendo dal mettersi a ridere, perché le due piccole fossette che si formavano ogni volta che stava per farlo erano ben visibili sul suo volto.

«Quindi mistero risolto, no? Lui non è gay e quindi non comprende il perché tu sia la sua anima gemella.– le disse la idol, sorridendo –Ma se ora ne parlate insieme sono convinta che le cose andranno per il meglio.»

Naoto avrebbe voluto ribattere, ma per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata, sentiva che non ce n'era il bisogno.

Rise aveva ragione.

La detective sorrise, rendendosi conto che forse, quindi, tutto non era davvero così perduto come se lo era immaginato.

«Rise è questo che volevi?»

Una voce arrivò dalle sue spalle e la ragazza sussultò, completamente colta alla sprovvista.

«Kanji! Ma quanto ci hai messo? Ti ho mandato il messaggio oramai trenta minuti fa!»

Rise si era alzata in piedi e si stava adesso dirigendo verso il ragazzo che era appena apparso dietro di loro.

Naoto sentì il suo cuore perdere un battito non appena notò i piercing e i capelli biondi che aveva osservato poche ore prima.

Era lo stesso ragazzo che stava al banco dietro di lei.

«Ho visto che stavate parlando. Non mi sembrava il caso di disturbarvi.»

Oddio no.

Non poteva aver sentito!

«Kanji, non si origliano i discorsi degli altri!»

Il tono con cui Rise pronunciò era giocoso e chiunque avrebbe sorriso ad un’affermazione del genere.

Il volto del ragazzo, però, rimase completamente impassibile.

Questa cosa doveva aver colto di sorpresa anche Rise, perché Naoto la vide inclinare la testa di lato, come per domandarsi cosa stesse succedendo.

«Non ho origliato niente.– disse lui, passandole il sacchetto in cui teneva il cibo comprato alla mensa scolastica –Vi ho solo visto da lontano e ho capito che stavate facendo un discorso serio. Quindi ho aspettato.»

Non sapeva perché, ma Naoto non era minimamente convinta di quella teoria.

Anzi, il fatto che quel ragazzo fosse stato fino a quel momento dietro alla porta del tetto, le fece pensare che in realtà aveva fatto di tutto per sentire la loro conversazione.

Fu in quel momento che si rese conto che lui la stava osservando, con un’espressione che la ragazza non riusciva a decifrare in volto.

«Adesso me ne vado comunque.»

Il ragazzo che doveva chiamarsi Kanji si voltò dando le spalle alla detective, dopo aver pronunciato quelle parole con un tono di voce neutro, quasi completamente inespressivo.

«Eh?– Rise lo afferrò per un braccio –Ma non mangi con noi? Volevo presentarti il mio amico!»

Naoto fu grata di sentire che la idol stava continuando a usare il maschile quando si riferiva a lei.

Forse poteva sperare che la sua copertura non cadesse così presto come aveva immaginato quella stessa mattina.

«No Rise, ho da fare.» rispose lui, in maniera secca.

La detective vide la sua amica aprire la bocca per ribattere, ma, con sua grande sorpresa, Rise non disse niente e le sue labbra si richiusero lentamente.

Un'espressione preoccupata, quasi malinconica, si dipinse sul suo volto, mentre continuava ad osservare il volto del ragazzo accanto a lei.

Poi, lentamente, lasciò andare il suo braccio, senza smettere di osservarlo.

Naoto non poteva sapere cosa Rise avesse visto nel viso di quel ragazzo per convincerla a lasciarlo andare, senza fare alcuna storia. Ma poteva immaginare che fosse successo qualcosa di serio.

Dopotutto, quello non era minimamente un comportamento “da Rise”.

«Ci vediamo dopo... ok?» gli disse, con un tono che la detective non le aveva mai sentito usare prima.

Il ragazzo non disse nulla.

Annuì semplicemente, dirigendosi poi verso l'uscita del tetto, senza che Naoto riuscisse a vedere il suo volto.

Rise rimase per un attimo a osservare il punto dal quale il ragazzo era uscito, senza dire una parola.

«Rise è tutto ok?»

Quando Naoto la chiamò, la ragazza si voltò verso di lei.

Per un attimo, anche se solo per un attimo, le mostro quell’espressione confusa e malinconica di poco prima.

Poi, come se niente fosse successo, tornò a essere la Rise di sempre.

«Sì, va tutto bene– rispose, sorridendo –Ora mangiamo prima che la pausa pranzo finisca!»

Nonostante la cosa fosse sospetta, Naoto decise di non fare più domande.

~

Nonostante Naoto avesse lavorato a casi ben più impegnativi di quello, non aveva mai avuto una così pesante giornata di lavoro prima di allora. 

Dopo aver passato il resto delle ore scolastiche a lezione, la ragazza aveva aspettato Satonaka appostata accanto alla porta della sua aula, osservando le scale che portavano al piano superiore.

Con lei c’era Rise, anche se ovviamente la detective l’aveva lasciata completamente ignara di quello che stesse facendo.

Quello che la ragazza notò in quel periodo di tempo in cui rimasero insieme, fu che la idol continuava a lanciare occhiate preoccupate al banco dietro a quello di Naoto, il posto del ragazzo chiamato Kanji.

In effetti, quando erano tornate dalla pausa pranzo, la sua cartella non c’era più e il ragazzo non si era più fatto vivo a lezione.

Non che questo a Naoto interessasse. Non aveva alcun contatto con quella persona, né ci teneva particolarmente ad averlo.

Comunque, dopo aver aspettato per circa 30 minuti Satonaka e quando stava ormai per andarsene, convinta che forse alla fine la ragazza non era venuta a scuola quella mattina, la detective individuò finalmente il suo obiettivo.

Dopo aver salutato velocemente una Rise alquanto confusa dalla fretta improvvisa della sua amica, Naoto, senza farsi notare, aveva seguito Satonaka per tutto il tragitto verso casa, così come Dojima le aveva ordinato.

Era quasi convinta di aver finito il suo lavoro e di poter finalmente tornare in centrale, quando si rese conto che, evidentemente, la ragazza non aveva alcuna intenzione di tornare a casa subito dopo la scuola, ma aveva decisamente voglia di portare avanti il suo allenamento intensivo di kung fu.

La detective fu infatti costretta a seguirla per quasi tutta Inaba, mentre quella che era diventata una sua senpai continuava a correre e a fermarsi ogni tot metri, per fare i suoi esercizi di arti marziali.

In breve, Naoto riuscì a liberarsi solo quando il sole era ormai quasi del tutto calato e Satonaka era finalmente entrata nella sua abitazione.

«Hai corso per caso Shirogane?»

La detective lanciò uno sguardo arrabbiato a Dojima.

Adesso si trovava a sedere alla sua scrivania, il fiatone che ancora non le era andato via del tutto e un bicchiere d'acqua nella mano sinistra.

«Non si nota, Dojima?» gli rispose, sarcasticamente.

L'uomo ridacchiò, portando la mano dietro il collo.

Naoto ricordò che anche Adachi lo faceva spesso, così come aveva potuto constatare la prima volta che si erano conosciuti.

Che fosse un gesto che aveva assimilato osservando il suo superiore?

«Ti ringrazio per quello che hai fatto.– le disse poi l’uomo, lasciando Naoto leggermente confusa –Nessun altro poteva fare da infiltrato a scuola, spero che almeno ti farai degli amici.»

Sinceramente, quello era proprio l'ultimo dei suoi pensieri al momento.

«Non ho bisogno di così tante attenzioni Dojima.– rispose lei, nonostante non riuscisse a eliminare completamente l'ombra del sorriso che si era formato sulle sue labbra –Non sono un bambino.»

L'uomo la guardò per un attimo.

