Il ladro

Mar. 7th, 2020 08:50 pm
Fandom: Persona 4
Personaggi: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi
Prompt: M1 – colpo di scena
Note: One shot
Parole: 1440
 
Tic-tac. Tic-tac.
Naoto guardava le lancette dell'orologio muoversi lentamente, da ormai dieci minuti, senza niente da fare.
Erano le 21:50 e lei non aveva neanche cenato.
La ragazza sbuffò, spostando finalmente lo sguardo dall'oggetto che l'aveva ipnotizzata fino a quel momento e posandolo in ogni angolo della stanza.
La libreria era perfetta, ogni libro era stato inserito al suo posto in ordine per autore.
Le mensole erano state spolverate e i vasi sistemati.
Le lampadine erano state cambiate e i lampadari accuratamente puliti.
Il tappeto era stato lavato, così come i numerosi arazzi appesi alla parete.
Ogni angolo della Magione era in perfette condizioni, senza neanche un grammo di polvere che lo ricoprisse.
E questo voleva dire che Naoto non aveva davvero più niente a cui pensare.
La ragazza si lasciò andare sulla poltrona del salotto, la noia che aveva ormai preso il sopravvento da più di qualche ora.
Non era assolutamente abituata ad avere "un giorno libero".
Certo, spesso si era ripromessa di prendersi una vacanza dai suoi casi.
Ma mai si sarebbe aspettata di non venir contattata da nessuno per più di una settimana.
E adesso, con i suoi senpai che si stavano preparando per gli esami di ammissione all'università, Rise impegnata con il suo tour e Kanji occupato con le numerose commissioni del suo lavoro, la detective aveva deciso di tornare alla Magione degli Shirogane, convinta di poter dare una mano a suo nonno... che invece era partito per un caso a Sapporo. Con il loro assistente. Senza dirle assolutamente niente.
Così Naoto si era ritrovata completamente sola, in una casa grande quasi quanto il Junes di Inaba, dove l'unico passatempo che aveva trovato era stato quello di pulire ogni angolo, senza che niente di così tanto eccitante accadesse.
"Non pregherò mai più per una vacanza in vita mia."
... e con questo pensiero fisso in testa da circa tre giorni.
I rintocchi dell'orologio a pendolo attirarono la sua attenzione e, non appena si rese conto di che ora era, il suo stomaco emise un leggero brontolio.
Dopo aver trovato una forza che non credeva d’avere, la ragazza si alzò finalmente dalla poltrona, andando verso la cucina.
Doveva mangiare qualcosa.
Quello l’avrebbe fatta sicuramente stare meglio e, forse, le avrebbe anche finalmente dato la possibilità di distrarsi e allontanare la noia, anche se solo per pochi minuti.
Una volta arrivata in cucina, Naoto aprì il frigorifero e non potè fare a meno di lasciare andare un piccolo singhiozzo frustrato quando vide che a salutarla c'erano sempre i cibi precotti che aveva comprato qualche giorno prima, quando, dopo aver scoperto che nessuno si trovava in quella casa, si era diretta al Junes per fare provviste.
Dopotutto cucinare non era mai stato il suo forte né, in realtà, aveva mai avuto tempo di imparare fino a quel momento.
L'unica cosa che era in grado di fare erano le uova sode. Peccato che a lei non piacessero neanche un po'.
La detective stava per chiudere il frigorifero e andare direttamente a letto, senza neanche mangiare, quando il suo stomaco emise un altro, flebile gorgoglio.
...
“Domani ordino qualcosa da asporto.”
Mentre quel pensiero (che già aveva avuto nei due giorni precedenti) si dipingeva nella sua mente, Naoto afferrò la prima confezione di curry precotto che le capitò sotto mano e si mise a leggere le istruzioni su come prepararlo.
E fu in quel momento che qualcosa di strano accadde.
Il suo istinto da detective si fece strada dentro di lei, mandandole un chiaro segnale, e i movimenti della ragazza si bloccarono.
Poteva percepirlo.
C'era qualcuno.
Un fruscio attirò la sua attenzione e Naoto alzò di scatto lo sguardo, puntandolo immediatamente sulla porta a vetri che si trovava in cucina.
Possibile che suo nonno fosse tornato?
La ragazza si mosse verso il vetro, quando il suo corpo si bloccò.
No, era impossibile.
Suo nonno le aveva detto che non sarebbe tornato prima di due giorni dopo.
In più, non aveva sentito la sua macchina.
Doveva solo esserselo immaginat–
Naoto drizzò le orecchie, quando anche un rumore sospetto di passi provenne dall'esterno della Magione.
No.
Qualcuno era lì.
Ne era certa.
Non era la prima volta che dei ladri provavano a entrare in quella casa.
Dopotutto, chiunque sarebbe stato interessato ai tanti pezzi da collezione di suo nonno, così come ai numerosi quadri costosi che tappezzavano tutti i corridoi della villa.
E adesso che lei si trovava sola in quella casa...
...era davvero un bersaglio facile.
Naoto portò una mano al suo fianco, sentendo il sangue gelarsi nelle sue vene quando non percepì il volume della sua pistola.
Si maledì interiormente quando si rese conto di averla lasciata al piano di sopra, nella sua stanza, quella mattina.
Cosa doveva fare?
Correre a recuperarla il prima possibile per poterla usare contro il presunto nemico?
Non c'era tempo per quello.
La ragazza si guardò intorno, cercando qualcosa che potesse essere usato come arma.
Poi i suoi occhi si posarono sull'utensile alla sua destra.
Ok, poteva funzionare.
 
"No, non può funzionare."
Quel pensiero si mostrò immediatamente nella sua testa, quando Naoto aveva messo piede nel giardino della Magione, con il manico della grossa padella stretto tra le sue mani.
La sicurezza di poco prima era completamente sparita e la ragazza si trovava adesso in una situazione di simil-panico, con il vento freddo che continuava a farla rabbrividire ad ogni passo.
Ma, nonostante questo, non tornò indietro.
La detective che era in lei non le avrebbe mai perdonato un simile atto di codardia e, quindi, Naoto continuò ad avanzare nel buio del giardino, stando ben attenta a non emettere alcun rumore.
Non poteva sapere dove fosse il ladro in quel momento.
Non poteva neanche sapere se quell'uomo non avesse un'arma con sé.
Doveva mantenere la massima attenzione e cautela, solo così sarebbe potuta uscire vittoriosa da quell'inevitabile scontro.
Quando i battiti del suo cuore si fecero così tanto forti da poter essere uditi dall'esterno, la ragazza bloccò un attimo i suoi passi e si nascose dietro uno dei tanti alberi che si trovavano nel giardino, cercando di calmarsi.
Non aveva niente da temere.
Aveva un vantaggio non da poco.
Fin dalla sua nascita, infatti, Naoto aveva fin troppo spesso corso da una parte all'altra della Magione.
Non c'era un singolo metro quadrato che lei non avesse analizzato da cima a fondo, con lo spirito critico di una vera e propria detective.
Conosceva quel luogo come se fossero state le sue tasche e, quindi, era anche a conoscenza di tutti i possibili pertugi in cui nascondersi o da cui attaccare.
Nessun altro aveva una conoscenza così accurata sulla villa e sul suo giardino, neanche il suo stesso nonno.
Di conseguenza, lei poteva battere chiunque, lì dentro.
Doveva solo darsi una calmat–
Un altro, inconfondibile fruscio arrivò alle sue orecchie e Naoto si bloccò immediatamente dietro l'albero a cui si trovava.
Era lì vicino, poteva sentirlo.
Quella era la sua occasione per metterlo k.o.
Stringendo il manico della padella con forza nella sua mano destra, la ragazza si sporse leggermente da dietro l'albero, per avere una visione migliore del giardino.
Nonostante il luogo fosse completamente avvolto dalle tenebre, Naoto riusciva chiaramente a distinguere tutte le figure che si trovavano lì: l'altalena che suo nonno aveva fatto installare, quando era piccola; il tavolo in pietra; la piccola fontana per uccellini, poco lontano...
...ma non c'era altro.
Non vi era alcuna traccia di una persona.
La ragazza stava quasi per rilasciare la tensione sui suoi muscoli quando sentì qualcosa toccarle la spalla.
Naoto si voltò di scatto, lasciando andare un urletto sorpreso quando si trovò davanti a lei la massiccia figura di un uomo.
Tutta la parte razionale del suo cervello si oscurò completamente, lasciando che la parte emotiva prendesse il sopravvento.
Dang.
Senza pensarci due volte la detective lo colpì alla testa con la padella che teneva nelle mani.
L'uomo cadde all'indietro, sull'erba del giardino, con un tonfo sordo.
La ragazza si portò una mano al petto, cercando di calmare il cuore che continuava a batterle con forza.
Ce l'aveva fatta.
Aveva vinto.
Ora doveva solo chiamare la polizia e spiegare quanto era accaduto.
Fu in quel momento che un dettaglio saltò ai suoi occhi.
L'uomo che aveva appena messo k.o. indossava un giubbotto a lei familiare.
Lo aveva già visto prima, così come aveva già visto le sue scarpe, la sciarpa che portava intorno al collo e...
...e il suo viso.
Il sangue di Naoto si gelò nuovamente nelle vene, nel momento in cui si rese conto che il ragazzo disteso a terra non era un ladro.
Non era neanche qualcuno che lei non conosceva.
Era Kanji Tatsumi.
Titolo: Don’t push that button
Fandom: Persona 4
Personaggi: Tutto l’Investigation Team
Prompt: M1
Avvertimenti: Soulmate!AU
Parole: 1900
 