Naoto non sapeva davvero perché, ma si pentì quasi di aver pensato che quel poliziotto l'avesse trattata come una bambina il primo giorno in cui aveva lavorato lì.

Solo in quel momento forse si era resa conto che lui cercava solo di proteggerla.

«Beh, lo so che non lo sei. Ma vedi di non crescere troppo in fretta, ok?– le disse lui, alzandosi –Ora torniamo a lavoro.»

Naoto rimase leggermente sorpresa da ciò che l'uomo le aveva appena detto.

Erano le stesse identiche parole che le ripeteva sempre suo nonno ogni volta che lei, da bambina, insisteva per prendere parte ad uno dei suoi casi.

Una leggera sensazione di felicità la colse quando si rese conto di quanto Dojima tenesse a lei.

«La ringrazio Dojima.» sussurrò, sorridendo debolmente.

L'uomo le sorrise a sua volta, per poi dirigersi verso il suo ufficio, lasciandola sola.

Naoto si guardò intorno.

La stazione di polizia era quasi del tutto vuota e quasi nessun agente continuava a lavorare a quell'orario.

Forse poteva davvero provarci.

Poteva davvero andare a parlare con Adachi, a spiegargli la situazione...

Dopo la chiacchierata con Rise, Naoto si sentiva molto più sicura su quel fronte, soprattutto dopo che la sua amica le aveva fatto notare il suo madornale errore.

Dopo aver lanciato un’ultima occhiata alle foto e ai fascicoli che aveva sulla scrivania e che fino ad un minuto prima aveva intenzione di riesaminare dall’inizio, per l’ennesima volta, in cerca di quel dettaglio che continuava a sfuggirle, la ragazza decise che a quello poteva pensarci anche più tardi, a casa sua.

Sì alzò quindi dalla sedia, dirigendosi verso quello che aveva capito essere l'ufficio dell'uomo che le interessava.

Quando alzò la mano per bussare sentì il suo cuore iniziare a batterle nel petto, come se quel momento fosse uno dei più importanti della sua vita.

E, in effetti, lo era.

Ciò che si sarebbero detti lei e Adachi di lì a poco avrebbe messo fine a quella storia che continuava da quando lei aveva messo piedi ad Inaba.

Dopotutto, non aveva alcun senso continuare a soffrire e a correre dietro quell'uomo se lui non voleva avere niente a che fare con lei.

Ma, almeno questo, Naoto voleva sentirselo dire di persona.

La ragazza fece un respiro profondo, raccogliendo tutto il coraggio di cui aveva bisogno e cercando allo stesso tempo di mantenere la sua solita compostezza.

Ma, quando le sue nocche stavano per toccare la porta di legno, questa si aprì.

E Naoto sentì nuovamente, per la terza volta quel giorno, il suo cuore fermarsi.

Il ragazzo che Rise aveva chiamato Kanji si trovava davanti a lei, con un’espressione triste in volto.

Non sapeva perché, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, come era successo quella mattina, la ragazza sentì una forte fitta al petto, come se lei stessa non potesse sopportare la tristezza che poteva vedere riflessa negli occhi di lui.

Tristezza che, però, durò a malapena un secondo.

Quando la riconobbe, Kanji tornò immediatamente a mostrarle la sua espressione neutra che lei aveva già potuto osservare durante la pausa pranzo, sul tetto della scuola, e, senza neanche salutarla, la superò, dirigendosi velocemente verso l'uscita.

Naoto lo seguì con lo sguardo, continuando ad osservare quella schiena che si allontanava, esattamente come era successo poche ore prima, la forte sensazione di malinconia che l’aveva travolta che ancora non se n’era andata.

Sentì quasi l’impulso di corrergli dietro, di fermarlo, afferrandogli il braccio, e di urlargli qualcosa di cui neanche lei era a conoscenza.

Mosse il primo passo, come in un completo stato di tranche.

«Shirogane, devi dirmi qualcosa?»

Solo quando Adachi la chiamò la ragazza si rese conto di dove si trovava..

Si voltò verso di lui, maledicendosi interiormente per essersi distratta a quel modo.

Cosa cavolo le era preso?!

«Sì, devo parlarti.» riuscì a dire, rendendosi conto solo in quel momento di quanto la sua voce fosse più roca del solito.

Doveva assolutamente ricomporsi.

«Anche io.– rispose lui, sorridendole –Entra pure.»

Naoto entrò nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle, avvicinandosi poi alla scrivania.

Ad ogni passo che muoveva verso l’uomo di fronte a lei poteva sentire tutta la sensazione di malinconia di poco prima svanire, poco a poco, e venire nuovamente sostituita dall’ansia.

«Non essere così teso.– ridacchiò Adachi, indicandole la sedia di fronte a lei –Siediti pure, non mordo mica.»

La ragazza annuì, mentre sentiva il cuore iniziarle a martellarle nuovamente nel petto.

Calma. Doveva stare calma.

Dove era finita tutta la compostezza che era riuscita a recuperare prima di bussare a quella dannata porta?

«Dimmi pure.»

Adachi le fece cenno di parlare e Naoto si chiese se ne poteva essere davvero in grado.

Abbassò lo sguardo, puntando gli occhi sulle sue mani, che teneva congiunte sul suo grembo.

Doveva parlare.

Doveva tirare fuori quelle parole che continuavano a vibrarle nella gola e che non avevano abbastanza forza per uscire.

Doveva mettere fine a quella storia.

«Volevo solo dirle che non comprendo il suo atteggiamento.– quando iniziò a parlare, Naoto non riuscì neanche a capire da dove stesse tirando fuori il coraggio per farlo –È da quando ci siamo incontrati ed è successo quello che è successo che io cerco di attirare la sua attenzione. Ma ogni volta che ci provo lei mi stronca sul nascere. So che è imbarazzante chiederlo, ma c'è qualcosa che non le piace di me? C'è un motivo particolare che  l’ha spinto ad ignorarmi nonostante il fatto che io e lei siamo anime gemelle...?»

Le parole, che inizialmente uscivano dalle sue labbra con una velocità normale, avevano ricevuto un decisivo sprint finale, mentre il loro volume si era abbassato notevolmente, così che l’ultima domanda era stata quasi un sussurro.

Il silenzio era calato nella stanza.

Naoto non aveva neanche il coraggio di alzare lo sguardo e incontrare quello di Adachi.

Forse era arrabbiato?

 Cosa sarebbe successo adesso? L'avrebbe odiata sul serio?

Visto che l’uomo continuava a non risponderle, con la coda dell'occhio, la ragazza provò a osservare la sua espressione.

Il suo cuore perse un battito.

Adachi era arrossito.

«Vedi Naoto... posso chiamarti così vero?– quando Naoto annuì con decisione, lui continuò –Il punto è che io sono sempre stato convinto di essere etero. E tu sei-»

«Sono una ragazza.» 

Il silenzio calò nuovamente tra di loro e Naoto pensò che forse avrebbe dovuto usare un po' più di tatto.

Solo non sapeva davvero come altro dare quell’informazione.

Solo il fatto che Rise avesse ragione le sembrava una pazzia.

Guardò nuovamente l'uomo di fronte a lei.

Ora si che era arrossito.

Dopo un tempo che le sembrava infinito, Adachi si schiarì la voce.

«Scusami, ecco... non lo sembri molto.» commentò, portandosi la mano dietro al collo.

Era a disagio.

E questa cosa Naoto la trovava fin troppo carina.

«Beh, è quello il mio scopo.» ridacchiò leggermente lei, abbassando la visiera del proprio cappello.

Anche lei era a disagio.

E questa cosa a Naoto piaceva decisamente meno.

Stettero in silenzio per un tempo che gli sembrò quasi infinito.

Nessuno dei due osava muovere neanche un muscolo, come se avessero entrambi paura di fare un qualcosa che avrebbe potuto spaventare l'altro.