Yu lanciò uno sguardo all'inattivo che si trovava incastonato nel suo braccio, passando lentamente e delicatamente le dita sul piccolo bottoncino che si trovava al suo fianco.
Finalmente lo avrebbe premuto.
Dopo ben 17 anni di paure e di ripensamenti, quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe compiuto il passo più importante della sua vita: avrebbe finalmente iniziato la ricerca della sua anima gemella.
Bastava poco, infatti, molto poco.
Una volta premuto quel bottone rosso, il contatore si sarebbe attivato e avrebbe iniziato a contare alla rovescia, fino al momento in cui non sarebbe avvenuto il fatidico incontro.
Niente di più semplice... ed era qua che veniva la fregatura.
C'era una regola ben specifica che faceva tentennare tutte le persone dall'usarlo il prima possibile, senza neanche pensarci due volte.
Il numero di volte che potevi provare a utilizzarlo.
Per quanto quel contatore fosse potente era, allo stesso tempo, limitato.
Al massimo potevi avere tre possibilità.
Gli scenari possibili erano due e gli erano stati spiegati fin da bambino: anche la tua anima gemella aveva attivato il counter e quindi, una volta incontrati, i due si azzeravano insieme, emettendo un suono acuto per indicare il buon esito della tua ricerca; oppure esaurivi i tre tentativi possibili, rimanendo senza la certezza di chi fosse la tua anima gemella.
In entrambi i casi, il counter si sarebbe spento per sempre.
«Sei arrivato in anticipo, Yu-kun.»
Quando la voce di Yukiko arrivò alle sue orecchie, Yu distolse lo sguardo dal suo braccio e si voltò verso di lei.
«Ciao, Yukiko.– la salutò, cercando di non mostrare il nervosismo che aveva iniziato a diffondersi nel suo corpo –Chie? Non è con te?»
La ragazza dai capelli neri si sedette di fronte a lui, al suo posto al loro solito tavolo del Junes.
«Sta arrivando, è andata a recuperare Yosuke.» rispose.
Neanche un secondo dopo, le voci dei due suoi compagni attirarono l'attenzione di Yu.
«Che c'è? Volevi scappare?– Yu poteva vedere Chie che, furiosa, aveva afferrato Yosuke per un braccio e lo stava trascinando verso di loro –Avevamo detto di partecipare tutti quanti una volta che il caso sarebbe stato risolto. Non puoi tirarti indietro adesso!»
«Ti ho già detto che non stavo scappando!– ribatté il ragazzo, dimenandosi –Mi stavo solo andando a cambiare. Cosa succederà se poi verrà fuori che la mia anima gemella è qui vicino e mi vedrà con questi vestiti?!»
“Bugiardo.” pensò Yu.
Sapeva benissimo quanto Yosuke fosse preoccupato per quello che poteva accadere dopo l'attivazione del counter.
Dopotutto, lui era proprio una di quelle persone che, inconsciamente, aveva già provato ad attivare il suo timer.
Due volte.
Yosuke gli aveva confidato quel segreto pochi giorni prima, quando avevano deciso il giorno in cui avrebbero provato a cambiare il loro futuro, tutti insieme.
Quella per lui sarebbe stata la sua ultima possibilità. Era normale che fosse spaventato a morte.
«Oh, Yu.– non appena lo vide, Chie lo salutò con un gesto della mano –Non credevo fossi già qui. Sei il nostro leader fino alla fine, eh?– aggiunse poi, facendo sedere con forza Yosuke al suo solito posto –Scusate il ritardo, ma qualcuno stava cercando di scappare.»
Yosuke si voltò verso di lei. 
«Ti ho già detto che non volevo sca...»
«Senpai! Ci siamo anche noi!»
Qualsiasi cosa Yosuke volesse dire fu immediatamente bloccata dalla voce squillante di Rise che, poco lontano dal tavolo, aveva iniziato a sventolare la sua mano.
Lei sì che era su di giri.
Yu poteva percepirlo benissimo. E questa cosa lo terrorizzava.
Almeno da quanto aveva potuto constatare dal comportamento della ragazza nei suoi confronti, lei aveva un solo desiderio: essere la sua anima gemella. Ma, per quanto non gli dispiacesse l'idea, Yu non era completamente convinto che quello sarebbe accaduto.
Insomma, il loro gruppo stava insieme da più di un anno.
Se al suo interno ci fossero state delle anime gemelle, sarebbe venuto fuori molto prima oramai.
Lui stesso aveva provato ad attivare il suo timer, una volta, durante quell'anno.
E sapeva per certo che almeno un'altra persona ci avevano provato.
E quelle due erano...
«Ehi, Senpai. Scusate il ritardo, Ted insisteva per prendere il gelato.»
Kanji Tatsumi.
Yu aveva visto il suo kohai a guardare con trepidazione il suo counter un giorno, con chiaro nervosismo.
Tutti sapevano della sua cotta, dopotutto.
Era ovvio che lui provasse almeno una volta a vedere se quel qualcosa poteva davvero scoppiare.
Peccato che l'altra persona era chiaramente qualcuno che non aveva mai toccato il bottone del suo counter.
«Scusate il ritardo.– Naoto si sedette al suo solito posto, il capello blu tirato in giù sul viso, come se la ragazza volesse nascondere la sua espressione –Come ha detto Kanji-kun, Teddie era particolarmente insistente.»
«Sensei! Nao-chan e Kanji-chan mi trattano male!– come Yu si aspettava, Teddie si lanciò in braccio a lui, cercando protezione –Io volevo solo provare il nuovo gelato “Everyday is great at your Junes” del Junes. E' una super, mega, iper edizione limitata, dopotutto!»
«Ted. Smettila di dare fastidio!»
Yosuke afferrò il ragazzo per il colletto e lo fece sedere nel posto accanto al suo.
Yu non riuscì a trattenere il piccolo sorriso che si formò sulle sue labbra di fronte a quella scena.
Il rapporto tra Yosuke e Teddie era decisamente maturato in quell'anno che avevano trascorso insieme.
Ora sembravano quasi due fratelli.
«Yosuke, sei cattivo anche tu!»
«Smettila, ho detto.– ripetè il ragazzo, lanciandogli un'occhiataccia –Più che altro, come era quel gelato? Era buono almeno? Lo hanno stampato su tutti i volantini del supermercato, ma io ho paura che ci faccia più pubblicità negativa che altro.»
Teddie mostrò il suo solito, indecifrabile, sorriso.
«Faceva schifo.» esclamò, con un tono inspiegabilmente felice.
Yosuke sospirò pesantemente, chiaramente non sorpreso dal risultato.
«Certo che potrebbero pensarci due volte prima di creare queste trovate pubblicitarie...» disse tra sé e sé.
Fu in quel momento che Chie prese la parola, iniziando il discorso che tutti, fino a quel momento, avevano cercato chiaramente di evitare.
«Ora che ci siamo tutti,– disse, lanciando un'occhiata veloce al suo polso –dobbiamo solo premere il pulsante... no?»
Silenzio.
Il chiacchiericcio che fino a poco prima si poteva udire intorno al loro tavolo si spense completamente e gli otto ragazzi – o meglio, i sette ragazzi e la Shadow dalla forma umana – iniziarono a lanciarsi sguardi a vicenda e ai loro polsi.
La tensione poteva essere tagliata con un coltello.
«S-Sentite,– questa volta era stata a Naoto a parlare, la voce chiaramente più femminile e tremante del solito –non siamo costretti a farlo. Eravamo tutti su di giri quando abbiamo deciso che lo avremmo fatto, ma possiamo sempre tirarci indietro. Se abbiamo bisogno di tempo possiamo prendercelo.»
Anche se non lo fece notare, Yu notò lo sguardo di Kanji incupirsi ancora di più.
«Naoto-kun non ha tutti i torti.– disse Yukiko –Siamo davvero sicuri di volerlo fare?»
Silenzio, di nuovo.
Nessuno osava rispondere a quella domanda.
Il problema era che, per quanto tutti loro – o, meglio, quasi tutti loro – ci tenessero a scoprire la loro anima gemella, il rischio di non trovarla e di perdere una possibilità, se non l'ultima, di riuscirci era alto.
Poi, improvvisamente, un tonfo arrivò dalla sua destra e Yu si voltò, trovandosi davanti Rise, con le mani sbattute sul tavolo.
«Naoto-kun! Yukiko-senpai!– le sgridò –Abbiamo deciso di non tirarci indietro. Scappare dalla verità è una cosa che l'Investigation Team ha deciso di non fare più, no?»
...
Beh, la idol aveva ragione.
Se solo il tutto non fosse stato chiaramente mosso dalla speranza di avere lui come anima gemella, Yu avrebbe concordato con lei.
«E poi io devo sbrigarmi!– Teddie esclamò, con la sua solita voce fin troppo elevata per la situazione –Non posso lasciare aspettare la mia donzella a lungo!»
«Ted,– Kanji si intromise –chi ti dice che sia una ragazza?»
Il più giovane si voltò verso di lui.
«Oh, Kanji-chan.– rispose, con un tono alquanto molesto –Vuoi essere tu la mia anima gemella? Io non mi tiro indie...»
«Cazzo, no! Certo che no!– urlò l'altro, guardandolo malissimo –Vuoi che ti uccida?!»
«Sensei! Kanji-chan è cattivo con me!»
Yu guardò i due, non sapendo bene cosa rispondere.
Fortunatamente, Yosuke prese la parola.
«Perché non lasciamo decidere a Yu?– disse, lanciandogli un'occhiata –E' il nostro leader, sono sicuro che lui saprà fare la scelta giusta. Vero, partner?»
...Forse era meglio rimangiarsi quel “fortunatamente”.
“Perché devo finirci sempre io in queste situazioni?”
Il cervello di Yu iniziò immediatamente a pensare ad un piano di fuga ma, quando vide che l'intero gruppo stava aspettando un suo verdetto, il ragazzo capì che scappare non era una soluzione.
Doveva prendere una decisione.
E doveva farlo in fretta.
«Io credo che potremmo provare.– disse poi, guardandoli uno ad uno –Alla fine siamo qui per farci supporto a vicenda, giusto? Siamo una squadra. Ci aiuteremo l'un l'altro. Ce la faremo sicuramente.»
Nonostante qualcuno (cioè Naoto) non fosse ancora del tutto convinto, nessuno osò andare contro la parola del loro leader.
L'intero gruppo annuì solamente, per poi portare uno ad uno il dito sul proprio bottone, aspettando indicazioni.
«Al mio tre.» annunciò Yu, sentendo su di lui lo sguardo di tutti i suoi compagni.
Poteva percepire Yosuke tremare al suo fianco, mentre Rise e Teddie non stavano chiaramente più nella pelle.
«Uno.»
Chie e Yukiko deglutirono, quasi simultaneamente.
«Due.»
Naoto chiuse gli occhi, come per non osservare più ciò che stava per fare e Yu vide invece che Kanji aveva spostato il suo sguardo su di lei.
«Tre.»
Click.
Gli otto bottoni furono premuti contemporaneamente, ognuno dal suo proprietario.
Yu osservò il piccolo schermo del suo contatore illuminarsi per iniziare il conto alla rovescia.
E fu allora che accadde.
Biiiiiiiiiiiip!
Un suono acuto arrivò dagli otto contatori, facendo trasalire i ragazzi.
Yu sentì il suo sangue gelarsi nelle vene, quando notò cosa era apparso sul suo contatore.
"0 s".
Il ragazzo alzò immediatamente lo sguardo e vide riflesso negli occhi dei suoi compagni lo stesso terrore che stava provando lui in quel momento.
Tutti rimasero in silenzio, continuando a guardarsi uno ad uno, cercando di capire chi di loro fosse la loro anima gemella e chi no.
Poi...
«Pffft.»
La prima a partire fu Yukiko.
Una fortissima risata uscì dalle sue labbra e la ragazza si trovò presto piegata in due, le lacrime agli occhi da quanto quella situazione assurda la stava facendo ridere.
«Senpai, lo sapevo che eravamo destinati a stare insieme!»
«Senseiiiii! Sono così felice che tu sia la mia anima gemella!»
«Partner, cosa vuol dire questo?!»
Yu si voltò immediatamente verso Rise, Teddie e Yosuke che, contemporaneamente, avevano preso la parola e si erano rivolti a lui.
Il ragazzo non fece neanche in tempo a rispondere che un botto arrivò dalla sua sinistra e il leader si voltò, solo per vedere Kanji che aveva colpito con forza il tavolo.
«Cosa cazzo significa?!» urlò.
«Kanji-kun!– Chie, che stava cercando di calmare Yukiko, si voltò verso il suo compagno più giovane –Non perdere la calma, adesso troveremo sicuramente una soluzione.»
«Non c'è nessuna soluzione. Adesso non scopriremo mai chi è l'anima gemella di chi.»
La voce lapidaria di Naoto li bloccò e il silenzio – a parte per le continue risate di Yukiko – calò nel gruppo.
E, mentre tutti gli sguardi si posavano su di lui, Yu si chiese perché aveva anche solo pensato che le cose potessero andare nel verso giusto.
Titolo: The red thread of fate (#Fever)
Fandom: Persona 4
Personaggi: Kanji Tatsumi, Naoto Shirogane
Note: La storia fa parte di una raccolta indipendente in cui il filo rosso del destino può essere visto solo se si hanno i sensi particolarmente annebbiati (in questo caso, dalla febbre alta)
Missione: M2 (Mitologia cinese – filo rosso del destino)
Numero di parole: 519
 