«Naoto.»

La ragazza sussultò visivamente quando Adachi la chiamò per nome.

«Sì...?» domandò, non avendo neanche il coraggio di alzare lo sguardo.

Cosa le avrebbe detto?

Magari adesso stava prendendo davvero in considerazione l'idea di uscire con lei?

O magari anche adesso non voleva avere niente a che fare con una sedicenne con chiari problemi con la sua femminilità?

«Guardami.»

Naoto deglutì.

Lentamente, alzò lo sguardo, dirigendolo verso di lui.

E fu in quel momento che accadde.

Adachi si sporse lungo la scrivania e le loro labbra si unirono.

Il cuore della ragazza iniziò a martellarle con così tanta forza nel petto che lei pensò che poteva rischiare sul serio di morire lì, in quella stanza. Ma allo stesso tempo pensava che, se era quello il motivo della sua morte, le poteva andare anche bene.

Non avendo minimamente idea di come comportarsi, cercò di lasciarsi andare e fece in modo che Adachi prendesse il controllo della situazione.

Quando lui iniziò a tornare lentamente verso il suo posto, al di là della scrivania, Naoto si alzò e poggiò le mani sul tavolo, non volendo che quel contatto si eliminasse troppo velocemente.

Dopo un tempo che le sembrò infinito, ma che doveva essere in realtà al massimo qualche minuto, Adachi si allontanò da lei, per riprendere fiato.

Naoto poteva sentire tutto il suo corpo tremare.

L'uomo le sorrise, ridacchiando leggermente.

«Sei arrossita tantissimo, Naoto.»

Beh, voleva ben vedere.

Quello era stato il suo primo bacio.

Naoto Shirogane, colei che aveva da sempre creduto di rimanere sola a vita, aveva adesso dato il suo primo bacio ad un uomo.

E non solo questo uomo non sembrava inorridito dal modo in cui lei lo aveva baciato, ma era anche la sua anima gemella. Cosa doveva chiedere di più?

«S-scusam- c-cioè, mi scusi.» rispose, riportando nuovamente la mano alla visiera del suo cappello e abbassandola sul suo volto.

Ora sì che si sentiva in imbarazzo.

«Tranquilla, non devi scusarti.– le rispose lui, passandole il dorso della mano sulla guancia e facendola sussultare –Ti trovo carina, e puoi darmi del “tu”.»

Se voleva ucciderla era sicuramente sulla strada giusta.

Non era minimamente abituata a ricevere quel tipo di complimenti e attenzioni e il fatto che fosse l'uomo che il destino aveva scelto per lei a farlo, le metteva ancora più in ansia.

«Non sono abituata...»

«Tranquilla, nemmeno io.– le rispose lui, continuando a usare il suo tono dolce –Ci faremo l'abitudine insieme.»

Naoto sorrise, alzando finalmente lo sguardo.

Aveva ragione.

Loro erano lì l'uno per l'altra, e lo sarebbero sempre stati.

«Adachi hai guardato il nuovo fascicolo che ti ho mandat-»

Quando la porta dell'ufficio si aprì, sia Naoto che Adachi sussultarono, allontanandosi di scatto e tornando ognuno sulla propria sedia.

La ragazza fu grata di stare dando le spalle a Dojima, perché chiunque guardandola avrebbe potuto capire cosa era appena successo in quella stanza.

«Ho interrotto qualcosa?» domandò Dojima, chiaramente tentennante.

«Assolutamente niente, Dojima.– rispose tranquillamente Adachi e Naoto non poté che rimanere affascinata dal modo calmo in cui stava affrontando quella situazione –Stavo solo dando a Shirogane qualche dritta, visto che ha sempre lavorato in solitaria non è abituato a collaborare con la polizia.  Ho notato che cercava di fare tutto il suo lavoro da solo, quindi volevo solo essergli utile.»

La ragazza sentì un piccolo colpo al petto quando Adachi tornò a chiamarla per cognome.

Non che potessero farci molto.

Non era sicuramente una buona idea iniziare a comportarsi da fidanzatini davanti a Dojima.

Soprattutto perché, agli occhi degli altri, lei era pur sempre un ragazzo.

«Capisco...»

Il tono dell'uomo non era il più convinto che Naoto aveva sentito nella sua vita.

Anzi, a dire la verità, era il meno convinto che avesse mai sentito.

Ma poteva almeno sperare che se la fosse bevuta... no?

«Comunque non è tardi per te, Shirogane? Dovresti tornare a casa.»

Quando Adachi le disse in quel modo, Naoto capì al volo che quella era la sua occasione per salvarsi dalle domande che Dojima avrebbe fatto di lì a poco.

«O-oh.– disse, tossendo poi nel momento in cui sentì che la sua voce era molto più roca di quel che si aspettava –Sì hai- ha ragione. La ringrazio per i consigli.» si corresse immediatamente quando usò il “tu” invece del “lei”, sperando che l’altro poliziotto non se ne fosse reso conto.

La ragazza si alzò, pregando con tutta se stessa che le gambe non ricominciassero a tremarle come poco prima e le facessero perdere l'equilibrio.

«Ci vediamo domani.» disse poi, fiondandosi fuori dalla porta, mentre Adachi la salutava sorridendo e Dojima le lanciava uno sguardo leggermente spaesato.

 

Era successo davvero.

Da quando era tornata al suo appartamento, Naoto non riusciva a pensare ad altro.

Anzi, dire così non era corretto.

Già per strada non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo in quell’ufficio.

E adesso, sdraiata sul suo letto sotto le coperte, la ragazza non sembrava minimamente riuscire a prendere sonno.

E come poteva?

Aveva la mente così occupata da pensieri che fino ad allora non l'avevano mai neanche sfiorata che non ricordava nemmeno cosa aveva mangiato per cena appena un'ora prima!

"Ok Shirogane, datti una calmata."

Non era da lei impazzire in quel modo, anche se nel mezzo c'era una causa del genere.

Doveva in tutti i modi tornare a essere la Shirogane di sempre, quella calma e composta.

Ma come poteva se i suoi pensieri continuavano a tradirla?

Aveva anche provato a rileggere nuovamente i fascicoli riguardante il caso, ma il suo cervello non era proprio in grado di connettere.

Si stava comportando così tanto come Rise in quel momento-

Giusto, Rise!

Magari le sarebbe interessato sapere come era andata no?

Naoto afferrò il suo telefonino, scrivendo immediatamente un messaggio  alla sua amica.

 Naoto Shirogane:

     TTT BN. C SIAMO BACIATI!

...

Sembrava il messaggio scritto da una tredicenne in piena tempesta ormonale.

Non che lei si sentisse tanto diversa da una di loro.

La ragazza lanciò uno sguardo all'orologio sulla parete.

Erano le undici passate.

Chissà se la sua amica stava già dorme-

Il telefonino vibrò tra le sue mani e Naoto tornò ad osservarlo.

 Rise Kujikawa:

     DAVVERO?! Pensavo di morire ad aspettare un tuo mess! Racconta!! (σ`・∀・)σ

Naoto ridacchiò quando vide come Rise le aveva appena risposto.

Poi, scrisse la risposta.

 Naoto Shirogane:

     T L HO DTT, C SIAMO BACIATI. DMN T RCCNT. XXXX

Ogni volta che ripensava a quel fatto, Naoto sentiva il cuore andarle più veloce nel petto.

Era successo davvero.

Ancora non riusciva a crederci.

Lanciò un altro sguardo all'orologio, vedendo che le lancette si erano mosse solo di qualche centimetro.

Chissà cosa stava facendo Adachi in quel momento.

Era ancora a lavoro? Stava pensando a lei?