Il dolore alla testa la stava uccidendo.
Questa era l'unica cosa che Naoto riusciva a pensare mentre, dolorante, si trovava distesa sul suo letto, rannicchiata sotto le coperte.
La detective non ricordava nemmeno come ci fosse finita lì, a dire la verità.
L'ultima cosa che riusciva a ricordare era che, poche ore prima, si trovava a scuola, a sedere al suo banco.
Ad un certo punto era stata chiamata alla lavagna, si era alzata in piedi e...
...E tutto era diventato buio.
«Naoto? Sei sveglia?»
Ogni parola che le era stata rivolta era come una lama che affondava nel suo cranio, diffondendo una fortissima fitta di dolore nella sua testa.
La ragazza mugolò qualcosa, rannicchiandosi maggiormente nel letto.
Non voleva parlare o, meglio, non riusciva neanche a farlo.
La coperta in cui era rannicchiata fu sollevata leggermente, e fu in quel momento che qualcuno entrò nel suo campo visivo.
Kanji Tatsumi era lì, davanti ai suoi occhi.
Il ragazzo la stava guardando con aria preoccupata e nella mano destra teneva un bicchiere di vetro, con dentro uno strano liquido.
Ma non era questo ciò che aveva attirato l'attenzione di Naoto.
Il suo corpo.
Il suo corpo era completamente avvolto da uno strano, sottilissimo, filo rosso.
«Come ti senti?» le chiese, sedendosi accanto a lei sul letto.
La detective si mise a sedere, ignorando l'enorme fitta che la testa le lanciò non appena questa lasciò il comodo cuscino.
Qualcosa non andava.
Da dove veniva quel filo? Come era finito intorno al corpo del ragazzo? Perché lui non sembrava neanche farci caso?
«Naoto...?»
Naoto si riscosse leggermente.
«S-Sto bene.» rispose, cercando di rassicurarlo e pentendosi amaramente di aver parlato neanche un millisecondo dopo, quando la sua gola andò letteralmente in fiamme.
L'espressione che si dipinse sul volto – anche esso completamente avvolto dallo strano filo – del ragazzo esprimeva perfettamente quanto lui non stesse credendo a quella risposta.
«Ti ho portato la medicina.– le disse, per poi tenderle il bicchiere di vetro –Bevila, così ti sentirai meglio.»
La detective piegò la testa verso il basso – e quanto le fece male quell'azione! – e guardò la mano di Kanji.
E fu in quel momento che vide che, lo strano filo, che circondava completamente il corpo del ragazzo, era arrotolato soprattutto intorno al suo dito dove si trovava anche uno strano fiocco.
Senza neanche pensarci, la ragazza prese il bicchiere e lo posò sul comodino, per poi afferrare la mano di Kanji e iniziare a studiarla con attenzione, cercando di capire da dove si originasse quel filo.
«Ehm... Naoto? C-che stai facendo?»
La voce con cui il ragazzo le pose quella domanda era chiaramente dominata dall'imbarazzo più totale.
Ma Naoto lo ignorò.
Era troppo concentrata per ascoltare cosa aveva da dirle.
Non era meglio se provava a scioglierlo? O almeno ad allentarne un po' la presa?
Con quel pensiero in testa, la detective portò le sue mani al fiocco del dito del ragazzo, pronta a scioglierlo quando notò che, quello strano filo, non si trovava solo su di lui.
Infatti, proprio lì, intorno al suo anulare, c'era legato lo stesso identico filo.
 