Il telefono nelle sue mani vibrò e Naoto si voltò nuovamente verso lo schermo, aspettandosi la risposta al suo messaggio da parte di Rise.

Il suo cuore perse un battito e le sue guance presero letteralmente fuoco quando vide che il messaggio che le era appena arrivato era di tutt'altra persona.

 Tohru Adachi:

     Tutto ok?

Naoto rimase qualche secondo ad osservare il messaggio, con le mani che continuavano a tremarle per la felicità.

Non aveva scritto poi niente di che, ma lei non si aspettava di sentirlo fino al giorno dopo.

Non fece neanche in tempo a rispondere che un nuovo messaggio le apparve davanti agli occhi.

 Rise Kujikawa:

     Qst nn è una descrizione Naoto! (TДT)

Dmn voglio tutti i dettagli! ヽ(o♡o)/

Naoto iniziò a scrivere, con le mani che continuavano a tremarle.

 Naoto Shirogane:

     MI HA APPN SCRITTO!!!!!!

 Rise Kujikawa:

     Cs aspetti?! Sbrigati a risp e fammi sapere!

Oh, giusto.

Si stava scordando di fare quella cosa così basilare.

Con le mani ancora tremanti, Naoto tornò al messaggio che Adachi le aveva inviato, premendo su “rispondi”.

Si concentrò, iniziando a scrivere.

 Naoto Shirogane:

     Sì, sto bene. Tu? Sei a casa?

La ragazza rilesse più volte il messaggio, stando attenta a non inserire abbreviazioni o punti esclamativi, che potevano esserle sfuggiti.

Poi, lo inviò.

Dopo neanche un minuto, il suo telefono vibrò di nuovo..

Tohru Adachi:

     Io sto bene, sono tornato ora a casa. Avevo paura che stessi già dormendo, scusami se ti ho svegliata in caso. Ma volevo sentirti.

Naoto nascose il volto nel cuscino.

L'avrebbe uccisa.

L'avrebbe sicuramente uccisa.

Giusto cavolo doveva rispondere.

 Naoto Shirogane:

     Non preoccuparti, non mi hai svegliata. Anche io volevo sentirti.

Ora sì che sentiva il suo cuore esplodere.

Possibile che nel profondo fosse davvero una tredicenne con chiari sbalzi ormonali?!

 Tohru Adachi: 

    Sei libera domani sera?

Oddio.

Oddio l'aveva appena invitata a cena.

Prima ancora che potesse scrivere una risposta, il telefono vibrò nuovamente e la schermata di un “nuovo messaggio” le apparì in sovrimpressione.

 Nuovo messaggio da Rise Kujikawa:

     Allora??????????????? (。ノ・ω・)ノ

Naoto cliccò immediatamente su rispondi, così da avvertire la ragazza e chiederle anche un consiglio su cosa rispondere.

 Naoto Shirogane:

    RISE!!! MI HA INVITATA A CENA!!! DMN!!! DA LUI!!! CS GLI DICO?! RISP!!!!!!!

Naoto aspettò per un po', sperando che Rise si sbrigasse a scrivere.

Quando il suo telefono vibrò, alzò immediatamente lo sguardo.

 Tohru Adachi:

     È un sì...?

...? Di cosa stava parlan-

Naoto sentì il bisogno di sprofondare.

Aveva sbagliato chat.

Lei, Naoto Shirogane, aveva davvero inviato un messaggio del genere nella chat sbagliava.

Voleva morire.

 Naoto Shirogane:

     ...sì, ho sbagliato il destinatario...

Voleva con tutta se stessa che il terreno si aprisse e lei sprofondasse all’inferno.

Adachi stava sicuramente ridendo di lei in quel momento.

Il telefono vibrò nuovamente e lei ebbe quasi paura di guardarlo stavolta.

 Tohru Adachi:

     Tranquilla. Trovo carino il modo in cui scrivi, non me lo aspettavo. Allora domani da me alle otto?

Naoto si sentì nuovamente in paradiso.

Sorrise, cominciando a rispondere.

 Naoto Shirogane:

     Va benissimo, a domani <3

Si accorse troppo tardi di aver inviato anche il cuoricino.

Ma che cavolo le era venuto in mente?!

 Tohru Adachi:

     Ahaha, a domani <3 buona notte.

...

Ora si che dormire sarebbe stato problematico.

 

Il giorno dopo Naoto non si era mai sentita così tesa in tutta la sua vita.

Aveva passato tutte le lezioni a guardare fuori dalla finestra, ignorando completamente ciò che i professori stavano spiegando alla lavagna.

Era come se la sua testa non volesse smettere di girare e fantasticare neanche per un singolo istante.

Non si era mai sentita così prima di allora. Non aveva mai provato quella fortissima sensazione di felicità.

Aveva così tanto la testa tra le nuvole che si stava addirittura scordando di andare a controllare come stesse Satonaka quella mattina.

Se ne era resa conto con "soli" venti minuti di ritardo, quando ancora si trovava sul suo letto, a guardare il soffitto e a fantasticare su come avrebbe passato la serata invece di essere appostata vicino alla casa della ragazza.

Fu in quel momento che si rese conto che quella sua condizione le stava dando più grattacapi di quanto lei stessa pensasse.

Non le era mai capitato di non riuscire a seguire un pensiero logico, nonostante nella sua vita avesse sempre messo davanti il lavoro alla sua vita privata.

Sapeva che presto sarebbe dovuta tornare con i piedi per terra.

L'assassino era ancora in libertà e non si sarebbe certo fermato solo perché lei aveva scoperto cosa fosse l'amore.

Però… poteva non pensare al caso per una giornata, no?

Anche volendo, non avevano trovato altre prove che potessero aiutarli ad individuare l’assassino e rileggere all’infinito quei fascicoli non l’avrebbe certo aiutata.

Nonostante la sua condizione, infatti, la ragazza quella mattina aveva comunque dato un’altra occhiata alle foto e a tutte le prove fino a quel momento raccolte.

C’era qualcosa che continuava a bussare sul fondo della sua testa, come per indicarle che c’era ancora un indizio che non aveva trovato ma che era lì, davanti ai suoi occhi.

Ma più guardava quelle immagini e più le sembrava impossibile...

Solo quando la campanella della pausa pranzo suonò, Naoto si riscosse dai suoi pensieri e si rese conto che il posto dietro di lei era vuoto e che quel ragazzo di nome Kanji non si era presentato nuovamente alle lezioni, così come era successo il pomeriggio del giorno prima.

Non che a lei importasse.

Non aveva intenzione di legare in alcun modo con un ragazzo del genere, soprattutto dopo averlo visto più volte discutere con Adachi.

Ma più pensava di volersi allontanare da lui, più in realtà lo cercava con lo sguardo e sentiva il bisogno di parlargli.

E il fatto che non ne capisse il motivo la stava mandando completamente nel panico.

«Terra chiama Naoto.»

Quando Rise le sventolò la mano davanti agli occhi, la ragazza si riscosse.

Solo in quel momento si rese conto che la sua amica aveva occupato la sedia del posto davanti a lei e aveva poggiato due panini sul banco.

«Sì...?»

«Ho preso da mangiare. Non puoi stare tutto il giorno a stomaco vuoto e visto che tu non ti sei alzata e non sei andata alla mensa, l'ho fatto io.» le disse, afferrando uno dei due panini e iniziando a togliere l’involucro di plastica che aveva intorno.

Naoto annuì, ringraziandola e prendendo l’altro.

La detective guardò la idol mangiare in silenzio, mentre si chiedeva come fosse possibile che ancora non avesse iniziato con il suo interrogatorio.

Era strano che si trattenesse così a lungo.

«Stai pensando a stasera eh?»

Eccola.

Ora sì che era la Rise che conosceva.