Titolo: Are you proud of me?
Fandom: Bravely Default (Second)
Personaggi: Anne
Avvertimenti: SPOILER, Missing Moment
Missione: M2 – Mitologia celtica e irlandese (elemento ripreso: fate maligne della mitologia celtica)
Numero di parole: 538
 
Aveva perso.
Quando quella convinzione si fece chiara nella mente di Anne, era troppo tardi per lei.
L'attacco di Yew la colpì in pieno e la fata cadde a terra, la forza ormai sparita dalle sue bellissime ali dorate che il suo signore le aveva donato.
«C-Che disdetta...»
Anne portò lo sguardo a terra, osservando come il suolo si stesse facendo sempre più vicino.
Stava riacquistando la sua forma originale. Quella di una mera, piccola fatina dalle ali nere.
E ancora non riusciva a crederci.
Perché? Perché le cose stavano andando in quel modo?
Lei aveva fatto di tutto per Lord Providence.
Aveva ingannato quei quattro ragazzi, due anni prima, per far in modo che sua sorella Airy non si intromettesse nei suoi piani.
Aveva passato mesi in compagnia di uno stupido umano, così insopportabile che Anne si era chiesta più volte perché, tra tutti, doveva trovare proprio lui.
Ma questo non l'aveva fermata.
Aveva sopportato tutto, anche l'attesa della fine del piano di sua sorella, anche l'essere considerata il braccio destro di quell'uomo che si faceva chiamare Kaiser.
Tutto per quel momento.
Per il giorno in cui il suo padrone sarebbe giunto su quella terra e l'avrebbe distrutta.
Ogni volta che pensava a ciò che avrebbe atteso Luxendarc, Anne non riusciva a contenere il suo entusiasmo.
Voleva vederlo.
Voleva sentirlo.
Voleva viverlo.
Allora perché stava perdendo?
Perché non riusciva più a muoversi?
Perché non era capace di mantenere la forma che il suo signore le aveva donato?
La fatina digrignò i denti, riuscendo finalmente ad alzarsi in volo, le piccole ali nere che le facevano male.
No. Era impossibile.
Lei non aveva perso.
Lei doveva combattere.
Doveva continuare a lottare, così da poter vedere finalmente ciò che Lord Providence le aveva promesso.
Ma, nonostante ci provasse, non riusciva a lanciare nessun incantesimo.
Adesso era lì, che barcollava nell'aria, non riuscendo a mantenere neanche un volo stabile, mentre una forte malinconia si faceva strada in lei.
Sapeva di non aver fallito.
Dopotutto, anche se era stata sconfitta in battaglia, oramai il portale era stato aperto.
Lord Providence sarebbe arrivato su Luxendarc e l'avrebbe distrutta.
Quello era il piano fin dall'inizio.
Ma, per qualche motivo, Anne non era affatto contenta.
Non riusciva ad accettare quella sconfitta.
Non riusciva ad accettare di aver perso la possibilità di vedere ciò per cui aveva combattuto così a lungo.
Non riusciva ad accettare che il suo signore non la riconoscesse come degna del suo ruolo.
Quando quel pensiero si formò nella sua mente, gli occhi Anne si spalancarono.
Già. Ecco qual era il problema.
Nonostante tutto ciò che la fatina avesse fatto fino a quel momento, Lord Providence non le aveva mai detto niente.
Non l'aveva mai lodata.
Il mondo intorno a lei si faceva sempre più oscuro.
Le sue ali iniziarono a cedere e Anne rischiò più volte di cadere al suolo, mentre le sue labbra si schiudevano e la domanda che da tanto tempo le attanagliava il cuore fuoriusciva da esse.
«Venerabile...»
Le sue ali non riuscivano più a reggere neanche il suo misero peso.
«...siete...»
Le sue palpebre erano troppo pesanti per restare aperte.
«...fiero di...»
La fatina cadde al suolo, la voce che ormai era diventata un sussurro.
«...me?»
Titolo: Flying Fairy
Fandom: Bravely Default
Personaggi: Tiz Arrior, Edea Lee, Agnès Oblige, Airy
Avvertimenti: SPOILER, Missing Moment
Note: Il trio di personaggi (Tiz, Agnès e Edea) appartiene all’universo precedente a quello in cui iniziano gli eventi del gioco.
Missione: M2 – Mitologia celtica e irlandese (elemento ripreso: fate maligne della mitologia celtica)
Numero di parole: 575
 
Airy li aveva presi in giro.
Quando quella convinzione si fece strada nella sua mente, Tiz Arrior si trovava disteso sul ponte della nave che li aveva accompagnati durante il loro viaggio, senza che il suo corpo riuscisse a muoversi di un singolo millimetro, la ferita allo stomaco così profonda da impedirgli addirittura di respirare.
Accanto a lui, il ragazzo sapeva che si trovavano le altre sue due compagne.
Avrebbe voluto voltarsi verso di loro, accertarsi che stessero bene, correre ad aiutarle...
...Ma non aveva il coraggio di voltarsi verso di loro. Perché? Perché oramai sapeva che era troppo tardi.
Aveva visto il momento in cui la fatina si era trasformata in quella belva e le aveva colpite con i suoi stessi occhi.
Era successo proprio lì, davanti a lui.
Gli bastava chiudere le palpebre, anche sol sbatterle, per far sì che la scena di poco prima si dipingesse nella sua mente, così vivida da spaventarlo ogni volta.
Quando Airy aveva rivelato il suo doppio gioco, Edea Lee si era frapposta tra Agnès Oblige e la fata dei cristalli e aveva sguainato la sua spada, pronta a difendere la sua amica.
Il loro nemico aveva riso di quel gesto, con la sua solita dolce voce che, adesso, aveva al suo interno una punta di malignità che Tiz non aveva mai captato prima.
Ed era stato in quel momento che il ragazzo aveva capito cosa stava per succedere.
Di fronte a ciò, Tiz aveva afferrato l'ascia che si trovava sulla sua schiena, pronto a lanciarsi contro il mostro che si trovava a pochi centimetri da lui.
Ma, quando si era lanciato in avanti, con l'arma alzata sopra la sua testa, era già troppo tardi per agire.
Un urlo di dolore uscì dalle labbra di Edea e il ragazzo non potè far altro che guardare la sua compagna venire scaraventata per aria, per poi sbattere con forza contro il parapetto della nave e cadere al suolo, sul pavimento di legno.
Il sangue di Tiz era gelato nelle sue vene quando aveva visto l'enorme ferita che si trovava sul ventre della ragazza.
Non c'erano dubbi. La figlia del Templare era morta sul colpo.
Nonostante ciò, Agnès aveva gridato il suo nome e si era diretta verso di lei, ma, esattamente come era successo solo un secondo prima, Airy aveva attaccato nuovamente, e anche la vestale era caduta al suolo, inerme.
I ricordi di Tiz, da quel punto in poi, erano troppo confusi.
La paura e il dolore avevano ormai preso il sopravvento.
Ricordava di aver attaccato la fata, di aver fatto roteare l'ascia sopra la sua testa e di essersi lanciato contro il corpo del suo nemico...
Poi, il buio.
Quando si era risvegliato, si era ritrovato lì, disteso a terra sul ponte della nave che li aveva accompagnati nella loro avventura.
E da lì non si era mosso.
L'unica cosa che aveva fatto in quei suoi ultimi momenti di vita – che sembravano durare un'eternità – era stata osservare il cielo azzurro sopra di lui, senza osare chiudere gli occhi.
Non voleva rivivere quei momenti.
Non voleva rivedere le sue compagne venire uccise.
Non voleva accettare di essere stato tradito da qualcuno che, fino a poche ore prima, aveva considerato parte del suo gruppo.
E per questo rimase lì, attendendo che la morte arrivasse e lo portasse via, mentre la dolce risata della fatina risuonava, ancora, nelle sue orecchie, quasi come se volesse tormentarlo fino alla fine.

SMS

Feb. 20th, 2020 06:42 pm
Titolo: SMS
Fandom: Persona 4
Personaggi: Naoto Shirogane, Rise Kujikawa
Avvertimenti: Demenziale
Missione: M3 (Prompt: 3-4-5)
Numero di parole: 1404
 
 
Finalmente, pace.
Naoto si sedette alla sua scrivania, con la tazza di tè caldo nella mano destra, e aprì il suo computer portatile, pronta per cominciare il suo solito lavoro notturno.
Era così bello lavorare di notte.
Tutti gli altri abitanti del condominio dormivano, fuori non c'era nessuno e in casa sua non volava una mosca.
Era il momento perfetto per concentrarsi.
Nessuno poteva disturbarl-
Bip-bip.
La detective sospirò, allungando la mano verso il suo telefono cellulare che, poggiato sulla scrivania poco lontano da dove lei si era seduta, l'aveva appena avvertita dell'arrivo di un messaggio.
Quello poteva dire due cose e, in entrambi i casi, non erano belle notizie.
La prima: qualcuno dei suoi amici era nei guai e le stava chiedendo aiuto (non c'erano altri motivi per scriverle così tardi a notte fonda); la seconda: era successo qualcosa e lei doveva immediatamente correre in centrale.
Sapendo che in entrambi i casi avrebbe dovuto necessariamente rispondere, la ragazza afferrò il suo cellulare e lo aprì, guardando immediatamente tra i messaggi ricevuti.
 
Rise Kujikawa: “Io credo che tu saresti una perfetta omega, Naoto. ”
 
...
Naoto non era sicura di aver completamente compreso cosa quel messaggio stesse a significare.
Un'omega? In che senso? Cosa aveva lei di simile ad una lettera dell'alfabeto greco?
 
Naoto Shirogane: “NN CAPISCO DI CS TU STIA PARLANDO.”
 
Forse era una sorta di indovinello?
No, non poteva essere così.
Forse era un messaggio in codice? Una richiesta d'aiuto?!
La detective si alzò immediatamente dalla sedia, iniziando a cercare il suo cappotto.
Se Rise aveva bisogno di aiuto lei doveva salvarla.
Non poteva lasciare che le succedesse qualcosa.
Bip-bip.
Naoto portò nuovamente lo sguardo al suo telefono.
 
Rise Kujikawa: “Parlo di ABO, Naoto. Come fai a non capirlo?? (°ー°〃)”
 
“ABO...?”
Che quella fosse la chiave per leggere il messaggio...?
Bip-bip.
 
Rise Kujikawa: “E comunque secondo me Yu-senpai è un alfa! (๑♡⌓♡๑)”
 
Una lampadina si accese nella sua testa.
Ok, forse quel discorso non gli era completamente nuovo.
Rise aveva già avuto un dialogo simile con Yukiko, proprio quella mattina a scuola.
Naoto sospirò, togliendosi il cappotto di dosso e tornando alla sua scrivania, mentre cercava con tutta se stessa di mantenere la calma.
 
Naoto Shirogane: “L'OMEGAVERSE T STA FACENDO MALE. 6 OSSESSIONATA. DORMI.”
 
Già, l'omegaverse.
Erano giorni che Rise e Yukiko non parlavano d'altro.
Tutto era iniziato circa due settimane prima, quando la loro senpai era arrivata a scuola con un manga tra le mani che, testuali parole, “anche se non era del tutto convinta, le era sembrato interessante e lo aveva comprato”.
Se le avessero chiesto di descrivere il momento esatto prima di una catastrofe, quello sarebbe stato l'esempio perfetto.
Le due ragazze avevano iniziato a leggere il manga e... non avevano più smesso.
Adesso passavo le pause scolastiche a parlare solo ed esclusivamente di quello.
Avevano anche provato a far entrare lei in quel mondo, ma Naoto aveva rifiutato.
Forse quello il fine ultimo dei messaggi che Rise le aveva inviato poco prima era proprio quello di tentare nuovamente di trascinarla nell'omegaverse.
Bip-bip.
 
Rise Kujikawa: “Dormire?! Non posso dormire!ヽ(`Д´)ノ  Non ho ancora finito di leggere questo volume!! <(`^´)>”
 
...
 
Naoto Shirogane: “SN LE 2:30. DORMI. DMN C'È SCUOLA.”
 
Sicura che la discussione fosse finita, la detective posò il telefono sulla scrivania, tornando al suo lavoro.
Non aveva tempo da perdere.
Bip-bip.
Naoto afferrò nuovamente il cellulare, con un moto stizzito.
 
Rise Kujikawa: “Beh, sono le 2:30 anche per te, Naoto. Cosa stai facendo? (o≖◡≖)”
 
Stava lavorando. Ecco cosa stava facendo.
La detective non riuscì neanche a rispondere che un altro messaggio apparve davanti a lei.
 
Rise Kujikawa: “Ammettilo, stai leggendo anche tu un omegaverse, vero? ヾ(≧▽≦*)o È inutile che lo nascondi Naoto~”
 
...Ma possibile che si fosse fumata il cervello fino a quel punto?
 
Naoto Shirogane: “STO LAVORANDO. NN SCRIVERMI +. A DMN.”
 
Naoto rimase per qualche secondo ad osservare lo schermo del suo telefono, attendendo una possibile risposta della idol e sperando, allo stesso tempo, che quella non arrivasse mai.
Vedendo che niente stava arrivando, fece per mettere nuovamente il telefono sulla scrivania ma, proprio in quel momento, il solito "bip-bip" arrivò dal cellulare.
 
Rise Kujikawa: “Non posso dormire, Naoto. (っ=﹏=c) Ne sento il bisogno fisico.”
 
Il bisogno fisico di cosa?
Un altro messaggio apparve subito dopo, lasciando la detective ancora più confusa.
 
Rise Kujikawa: “Voglio il knot di Yu-senpai.ヾ(´囗`)ノ ”
 
Cosa diamine era un knot?!
Visto che Rise non accennava a mandare un messaggio esplicativo, la detective tornò a osservare il suo computer e aprì il browser.
Poi, digitò “knot omegaverse” nella barra di ricerca...
...e chiuse immediatamente il suo pc, le guance in fiamme.
 
Naoto Shirogane: “RISE. SMETYILA DI MANFARMI QUESTU MESAAGGI O GIURO KE T BLOKCO.”
 
Solo quando aveva ormai inviato il messaggio Naoto si rese conto della quantità di errori che aveva inserito nel scriverlo.
Doveva calmarsi.
Non era da lei perdere il controllo in quel modo.
In più, Rise stava chiaramente male.
La sua ossessione per il Senpai l'aveva già preoccupata in passato, ma ora che si era aggiunta anche quella dell'omegaverse la idol era diventata davvero spaventosa.
Bip-bip.
Stavolta Naoto aveva quasi paura a leggere il messaggio che le era stato inviato.
 
Rise Kujikawa: “No, Naoto. Non puoi capire. (`ヘ´) Come faccio se lo dà prima a qualcun'altra? O, peggio, a qualcun altro?! HAI VISTO COME SI GUARDANO LUI E YOSUKE-SENPAI?! ヽ(`Д´)ノ”
 
...Ci mancava anche la scenata di gelosia adesso.
Ma poi, Yu e Yosuke? Da quando? Lei si sarebbe preoccupata di Yukiko e Chie piuttosto.
 
Naoto Shirogane: “RISE, TRANQ. NN SUCCEDE NNT SE NN 6 LA PRIMA. ANKE SE DUBITO K IL PRIMO SARÀ YOSUKE-SENPAI.”
 
La risposta non tardò ad arrivare.
 
Rise Kujikawa: “Ma allora non capisci proprio il punto! (`ヘ´) Usando il knot si hanno molte più possibilità di mettere incinta l'omega!
Capisci che disastro se funziona con qualcun altro?! ヽ(`Д´)ノ”
 
Ora sì che il discorso stava prendendo una piega assurda.
Come poteva quel discorso essere minimamente collegato ai suoi sospetti tra Yu e Yosuke?!
 
Naoto Shirogane: “ALLORA MI PREOCCUPEREI DELLE ALTRE, NN DI YOSUKE-SENPAI.”
 
Bip-bip. Wow, veramente veloce.
 
Rise Kujikawa: “COME NO!?!??!? GUARDA CHE ESISTE L'MPREG!!! COME FACCIO SE QUEI DUE FANNO UN BAMBINO?! o(╥﹏╥)o”
 
E ora che cavolo era l'MPREG?
Ma poi aspetta... “Se quei due fanno un bambino”...?
No... non poteva essere seria...
Naoto rimase per un po' a guardare il suo cellulare, senza sapere cosa rispondere.
Era completamente senza parole.
Rise doveva farsi vedere e da qualcuno bravo.
Bip-bip.
 
Rise Kujikawa: “Naoto?? Perché non mi rispondi?? o(╥﹏╥)o”
 
Ed era pure insistente.
La detective sospirò, cercando di restare il più calma possibile.
 
Naoto Shirogane: “RISE, È TARDI. DEVO LAVORARE. BASTA. NE RIPARLIAMO DMN, OK?”
 
Sperando che il giorno dopo la idol fosse tornata in sé.
 
Rise Kujikawa: “Ok... buona notte Naoto ~(=^–^)”
 
La ragazza posò finalmente il cellulare sulla scrivania.
Forse non tutto era perduto.
Magari Rise aveva bevuto qualcosa prima di scriverle quei messaggi e per questo aveva scritto quelle cose assurde.
Già, il giorno dopo le cose sarebbero andare sicuramente meglio.
Ora doveva solo mettersi a lavorare.
La detective aprì nuovamente il suo portatile, chiudendo immediatamente l'immagine del knot che le apparve davanti agli occhi e tornando ai suoi fascicoli.
Finalmente, pace–
Bip-bip.
...No, questa volta non avrebbe guardato il telefono.
Doveva davvero lavorare.
Bip-bip.
Non avrebbe mai finito altrimenti.
Bip-bip.
Quel caso non si sarebbe risolto da solo.
Bip-bip.
«Oh insomma!»
Naoto afferrò il cellulare, esasperata.
Quando guardò lo schermo, si ritrovò davanti quattro messaggi.
 
Rise Kujikawa: “Naoto.”
Rise Kujikawa: “Naoto, rispondi. (`ヘ´) ”
Rise Kujikawa: “Naoto, è importante. ヽ(`Д´)ノ”
Rise Kujikawa: “Naoto!! HO BISOGNO DEL TUO AIUTO!! ヾ(´囗`)ノ”
 
La detective dubitava della veridicità di quelle parole, ma rispose comunque alla sua amica.
 
Naoto Shirogane: “K C'È ADESSO?”
 
Che Rise avesse davvero bisogno del suo aiuto adesso?
Bip-bip.
 
Rise Kujikawa: “Puoi venire da me? ~(=^–^)”
 
Da lei? A quell'ora?
Come già era successo quella sera, la risposta alla sua domanda arrivò prima che lei potesse anche solo iniziare a digitare qualcosa.
 