Nonostante Naoto si aspettasse quella domanda, le sue guance non poterono fare a meno di andarle a fuoco.

«N-non è vero!» tentò di esclamare, ma la sua voce era quasi un sibilo.

Rise ridacchiò, afferrandole poi il cappello.

«Rise? Restituiscimelo!»

«Oh, così si che sei carino.– commentò l'altra, tenendo il cappello in alto, per far si che la sua amica non potesse raggiungerlo e utilizzando il maschile, così le aveva chiesto il giorno prima –Stasera dovresti andarci senza.»

Naoto arrossì.

Si voltò verso la finestra, osservando il suo riflesso.

La ragazza aveva ragione, era molto più carina senza il cappello indosso.

Ma questo non voleva dire che non si vergognasse.

«E soprattutto,– continuò Rise, mentre un sorriso leggermente inquietante si dipingeva sulle sue labbra –niente bende.»

Il sangue le si gelò nelle vene.

«C-cosa?» sussurrò la ragazza, incredula.

Non usciva di casa senza bende da anni.

Esattamente da quando il suo seno aveva iniziato a svilupparsi.

La idol però non sembrava volerla ascoltare, ma anzi, continuava a parlare, come se non fosse minimamente interessata alle sue lamentele.

«Ah, e dopo la scuola vieni a casa a mia. Così scegliamo dei vestiti adatti.»

«Aspetta Ris-»

«Sì sì, lo so che devi fare il tuo lavoro prima. Non preoccuparti, ti aspetto.»

«Non è questo-»

«Osa dire di “no” Naoto e stai certa che ti trascino con la forza.»

Di fronte alla determinazione della sua amica, la detective non ebbe più il coraggio di ribattere.

E mentre Rise continuava a parlare di come avrebbe voluto vestirla e di come lei si sarebbe dovuta comportare, Naoto spostò lo sguardo nuovamente fuori dalla finestra, notando solo in quel momento le grossi nubi nere.

Nonostante non sapesse il perché, sentì un brivido scorrerle lungo la schiena quando pensò che sicuramente, quella sera, sarebbe piovuto.

~

“Io lo sapevo che era una pessima idea.”

Ora si che Naoto si sentiva a disagio.

Di fronte alla porta dell'appartamento di Adachi, la detective guardò per un'ultima volta il suo riflesso nella vetrina del negozio che si trovava lì accanto, incredula che la ragazza riflessa e lei fossero la stessa persona.

Rise le aveva sistemato i capelli in modo che questi assumessero una forma un po' più sbarazzina e non fossero precisamente tutti al loro posto, come invece lei era solita tenerli.

Al collo portava un piccolo pendente dello stesso colore dei suoi occhi, che ricadeva perfettamente sul suo seno, fin troppo messo in mostra per i suoi gusti dalla scollatura a cuore che la idol aveva detto le sarebbe stata divinamente.

Ma non era certo quello il problema.

Cioè, non che quello non lo fosse, solo non era il problema maggiore dell’outfit che Rise aveva scelto per lei.

Il problema più grande è che quello che stava indossando era un vestito.

Un abito. Lei. Naoto Shirogane.

Con una gonna!

Naoto si guardò le gambe snelle che apparivano da sotto il vestito celeste chiaro, la stoffa che le arrivava a malapena sotto il ginocchio.

Che situazione assurda...

Ma oramai non c'era tempo per cambiarsi.

Era davanti alla porta di quell'appartamento dopotutto e il tempo dell'appuntamento era ormai arrivato.

Sospirando, Naoto suonò al campanello.

«Oh Naoto, sei arriva-»

Adachi aprì la porta e, quando lo vide arrossire, la ragazza capì che forse quell'outfit non era poi così male come credeva.

«Sì.– rispose, sorridendo –Scusami, sono leggermente in ritardo.»

L'uomo le sorrise a sua volta, invitandola ad entrare.

«Figurati, ti stavo aspettando.– disse, posandole poi un bacio sulla guancia quando lei entrò –Non vedevo l'ora di vederti.»

Naoto arrossì, togliendosi il cappotto che aveva lasciato aperto e l’uomo glielo prese dalle mani, posandolo sull’attaccapanni.

«Non pensavo che ti avrei mai vista… beh così.» disse lui, ridacchiando.

La ragazza guardò altrove, imbarazzata.

«Neanche io avrei mai pensato di vedermi così, a dire la verità.»

Adachi le passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.

«Sei ancora più carina senza il tuo cappello.» le disse.

Bingo.

Nota mentale: ringraziare Rise.

«Grazie, anche tu stai molto bene.» rispose lei, le guance ancora rosse.

Ed era quello che pensava sul serio.

Prima di allora Naoto non aveva mai immaginato Adachi senza i suoi soliti vestiti da poliziotto.

Certo, non che non lo avesse trovato affascinante con la sua giacca nera e la cravatta che portava al collo; ma vederlo per la prima volta con una normalissima camicia e un paio di jeans addosso la sorprese abbastanza.

«Vieni, la cena è praticamente pronta.– le disse, continuando a sorriderle e prendendola per mano –Volevo anche portarti da qualche parte dopo cena, ma sembra che pioverà.»

La ragazza ci mise un po’ ad elaborare la seconda frase che lui le aveva detto, fin troppo presa dalla mano che aveva afferrato la sua.

Quando si rese conto che le stava osservando per troppo tempo, arrossì nuovamente e distolse lo sguardo.

«Non è un problema per me, possiamo anche stare qua.– rispose, mentre sentiva le guance andare in fiamme –Mi piacerebbe conoscerti meglio, Adachi.»

«Anche a me piacerebbe conoscerti meglio, Naoto. E chiamami per nome.» le disse lui, mentre un sorrisino che la ragazza non gli aveva mai visto prima si formava sulle sue labbra.

“Prima o poi ci prenderò l’abitudine.”

Poi, seguì Adachi in cucina, mentre un tuono si sentiva in lontananza.

 

La cena andò esattamente come Naoto se l’era immaginata.

O meglio, forse andò addirittura meglio.

Non sapeva come Adachi avesse fatto, ma era stato perfettamente in grado di metterla completamente a suo agio, come se si conoscessero da sempre, nonostante la mancanza delle due cose che rendevano la ragazza tranquilla in ogni situazione: il suo cappello e le sue bende.

Forse era perché erano anime gemelle?

Alla fine, Naoto non era stata molto a pensare al motivo.

Dopotutto l’importante era che si stesse divertendo, no…?

Nonostante questo, comunque, c’era qualcosa che per tutta la sera continuava a non convincerla pienamente.

Il suo sesto senso le sussurrava in continuazione che quell’indizio che stava cercando da ormai giorni era lì vicino, proprio davanti a lei.

Seduta sul divano del soggiorno di Adachi, la ragazza si guardò attorno, cercando di individuare cosa le facesse provare quella strana sensazione.

Il suo sguardo fu catturato dal vetro della finestra, dalla quale era ben visibile la pioggia che continuava a scendere ormai da un po’, battendo sul vetro.

«Tutto bene, Naoto?»

Quando Adachi si sedette accanto a lei sul divano, la ragazza si riscosse, voltandosi verso di lui.

L’uomo teneva due tazze di cioccolata calda tra le mani e la stava guardando con fare preoccupato.

Cosa cavolo le stava passando per la testa?

Quella doveva essere la serata in cui non avrebbe pensato al caso, no?

«Sì, scusami.– rispose lei, sorridendogli leggermente –Stavo solo pensando che qui ad Inaba piove spesso, no? Ha piovuto quasi tutti i pomeriggi da quando sono arrivata.»

L’uomo annuì.

«Qui in effetti piove parecchio.– commentò, passandole la tazza che teneva nella mano sinistra –Anche se è raro lo faccia di notte. Solitamente smette sempre prima del tramonto.»