Rise Kujikawa: “Ho preso la sciarpa di Yu-senpai oggi, di nascosto. (o≖◡≖) 
Devo studiarne i feromoni e capire se sono la sua omega.  ~(=^–^) Per favore aiutami!
Ho preso anche quella di Yosuke-senpai così possiamo vedere se c'è anche solo la remota possibilità che quei due abbiano un bambino! (*•̀ᴗ•́*)”
 
Naoto rimase immobile per qualche secondo, spaesata dal nuovo picco di delirio che quei messaggi avevano raggiunto.
Poi, semplicemente, spense il suo telefono.

Questa storia partecipa al COW-T10 indetto da LDF
Missione: M2 (Pioggia - Neve - Oscurità)
Fandom: Persona 4
Personaggi/Pairing: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi
Parole: 550
 
 
"Se desideri qualcosa per tre volte, allora la vuoi davvero."
Questo era ciò che suo nonno le aveva detto più volte in passato ed era il metro di giudizio con cui Naoto aveva da sempre deciso se qualcosa meritava davvero la sua attenzione.
Voleva comprare un libro? Visitare un luogo particolare? Fare un'esperienza nuova? Qualsiasi cosa le venisse in mente, ecco che, se la desiderava per ben tre volte, faceva di tutto per ottenerla.
«Naoto, tutto ok? Sei ferita?»
Ma, adesso che l'oggetto del suo desiderio non era più un "qualcosa" ma un "qualcuno", la detective non sapeva davvero come comportarsi, se non facendo mente locale su quante volte aveva provato quella sconosciuta sensazione.
 
La prima volta che quello era successo, Naoto non aveva considerato quel sentimento come un vero e proprio desiderio. Quell'evento era accaduto durante la gita in montagna che, pochi mesi prima, l'intero Investigation Team aveva organizzato.
Kanji si era offerto di aiutarla a imparare a sciare e lei aveva accettato più che volentieri, soprattutto considerando che, altrimenti, sarebbe dovuta restare a sedere da qualche parte, senza niente da fare se non osservare il paesaggio innevato.
Ed era stato proprio quando lui aveva portato le sue forti braccia intorno alla sua vita per sorreggerla che i loro sguardi si erano incrociati e un singolo pensiero si era insinuato nella testa della ragazza, stordendola:
La neve, riflessa nel grigio dei suoi occhi, era dieci volte più bella.
 
La seconda volta che quello strano sentimento si era fatto strada dentro di lei, Naoto aveva iniziato ad avere i primi dubbi.
«Non hai l'ombrello, Naoto?»
La detective si trovava proprio all'uscita della scuola e osservava la pioggia che, con forza, si frantumava sul terreno, quando Kanji era comparso dietro di lei e le aveva fatto quella domanda.
A dire la verità, lei aveva un ombrello.
Era solo un caso se si era messa lì fuori, a prendere un po' d'aria.
E quella era la risposta che aveva pensato di dargli...
«Se non lo hai posso riaccompagnarti a casa.»
Ma, quando il ragazzo le aveva detto in quel modo, Naoto aveva accettato il suo invito prima ancora che il suo cervello potesse connettersi del tutto.
 
La terza volta, il momento in cui quel sentimento era davvero esploso, era stato solo pochissimi istanti prima.
Naoto e il resto del gruppo si trovavano immersi nell'oscurità di Magatsu Inaba, quando una Shadow molto più forte di loro li aveva colti di sorpresa, attaccandoli nel buio più totale.
Prima ancora che la detective potesse iniziare a correre, Kanji aveva cinto con le sue braccia la sua esile vita e l'aveva sollevata da terra, scappando.
Ed era a quel punto che era successo.
Il fortissimo desiderio aveva preso il pieno sopravvento sulla sua mente, causando un vero e proprio blackout nel suo cervello.
 
E per questo adesso si trovava lì, a sedere a terra, a contare le volte in cui si era sentita in quel modo.
«Naoto? Perché non rispondi?»
Naoto alzò lo sguardo, puntandolo sugli occhi di Kanji che, brillando nell'oscurità, la scrutavano con preoccupazione.
Senza dire una parola, la detective si alzò.
«Nao–»
E, prima che Kanji potesse chiederle nuovamente cosa non andava, tirò il ragazzo a sé, unendo le loro labbra in quel bacio che aveva ormai desiderato il numero giusto di volte.
 
 

If you were a woman and I was a man

Would it be so hard to understand?

That a heart's a heart and we do what we can

If you were a woman and I was a man

 

«Dovresti dormire, Akihiko.»

Mitsuru non poté far a meno di sorridere quando vide il ragazzo sussultare leggermente e voltarsi verso la direzione da cui lei aveva parlato.

«Scusa, non volevo spaventarti.» aggiunse, uscendo dalla porta a vetro e chiudendosela alle spalle.

Per un attimo, il silenzio notturno calò nuovamente tra di loro.

Akihiko rivolse lo sguardo verso il cielo, contornato di così tante stelle che era pressoché impossibile riuscire ad osservarle tutte.

Ma Mitsuru sapeva che non erano le stelle ciò a cui Akihiko era interessato.

Gli occhi del ragazzo erano fissi sulla luna.

In effetti, chiunque in quella situazione l’avrebbe guardata: un enorme disco dorato che spiccava nel cielo notturno, nascondendo all’occhio umano tutte le stelle che gli stavano più vicine.

«Da quanto sei qui?»

Quando lui le pose quella domanda, la ragazza dovette pensarci un attimo prima di rispondere.

Da quanto era lì?

Da tanto, da quando lui era uscito dalla sua stanza a dire la verità.

E poteva dirglielo?

No, certo che non poteva.

Ammettere di essere stata ad osservarlo fino a quel momento era sicuramente una delle dichiarazioni che Mitsuru non avrebbe mai voluto rilasciare in vita sua.

«Non da molto. Sono appena arrivata.» mentì, mettendoci forse troppo tempo a rispondere.

Akihiko sembrò crederle o, se non lo fece, non ne dette alcun segno.

Poi, silenzio.

Mitsuru mise le braccia sulla ringhiera del terrazzo, portando anche lei gli occhi al cielo e osservando le numerose stelle che si trovavano sopra di loro.

O, almeno, questo era quello che avrebbe voluto fare.

Nonostante ogni singolo neurone nel suo cervello le stesse ordinando di volgere lo sguardo in alto, la ragazza era rimasta immobile, con gli occhi fissi sul ragazzo accanto a lei.

Dopotutto, cosa poteva farci?

Akihiko era bellissimo.

La sua pelle brillava sotto la luce della luna piena, .

I suoi capelli albini erano tirati indietro, facendo sì che la ragazza potesse osservare ogni minimo dettaglio del suo viso.

Le sue labbra rosee, già particolarmente invitanti durante il giorno, sembravano adesso più gonfie e carnose; così tanto che Mitsuru ebbe quasi l'impulso di sfiorarle con le proprie...

«Dovresti dormire anche tu, Mitsuru.»

La ragazza tornò con i piedi per terra non appena Akihiko le rivolse la parola, portando avanti una conversazione che lei, oramai, credeva fosse già finita.

Con uno scatto fulmineo, si voltò, sperando con tutta se stessa che il ragazzo non si fosse reso conto del modo in cui lo stava osservando fino a pochi secondi prima.

Torna sulla Terra, Kirijo.”

No, quello non era assolutamente il momento per lasciarsi andare.

Lei lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene.

«Non riesco a dormire.» rispose, la voce diventata un sibilo.

A mezzanotte, la Dark Hour – la loro ultima Dark Hour – sarebbe giunta e loro sarebbero dovuti intervenire immediatamente per salvare il mondo da Nyx.

Salvare...”

Quella parola era così strana.

Era strana proprio perché lei sapeva che non avrebbero mai potuto salvare proprio un bel niente.

Sarebbero andati a morire.

«Questa sarà la nostra ultima battaglia.» disse poi, continuando a tenere lo sguardo fisso sulle stelle sopra di lei.

Anche se non lo stava guardando, Mitsuru sapeva che Akihiko stava annuendo.

Lo aveva osservato così tanto in quegli anni che poteva sempre immaginare cosa lui avrebbe fatto.

Per questo quella notte aveva aspettato che lui uscisse dalla sua stanza, per dirigersi sul terrazzo: perché era a conoscenza che lui lo avrebbe fatto. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso.

Dopotutto, non avrebbe mai potuto.

«Questa sarà probabilmente anche la nostra ultima notte insieme, Mitsuru.»

La voce con cui Akihiko aveva pronunciato quelle parole era completamente diversa dal solito.

 

I look at you, you look away

Why do you say we're night and day?

 

Mitsuru abbassò lo sguardo, distogliendolo dalle stelle.

Aveva ragione.

Quella era sicuramente la loro ultima notte insieme.

La ragazza sussultò leggermente quando Akihiko fece scivolare delicatamente la sua mano su quella di lei.

«Mitsuru, guardami.»

No.”

 

I'd like to try another way

Oh, baby, for just one day!

 

Prima ancora che quel suo pensiero potesse propagarsi nella sua mente, però, Mitsuru aveva già alzato lo sguardo e lo aveva puntato sul ragazzo accanto a lei.

Akihiko era così diverso, in quel momento.

La luce nei suoi occhi, il sorriso triste sulle sue labbra, il modo in cui le stava stringendo la mano... lo rendevano quasi un'altra persona.

«Cosa vuoi fare, Mitsuru?»

Quella domanda l'aveva presa completamente alla sprovvista.

«Akihiko...»

«Mitsuru, cosa vorresti fare?– la interruppe lui, la voce che gli tremava leggermente –Lo sai che io farei come vuoi tu. Qualsiasi cosa tu decida.»

La ragazza serrò le labbra, lasciando andare ogni sua difesa e osservando Akihiko che, lentamente, aveva iniziato ad avvicinarsi.

Cosa voleva fare?

Aveva davvero il coraggio di chiederlo?

Lei avrebbe voluto baciarlo.

Avrebbe voluto che lui fosse il suo ragazzo.

Avrebbe voluto poterlo sbattere contro il muro e poter unire le loro labbra, senza che mai più si staccassero.

Avrebbe voluto sentire le sue mani accarezzarle le braccia, la schiena, la vita.

Avrebbe voluto che lui le baciasse il collo, mentre lei gemeva il suo nome.

Avrebbe voluto chiudersi in camera con lui.

Avrebbe voluto svegliarsi la mattina seguente, ancora abbracciati.

Avrebbe voluto potersi sposare con lui, avere una vita con lui.

Avrebbe voluto avere dei figli, magari due gemelli.

Avrebbe voluto poter stare con suo marito per il resto dei loro giorni.

Avrebbe voluto avere una famiglia felice.

Avrebbe voluto portare i bambini a scuola, aiutarli con i compiti, andare a lavoro.

Avrebbe voluto tornare a casa e trovare suo marito lì, ad aspettarla.

Avrebbe voluto invecchiare con lui.

Avrebbe voluto avere dei nipoti.

Avrebbe voluto avere una vita normale.

Avrebbe solo voluto essere una ragazza qualunque, senza nessun compito da portare a termine.

Avrebbe solo fottutamente voluto poter vivere una vita normale con il ragazzo che amava.

 

We're just two people trying to love

 

Ma lei sapeva...

Il cielo sopra di loro si schiarì di colpo e il nero di poco prima fu sostituito da un verde scuro.

...ma lei sapeva che questo non era possibile.

 

Oh, but how...

 

La luna divenne più grande e minacciosa.

La ringhiera su cui le loro mani erano poggiate si colorò di rosso.

La Dark Hour era arrivata.

Mitsuru distolse lo sguardo da Akihiko e lui si fermò ad un millimetro dal suo volto.

Per un attimo rimasero così, in completo silenzio, senza che nessuno dei due riuscisse a muovere neanche un muscolo.

Infine, Mitsuru fu la prima ad allontanarsi.

La ragazza face scivolare la sua mano sulla ringhiera, liberandola dalla presa dell’altro.

Akihiko non si mosse ma la ragazza sapeva cosa doveva star provando in quel momento.

Odio, rabbia, tristezza.

Tutti sentimenti che anche lei sentiva fin troppo bene.

«Andiamo, Nyx non ci aspetterà.» disse, prima di camminare verso la porta a vetri.

E, mentre si allontanava dal ragazzo che amava, Mitsuru non poté far a meno di notare che, in cielo, il numero delle stelle era sceso a zero.

Lo stesso numero delle possibilità che i suoi sogni si avverassero.

 

...how can we love?

Wrong Lie

Aug. 10th, 2019 11:37 pm
Fandom: Persona 4
Titolo: Wrong Lie

18 giugno 2013, ore 10:30
«Domani partiremo per il campeggio annuale della Yasogami High. Nonostante la trovi una grande perdita di tempo, adesso vi dirò come siete stati divisi in gruppi.»
Quando la professoressa Kashiwagi aveva pronunciato quelle parole, Naoto aveva fatto scivolare lo sguardo fuori dal finestrino, smettendo completamente di ascoltare.
Aveva già avvertito la scuola che non sarebbe potuta andare, inventandosi un impegno lavorativo inesistente, così come aveva fatto l'anno prima quando era in seconda.
Dopotutto, che senso aveva partecipare a quella stupida gita?
Il campeggio non era mai stato un suo forte.
Gli insetti, dormire accampati all'esterno, dover cucinare per un intero gruppo di persone...
No, era decisamente un qualcosa che preferiva evitare.
«Il terzo gruppo sarà formato da...» iniziò Kashiwagi, il tono di voce alto come al solito.
Fin da bambina, quando suo nonno aveva provato a portarla a fare delle escursioni in montagna, Naoto aveva capito che quelle vacanze all'aria aperta non facevano proprio per lei.
«...Kujikawa...»
E se aveva trovato noioso fare un'esperienza del genere con suo nonno, come poteva anche solo pensare di potersi divertire con la sua classe?
«...Tatsumi...»
Soprattutto con una persona come Rise intorno.
Per quanto le volesse bene, dover condividere la tenda con una persona come lei era forse il suo peggior incu-
«...e Shirogane.»
Naoto sussultò visivamente, voltandosi di scatto verso la sua coordinatrice di classe, che era adesso passata a leggere i nomi degli studenti del quarto gruppo.
Possibile che avesse sentito bene?
La detective si guardò intorno, ripassando mentalmente tutti i cognomi dei suoi compagni di classe.
No, non c'erano dubbi.
Nessuno di loro aveva un cognome così simile al suo da poterla confondere a quel modo.
Doveva esserci un errore.
La ragazza si mise sull'attenti, pronta ad alzare il braccio ed ad attirare l'attenzione della professoressa quando un brivido le corse lungo la schiena.
Si voltò alla sua sinistra, sperando con tutta se stessa che il brutto presentimento che aveva appena avuto fosse in realtà falso.
E fu in quel momento che la vide.
Rise, seduta dall'altra parte della stanza, la stava guardando con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
 
18 giugno 2013, ore 13:46
«Come ti è venuto in mente?!»
Rise alzò lo sguardo, puntandolo sulla ragazza che aveva appena sbattuto la mano sul suo banco.
«Buongiorno anche a te, Naot-»
«Rise, non ignorare la mia domanda!» la interruppe immediatamente l'altra, il tono della voce molto più alto del solito.
La idol trattenne una risatina, mentre, con suo grande divertimento, mostrava alla sua amica lo sguardo più perplesso che poteva.
«Non capisco di cosa stai parlando.– disse, utilizzando le sue migliori doti di recitazione –E ci stanno guardando tutti, non potresti abbassare la voce?»
Ma, per quanto fosse brava, Naoto non parve minimamente cadere nel suo tranello.
Nonostante questo, la detective fece un respiro profondo e Rise non poté che trovare terribilmente carino e divertente il modo in cui la ragazza cercasse di mostrarsi tranquilla.
«Sto parlando della gita, Rise.– disse poi, tornando ad utilizzare il suo solito tono –Sei stata tu a dire a Kashiwagi che avrei partecipato, vero?»
«Io? Io non potevo farlo.– rispose prontamente l'altra, continuando la sua recita –Dopotutto il foglio dovevi firmarlo tu.»
Silenzio.
La detective sembrò vacillare per un secondo, come se qualcosa non le tornasse.
Rise continuò a osservarla mentre lei si mordeva il labbro inferiore, così come faceva ogni volta che pensava alla soluzione di un'enigma.
Poi i suoi occhi si illuminarono.
«Rise.» disse Naoto, il tono tremante, come se lei non fosse in grado di trattenersi completamente.
«Sì, Naoto?»
«Hai firmato al posto mio?!» esclamò, la rabbia ben udibile nella sua voce.
La idol non riuscì a trattenere la risatina che fuggì dalle sue labbra.
«Forse.»
«Cosa vuol dire "forse"?! E' illegale!»
Adesso sì che tutta la classe le stava guardando.
Quando Rise glielo fece nuovamente notare, Naoto arrossì leggermente, afferrandola per il braccio e facendola alzare dal suo posto per trascinarla fuori, lontano dagli sguardi degli altri.
«Naoto, mi fai male.~» scherzò la idol, non resistendo alla tentazione di prendere in giro la sua amica.
La detective le lanciò un'occhiataccia di rimando ma, nonostante ciò, allentò leggermente la presa, mentre si dirigeva con passi decisi verso i gradini che conducevano al tetto della scuola.
«Quindi, sei stata tu o no?» le domandò, una volta chiusa la porta.
Rise ebbe l'impulso di continuare a giocare con lei ma, quando vide lo sguardo serio di Naoto, capì che era meglio smetterla.
«Ok, ok.– rispose, lasciando andare un (finto) sospiro –Sono stata io. Ma prima che t–»
«Rise!» la interruppe immediatamente l'altra.
La idol sbuffò.
«Posso finire di parl–»
«Andiamo da Kashiwagi, dobbiamo immediatamente spiegarle la situazione.» disse Naoto, rendendo vano anche il secondo tentativo della sua amica di finire il suo discorso.
Rise tentò di protestare, ma la detective si stava già dirigendo verso la porta che poco prima avevano attraversato.
Doveva assolutamente fermarla.
«Na–»
«Non posso crederci che tu abbia fatto una cosa simile.»
«Nao–»
«Ma io dico, come ti è saltato in mente?! Lo sai che odio questo tipo di git–»
«Me lo ha chiesto Kanji!» mentì Rise, cercando in tutti i modi una scusa per non farla andare dalla professoressa.
Ma, quando vide lo sguardo incredulo che Naoto le stava rivolgendo, la idol pensò che, forse, aveva scelto la bugia sbagliata.
 