La detective registrò quelle informazioni.

Non sapeva perché, ma come l’uomo le aveva detto in quel modo, aveva sentito un altro dei suoi piccoli brividi avvertirla che quello era un indizio fondamentale.

Ma per cosa?

«Quando piove di notte non smette mai prima dell’alba.– continuò lui, portando la tazza alle labbra –È un qualcosa di insopportabile. Soprattutto se avviene un crimine di notte, sai? Perché si perdono tutte le tracce a causa del fango. Questa città è troppo rurale per i miei gusti.»

Naoto ridacchiò, tenendo la tazza tra le mani.

«Non ti va la cioccolata?» le domandò Adachi, indicando la tazza con la testa.

La ragazza arrossì leggermente.

«Sì, ma ho pensato che se l’avessi bevuta subito, poi sarei dovuta andarmene.» sussurrò, non guardandolo in volto.

Era imbarazzante.

Tanto imbarazzante.

Adachi rimase in silenzio, a guardarla, come se stesse ragionando su qualcosa.

«Non ti manderei via neanche se la bevessi.» disse poi, ridacchiando.

Nonostante il tono fosse giocoso, Naoto sentì un altro dei suoi brividi lungo la schiena, come se qualcosa in ciò che le aveva appena detto fosse di grande importanza.

La ragazza rinchiuse quel piccolo presentimento in un angolino del suo cervello.

Non voleva continuare così per tutta la serata.

Non voleva che ogni cosa che succedesse intorno a lei continuasse a darle segnali di stare più attenta, come se qualcosa non andasse.

Era con Adachi, la sua anima gemella, quello che sicuramente adesso poteva considerare il suo ragazzo.

Perché mai doveva sentirsi inquieta?

«Va bene.» rispose, portando la tazza alle labbra.

Adachi le afferrò la mano, abbassandogliela.

«Hm?»

«Non importa; non berla.» le disse, con un tono deciso.

Naoto avrebbe voluto ribattere, ma le labbra dell’uomo si posarono sulle sue prima che lei potesse dire qualcosa.

Colta completamente alla sprovvista, la ragazza lasciò andare qualsiasi rimostranza che aveva e lasciò che l’uomo le prendesse la tazza ancora piena dalle mani e la poggiasse sul tavolino.

C’era qualcosa di diverso in quel bacio rispetto a quelli di prima.

Fino a quel momento, Adachi si era sempre fermato a darle dei semplici baci a stampo, ma adesso non era più il caso.

La detective sentì tutto il suo corpo tremare quando schiuse le sue labbra, lasciando che l’uomo si spingesse oltre nel bacio.

Sussultò visivamente quando sentì la mano di lui accarezzarle la coscia.

Ok, adesso non si stava correndo un po’ troppo?

«A-Adachi...»

Nel momento in cui le loro labbra si allontanarono la ragazza sussurrò quel nome, rendendosi conto solo in un secondo momento di quanto la sua voce fosse roca.

«Tranquilla Naoto.– il tono che l’uomo stava usando era diverso dal solito e Naoto notò che lui non era più seduto al suo posto, ma la stava praticamente immobilizzando contro lo schienale del divano –Rilassati.»

La ragazza deglutì, portando le sue mani lungo il bordo del divano e stringendolo con forza.

Come poteva rilassarsi?!

«N-non sono sicura che-» tentò di ribattere, mentre il cuore le martellava nel petto.

Aveva paura.

«Andrà tutto bene.– quelle parole le furono sussurrate direttamente all’orecchio –Siamo anime gemelle, no? Potrei mai fare qualcosa che so che tu non vuoi?»

Ora sì che Naoto stava andando nel pallone.

Adachi aveva ragione a dirle in quel modo, ma qualcosa nella sua testa continuava a dirle che stava correndo troppo, che quello che stava facendo era sbagliato, che non avrebbe dovuto concedersi così, dopo appena un'uscita insieme.

Lei non voleva, non le stava minimamente piacendo il modo in cui lui la stava toccando.

Ma lui aveva ragione.

Lui era la sua anima gemella.

Lui avrebbe dovuto sapere tutto di lei, così come lei avrebbe dovuto sapere tutto di lui.

Quando Adachi iniziò a baciarle il collo, Naoto lasciò andare un piccolo gemito, stringendo con più forza il bordo del divano.

«A-Adachi...» sussurrò, cercando di sembrare autoritaria ma quell’unica parola le uscì dalle labbra con una voce così femminile da non sembrare neanche la sua.

«Sbaglio o ti avevo detto di chiamarmi per nome? Chiamami Tohru, Naoto.»

Quelle parole gli furono sussurrate direttamente nell'orecchio e Naoto non potè fare altro che sussultare e arrossire terribilmente.

«Va bene, T-Tohru...»

Stava cedendo.

Naoto non avrebbe mai pensato di essere così facilmente suggestionabile.

Adach- no; Tohru ridacchiò.

«Brava bambina.» le disse, portando una mano ai piccoli bottoni del suo vestito.

Ora si che le guance le stavano andando a fuoco.

Naoto distolse lo sguardo, completamente nel panico.

Non poteva continuare a guardare.

Se avesse continuato ad osservare quello che lui stava facendo anche solo per un altro secondo, avrebbe davvero rischiato di spingerlo e di farlo scendere da sopra di lei.

Ma non doveva farlo.

Per quanto quella situazione non le piacesse minimamente, loro due erano anime gemelle, era normale che qualcosa succedesse.

Era stato stupido da parte sua pensare che un ventisettenne non volesse andare oltre il normale bacio.

Doveva solo trovare qualcos’altro da osservare, qualcosa su cui concentrarsi, così da non pensare più a quelle mani che le avevano ormai sganciato il vestito e le stavano toccando la pelle nuda, facendola rabbrividire.

Fu in quel momento che il suo sguardo fu catturato nuovamente dalla finestra poco lontano da lei.

Naoto assottigliò lo sguardo, riuscendo a vedere le grosse gocce di pioggia che stavano colpendo il vetro e scivolavano lungo di esso, arrivando fino al davanzale.

La pioggia.

Nel momento in cui iniziò a pensarci seriamente, tutto intorno a lei si fece come ovattato.

Il suo sesto senso le stava praticamente gridando qualcosa.

Qualcosa che lei stavolta avrebbe dovuto ascoltare, volente o nolente.

E fu quando vide una piccola goccia scivolare lungo il vetro e cadere sul davanzale che le foto delle diverse scene del crimine le tornarono in mente.

Il sangue diluito nelle pozzanghere in quella di Yamano; i vestiti zuppi di Konishi; le gocce d’acqua che cadevano dai capelli di Amagi.

Aveva trovato la risposta.

«La pioggia.» sussurrò, quando finalmente tutti i pezzi andarono al loro posto.

Tohru si fermò per un attimo, interdetto, la mano sulla spallina del suo reggiseno.

«Di cosa stai parlando Naot-ough.»

Senza neanche rendersene conto, la ragazza lo aveva spinto via ed era corsa verso la finestra, incurante del vestito slacciato, guardando con terrore le gocce di pioggia che continuavano a scendere lungo il vetro.

«E' la pioggia il punto in comune che mi mancava.» esclamò, afferrando poi la borsa che aveva sul divano e aprendola, tirando fuori le tre foto degli omicidi.

Tohru nel frattempo continuava a guardarla, spaesato.

«Guarda!– urlò la ragazza, mostrando le tre foto all'uomo –In tutti e tre i casi quella notte aveva piovuto.»

Come aveva fatto a non pensarci prima?

Aveva passato ormai non sapeva quante ore a osservare quelle tre foto, cercando quel punto in comune che non riusciva a trovare.

Eppure le pozzanghere a terra nelle foto e i vestiti zuppi delle vittime erano un dettaglio ben visibile.

«Naoto non ti sto seguendo...»

Tohru continuava a guardarla, in maniera alquanto infastidita, mentre lei si fiondava verso il computer che si trovava in un'angolo della stanza.

«Posso usare il tuo computer, vero?» chiese, mentre lo accendeva velocemente e iniziava a digitare le prime parole nella barra di ricerca.

«Oramai...»

Naoto non lo stava neanche più ascoltando.

Aprì la pagina web delle previsioni del meteo, osservando con attenzione i vari registri delle settimane precedenti.

Tutto quanto andò al posto giusto.

«Le notti delle tre omicidi... sono le uniche notti in cui ha piovuto qua a Inaba...» sussurrò, continuando ad osservare il resto degli archivi.

Tohru le si sedette accanto, chiaramente annoiato.

«E allora?– chiese –Non pensi che possa essere solo una coincidenza? Dai, torniamo a noi.»

«Lo hai detto anche tu no?– disse lei, voltandosi verso di lui –Se ad Inaba piove di notte, piove fino all’alba. Ed è sempre difficile fare indagini.»

L’uomo la guardò infastidito.

«Naoto,– rispose, con un tono di voce che la ragazza non gli aveva mai sentito prima –torniamo a noi.»

«Devo andare.»

«Cosa?!»

Naoto si alzò, afferrando la sua borsa e fiondandosi all'ingresso.

«Naoto, ma dove stai andando?» le domandò Tohru, incredulo.

Lei si voltò verso di lui.

Possibile che davvero non ci fosse arrivato?

«Mi dispiace interrompere il nostro appuntamento.– disse, richiudendo velocemente i bottoni del vestito e afferrando il suo cappotto –Ma adesso che so quando l'assassino ucciderà di nuovo non posso lasciarlo agire indisturbato.»

«Non ti seguo.»

La voce con cui Tohru le rivolse quelle parole lasciò per un attimo interdetta la ragazza.

Lanciò uno sguardo veloce all'orologio.

Era già l'una di notte.

Non aveva tempo per pensarci.

«Sappiamo che l'assassino ha ucciso le sue vittime sempre tra le due e le quattro del mattino grazie all’autopsia e, da quel che abbiamo appena scoperto, lo ha fatto tutte le volte che di notte ha piovuto.– gli spiegò lei, portando una mano alla sua testa per tirare giù la visiera del suo cappello, accorgendosi troppo tardi di non lo stare indossando –Questo vuol dire che la prossima vittima sarà stanotte. Devo andare da Satonaka. Adesso.»

Quando Naoto si voltò nuovamente a guardare Tohru, per un attimo pensò che ci fosse qualcosa che non andava.

L’uomo la stava guardando con uno sguardo alquanto irritato, come se lei avesse appena mandato all’aria qualcosa a cui lui stava pensando da tempo.

Poi però, la sua espressione cambiò e tornò quella di sempre.

«Devo chiamare Dojima.– disse, afferrando il suo telefono –Tu va da Satonaka, dopo ti raggiungo.»

Naoto annuì, aprendo la porta di casa.

Un leggero senso di colpa di aver rovinato il loro appuntamento la colse mentre stava per uscire e quindi la ragazza si voltò corse verso di lui e gli dette un leggero bacio sulla guancia.

«Grazie per la serata.» sussurrò, sorridendogli.

Tohru le sorrise a sua volta, alzandole il mento con una mano e poggiando le sue labbra su quelle di lei.

«Grazie a te.– disse, mentre le guance di Naoto si tingevano nuovamente di rosso –La prossima volta vediamo di darci appuntamento quando sarà sereno. Così non verremmo interrotti.»

La ragazza ridacchiò.

«Ci vediamo dopo.»

Poi, senza dire altro, la ragazza corse fuori.

 

La pioggia l’aveva inzuppata completamente e Naoto non aveva un solo centimetro del suo corpo che non fosse completamente fradicio quando arrivò finalmente a casa di Satonaka, dopo ben 45 minuti di corsa.

Tremando per il freddo che poteva sentire chiaramente addosso, anche a causa degli abiti poco leggeri che stava indossando, la ragazza suonò il campanello dell’abitazione, sperando che la sua senpai fosse in casa.

Al terzo suono di campanello, la detective notò che le luci dell’abitazione si stavano accendendo.

Questa cosa la rincuorò leggermente.

Se Satonaka e i suoi genitori erano all’interno, forse, si poteva evitare che l’assassino raggiungesse la ragazza.

«Cosa succede?»

Un uomo che Naoto non aveva mai visto prima si affacciò alla porta di casa e lei iniziò a cercare il suo distintivo nella sua borsa, quello che Dojima aveva fatto fare appositamente per lei.

«Sono il detective Naoto Shirogane.– disse, mostrandolo non appena lo trovò –Sto cercando Chie Satonaka. Abbiamo il presentimento che sia in pericolo. Non uscite di casa.»

L’uomo la guardò leggermente interdetto, posando lo sguardo soprattutto sulle sue gambe.

...

Si era scordata di stare indossando una gonna.

Questo sì che poteva essere un problema per essere presa seriamente...

«Chie è al piano di sopra, in camera sua.» disse poi, cercando chiaramente di distogliere lo sguardo.

«Può andare a controllare? Devo essere assolutamente sicura che non sia uscita di casa.» insistette la ragazza, preoccupata.

Non potevano certo escludere che lei fosse uscita di nascosto, in cerca dell’assassino.

In realtà, se questo fosse accaduto, la polizia l’avrebbe dovuto sapere.

Davanti alla casa dei Satonaka infatti era stata piazzata una piccola telecamera, in modo da controllare qualsiasi movimento sospetto.

Ma la detective continuava ad avere un brutto, bruttissimo presentimento…

«Senta,– l’uomo le parlò con fare abbastanza scontroso –mia figlia è in camera. Non può tornare domani?»

«Se ne vada, per favore.»

Naoto non ne poteva più.

Doveva assolutamente accertarsi che Satonaka fosse al sicuro.

Non poteva perdere tempo con quell’uomo.

Stava per metterlo k.o. e entrare all’interno dell’abitazione, quando una donna, molto probabilmente la madre della sua senpai, si affacciò dalla porta.

«Chie non è nella sua stanza. Non è in casa.» disse, mentre uno sguardo carico di preoccupazione si dipingeva sul suo volto.

Naoto sentì il mondo crollarle addosso.

Il suo presentimento era giusto.

«Signora,– disse, superando il padre della ragazza e avvicinandosi alla donna «Sa dove può essere andata sua figlia? È importante.»

Stava perdendo la pazienza.

La donna scosse la testa, mentre le lacrime iniziavano a uscire dai suoi occhi.

«Al cimitero.– sussurrò l’uomo, e la detective si voltò verso di lui –Non torna quasi mai a casa in questo periodo, passa il suo tempo accanto alla tomba di Yukiko...»

Esattamente come aveva immaginato.

Solo in quel momento Naoto si rese conto di quanto era stata stupida.

Satonaka sapeva di essere seguita.

Si aspettava che la polizia la seguisse tutto il giorno, lasciando poi una telecamera fissa di fronte alla porta di casa sua.

Ma se voleva davvero catturare l’assassino e ucciderlo come si era ripromessa, doveva fare in modo di togliersi la polizia di dosso.

«Dannazione.»

La ragazza partì a corsa, ignorando il dolore lancinante che i suoi piedi, rinchiusi in due scomodissime ballerine, le lanciavano e la pioggia che continuava a caderle addosso e rallentava i suoi movimenti.

Il cimitero era dall’altra parte della città.

Per arrivarci a piedi ci avrebbe messo troppo...

Naoto afferrò il telefono nella borsa, cercando velocemente il numero di Dojima in rubrica, senza smettere di correre.

Non fece neanche in tempo a premere il tasto di chiamata che il telefonino iniziò a squillarle tra le mani, il numero del suo superiore che era apparso sullo schermo.

La ragazza rispose immediatamente.

«Shirogane, torna in centrale.»

«Dojima, al cimitero! Chie Satonaka è al cimitero!» urlò la ragazza, con una voce molto più femminile del solito.

«Lo sappiamo Shirogane, l’abbiamo trovata.»

Naoto sospirò, fermando la sua corsa e sentendo la tensione di poco prima scivolarle dalle spalle.

L’avevano trovata, Satonaka era-

«Shirogane,– la ragazza si rese conto solo in quel momento che la voce di Dojima era triste, lapidaria –il corpo di Satonaka è stato ritrovato appeso al cancello di ingresso del cimitero. Siamo arrivati tardi.»

Il telefono le scivolò dalle mani, cadendo al suolo.

Quando toccò l’asfalto emise solo un rumore sordo.

QUESTO CAPITOLO PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Tensione (M1)

Yosuke osservò le gocce d'acqua che scivolavano sul vetro della finestra, illuminate dalle luci soffuse dei lampioni.
Era quasi mezzanotte, fuori stava piovendo.
Si passò una mano sul viso, maledicendo se stesso per quella stupida abitudine che continuava a non abbandonarlo.
Erano ormai cinque anni da quando il Midnight Channel era stato trasmesso per l'ultima volta.
Era ormai mezza decade che nessuno appariva sullo schermo della sua TV in quelle notti di pioggia.
Era orami altrettanto tempo che lui continuava ad aspettarsi di vedere qualcosa su quello schermo nero.
Si portò la lattina alle labbra, sentendo la birra scivolargli giù per la gola.
Chissà cosa stavano facendo gli altri in quel momento?
Per quanto odiasse pensarci, non poteva farne a meno.
Ogni volta che si trovava in quella situazione, ad osservare la sua stupida TV nella sua piccola stanza, non riusciva a non ripensare agli altri.
Che stessero anche loro osservando quello schermo nero?
Poco probabile, anzi, quasi impossibile.
Le cose erano cambiate da allora, il loro gruppo si era perso di vista e non riceveva notizie dagli altri da mesi.
Sempre se qualche telefonata sporadica di Chie poteva essere considerata un'interazione sufficiente.
Beh, ma alla fine era colpa sua se le cose erano andate a finire così, no?
Yosuke posò la lattina vuota sul tavolino, afferrandone un'altra dal mini-frigo lì accanto.
Era stato lui a chiudere i rapporti, a lasciare Inaba, a scappare da quella realtà.
Quella realtà che era diventata così vuota e fredda da quando lui si era allontanato, lasciandoli soli, lasciandolo solo.
«Sei ancora sveglio?»
Yosuke sussultò leggermente e rischiò di far cadere la lattina dalle sue mani.
Si voltò verso la porta, incontrando quegli occhi luminosi che conosceva bene e che mai lo avevano abbandonato in quegli anni, gli unici che avevano continuato a seguirlo lontano da Inaba e da tutto il resto.
Teddie era lì, appoggiato allo stipite della porta, lo sguardo leggermente assonnato.
«Anche tu sei ancora in piedi.» commentò Yosuke per poi bere un sorso dalla lattina.
L'altro si avvicinò a lui, alzando gli occhi al cielo.
«Quante ne hai bevute?»
«Questa è la terza.»
«Io credo sia la quarta.»
«Una più una meno.»
Teddie sbuffò.
«Forse dovresti iniziare a darti una controllata.»
«E tu dovresti andare a dormire.»
Anche se Yosuke non lo stava guardando, sapeva che l'altro si era seduto accanto a lui e lo stava osservando con il suo solito sguardo arrabbiato, così come faceva ogni volta che lo trovava in quella situazione.
Si era già preparato alla solita predica, quando Teddie parlò.
«Yosuke... forse dovresti smetterla.– il tono nella sua voce era preoccupato. –Questa cosa ti sta distruggendo.»
«E' solo birra Ted, non veleno.»
«Non mi riferivo a quello.»
I movimenti di Yosuke si bloccarono, mentre elaborava ciò che il suo amico cercava di dirgli.
Era quasi mezzanotte, fuori stava piovendo.
E lui era di nuovo lì, di fronte a quella TV.
«Non è come sembra.» farfugliò, mettendo via la lattina e passandosi una mano tra i capelli.
«E allora cosa stai facendo?»
Il ragazzo non rispose.
Sapeva di stare sbagliando, sapeva che quel suo comportamento non era minimamente corretto nei confronti del suo unico compagno rimasto. Ma non poteva farci niente.
Aveva provato a dormire, aveva tentato di non pensarci, aveva fatto di tutto per togliersi quel pensiero dalla testa; ma non ci era riuscito.
«Nessuno apparirà stanotte, e tu lo sai meglio di me.» 
«Va a dormire Ted.»
«Solo se vai anche tu.»
Yosuke stava per rispondere, quando l'orologio alla parete scoccò la mezzanotte.
Si voltò nuovamente verso la TV, aspettando quel segno che oramai da anni lo perseguitava.
Per un attimo gli parve quasi di vederlo; quel canale che tanto lo aveva ossessionato gli sembrò così vicino da poterlo raggiungere...
Ma niente comparve sullo schermo.
Yosuke si lasciò andare sul divano, le forze che lo avevano completamente abbandonato.
«Yosuke...»
Teddie gli posò una mano sulla spalla, ma il ragazzo gli sorrise leggermente, cercando di nascondere tutta la stanchezza che provava in quel momento.
«Andiamo a dormire Ted. E' molto tardi.»
L'altro lo guardò per qualche secondo, incerto su come comportarsi.
Poi, con un solo gesto, annuì.
Si alzò dal divano e iniziò a raccogliere le varie lattine sparse per la stanza.
«Non c'è bisogno che ci pensi tu...»
«Non preoccuparti, voglio darti una mano.– disse, sorridendogli –Non sarei un brav-orso sennò.»
Yosuke si passò una mano sul volto, ridacchiando leggermente.
«Sai che odio queste battute.»
Teddie rise, avviandosi verso la porta.
«Buona notte allora.»
«'Notte.»
La porta si chiuse e Yosuke si ritrovò nuovamente solo.
Il falso sorriso di poco prima scomparve dal suo volto, mentre si alzava anche lui, avvicinandosi al letto poco distante e buttandosi sopra di esso con ancora i suoi vestiti addosso.
Non aveva alcuna voglia di cambiarsi.
Non aveva voglia di fare niente.
Afferrò le cuffie che aveva sul comodino, portandosele alle orecchie e facendo partire la musica che ascoltava ogni volta che si trovava in quelle terribili condizioni.
L'unica luce nella stanza era quella dei lampioni che filtrava dalla finestra alle sue spalle.
Poi qualcosa illuminò la parete che stava osservando.
Yosuke si voltò di scatto, togliendosi con un gesto veloce le cuffie sulla sua testa e subito quel famigliare rumore attirò la sua attenzione.
Non era possibile.
Non poteva essere vero.
Era ormai mezzanotte, fuori stava piovendo.
Il Midnight Channel era in funzione.
Ma la cosa più scioccante non era questa, ma la silhouette che era apparsa sulla TV.
La persona che lui non vedeva da chissà quanto tempo ma che sempre aveva occupato i suoi pensieri.
La persona che aveva dato un senso alla sua vita cinque anni prima, per poi eliminarlo non appena se ne era andata.
Non importava il fatto che fosse cresciuto, che i suoi capelli fossero leggermente più lunghi di prima, che le sue spalle fossero più larghe. Lo avrebbe riconosciuto ovunque.
«Y-Yu...»

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