19 giugno 2013, ore 02:34
Kanji osservava il soffitto buio della sua stanza, senza che il sonno prendesse il sopravvento.
"«Il terzo gruppo sarà formato da Kujikawa, Tatsumi e Shirogane»"
Le parole della professoressa Kashiwagi continuavano a tornargli in mente, impedendogli di chiudere occhio.
Quando il nome di Naoto era stato pronunciato, il ragazzo aveva pensato che ci fosse stato un errore.
Naoto gli aveva detto più volte che non avrebbe partecipato a quella gita e lui, per quanto a malincuore, aveva accettato la sua decisione.
Dopotutto, lei non era mai stata il tipo a cui erano piaciute quelle cose.
L'unica volta in cui lui l'aveva vista partecipare ad una gita scolastica era stato due anni prima, a Port Island.
Ma in quel caso la situazione era diversa: Kanji sapeva che Naoto aveva deciso di andare solo per portare avanti le sue indagini sul caso e interrogarli in un momento di maggiore debolezza.
Adesso, da quello che lui sapeva, non vi erano casi a cui lei stesse lavorando.
O, almeno, nessun caso su cui potesse indagare durante quel campeggio.
“Ma allora perché ha deciso di venire?”
Il ragazzo si rigirò nel futon, cercando una risposta a quella domanda che lo stava ormai tormentando da quella mattina.
No, lui in realtà una risposta l'aveva trovata.
Solo non voleva accettarla.
"«Il terzo gruppo sarà formato da Kujikawa, Tatsumi e Shirogane»"
Quando quelle parole si ripeterono per l'ennesima volta nella sua mente, Kanji si alzò dal futon, afferrando il suo telefonino e aprendo la sua chat con Rise.
Aveva bisogno di risposte.
Non poteva andare avanti così.
 
Kanji Tatsumi:
  Perché Naoto ha deciso di venire in gita con noi?
Solo in quel momento il ragazzo si rese conto dell'orario.
Molto probabilmente Rise stava già dormendo.
Kanji sbuffò, riponendo il telefonino al suo posto.
Era tutto inutile.
Non avrebbe mai ottenuto una risp–
Il telefono non fece in tempo a smettere di vibrare che già si trovava nelle sue mani.

Rise Kujikawa:
  Kanji!!! Ti sembra l'ora di scrivermi?  (TДT)
  Cmq xk vuole stare con una persona!! A dmn <3!
  ヽ(o♡o)/
 
Il ragazzo ci mise un attimo a decifrare il messaggio appena ottenuto.
Poi, fu come se il mondo gli fosse crollato addosso.
Si distese nuovamente sul futon, lasciando andare il telefono sul pavimento.
La sua paura era fondata.
A Naoto piaceva qualcuno.
 
19 giugno 2013, ore 07:30
Naoto non aveva chiuso occhio.
Tutta l'ansia che aveva riguardo quello stupidissimo campeggio era esponenzialmente aumentata nel momento in cui Rise le aveva rivelato il motivo per cui l'aveva iscritta di nascosto e, adesso lei non riusciva a pensare ad altro.
La ragazza si sporse verso il piccolo corridoio del bus su cui si trovava, spiando velocemente uno dei posti poco dietro il suo.
Kanji era seduto lì e, dalle profonde occhiaie che si trovavano sotto i suoi occhi, neanche lui doveva essere riuscito a dormire poi più di tanto.
E Naoto odiava non capirne il motivo.
“«Kanji ci teneva molto che tu venissi, per questo ha insistito»”
Quando le parole che Rise le aveva detto il giorno prima le tornarono in mente, la ragazza sentì le sue guance andare in fiamme e si sistemò nuovamente nel suo posto, stando attenta a non farsi vedere da nessuno dei suoi compagni di classe.
Possibile che Kanji volesse stare con lei in quella gita così tanto da chiederlo a Rise?
Perché desiderava che lei fosse presente?
Possibile che...
“...che io gli piaccia?”
Naoto scosse con forza la testa, le guance che le andavano in fiamme.
No.
Doveva esserci un errore.
In quegli anni, Kanji non aveva mai dato segni di essere innamorato di lei.
Lei era un detective.
Era il suo lavoro scoprire cosa passasse per la testa delle persone.
Sicuramente se ne sarebbe resa conto prima.
“Questo vuol dire che...”
Naoto si voltò immediatamente alla sua sinistra, posando lo sguardo sulla ragazza che, seduta tranquillamente nel posto accanto al suo, stava mangiando dei pocky alla fragola.
Certo.
Tutto tornava adesso.
Se Kanji voleva che anche lei andasse in gita con loro, era sicuramente perché non voleva stare solo con Rise.
E questo significava che...
“A Kanji piace Rise?!”
«Naoto? Ti senti male?»
Quando la sua amica chiamò il suo nome, Naoto sussultò visivamente, riscuotendosi dai suoi pensieri.
«No, sto bene.– rispose la detective, distogliendo immediatamente lo sguardo dal viso preoccupato di Rise –Scusami, ero solo assorta nei miei pensieri.»
Non poteva far trapelare niente.
Non sarebbe stato giusto nei confronti di Kanji.
Se lui aveva richiesto il suo aiuto, allora era compito suo aiutarlo.
Con quel pensiero in testa, Naoto tornò a leggere il libro che poco prima aveva aperto sulle sue ginocchia, senza rendersi conto dello sguardo indagatore con cui Rise continuava a guardarla.
 
19 giugno 2013, ore 13:58
La situazione era sicuramente fuggita di mano.
Tutto il piano che Rise aveva messo su per la loro ultima gita insieme si era completamente distrutto nel momento in cui il bus era arrivato a destinazione.
Neanche un secondo dopo il momento in cui i suoi piedi avevano toccato il terreno fangoso dei boschi intorno Inaba, la idol aveva perso di vista Kanji e non era più riuscita a trovarlo.
Aveva anche provato a chiedere agli altri studenti, ma nessuno pareva averlo visto.
Senza lasciarsi prendere dalla malinconia, la ragazza era allora tornata da Naoto, decisa a passare il tempo almeno con la sua migliore amica...
...tentativo che si era, però, rivelato vano.
Rise sbuffò, mentre con la coda dell'occhio osservava la detective che, poco lontano da lei, stava tagliando le verdure necessarie per cucinare il curry, sul piccolo tagliere che si erano portati dietro.
Naoto era... strana.
La idol non sapeva cosa fosse successo, ma era da quando si trovavano sull'autobus che la sua amica si comportava in modo decisamente non "da Naoto".
Ogni tentativo di conversazione non era andato a segno.
Qualsiasi cosa Rise le dicesse, era come se lei non la sentisse nemmeno.
La detective era completamente assorta nei suoi pensieri, senza che ci fosse alcun modo per attirare la sua attenzione.
“Non mi ha nemmeno sgridata quando ho fatto quelle battutine, poco fa...”
La ragazza tornò ad osservare il grosso pentolone che aveva di fronte a lei e ricominciò a mescolarne il contenuto (che tutto sembrava, fuorché curry) con il mestolo nella sua mano, mentre un piccolo lamento usciva dalle sue labbra.
Quella non era il campeggio che aveva sognato.
Visto che quella era la loro ultima gita insieme, la idol voleva passarla con i suoi due amici, in modo da costruire delle memorie che avrebbe potuto ricordare per sempre.
Ciò che aveva ottenuto fino a quel momento erano solo chiacchierate a senso unico.
Per l'ennesima volta da quando avevano iniziato a cucinare, la ragazza sbuffò.
Forse era lei quella che continuava a farsi troppi problemi.
Magari Kanji voleva semplicemente andare a parlare con Naoki.
E, magari, Naoto aveva per la testa uno dei suoi casi.
Era stata lei a costringerla a venire dopotutto.
Forse aveva davvero del lavoro da fare e questo poteva averle creato problemi.
E a proposito di lavoro...
«Naoto, hai finito con quelle verdure?» domandò la idol, tornando a osservare la sua amica.
Quando la chiamò, la detective sussultò visivamente, a dimostrazione del fatto che qualcosa la tormentava.
«Sì, scusami.– rispose dopo un secondo di silenzio, dirigendosi verso di lei, il tagliere nella mano sinistra –Anche se... credo di avere esagerato...»
E, mentre gli occhi di Rise osservavano la strana poltiglia che era rimasta di quelle che dovevano essere le loro verdure, la idol non poté che convincersi che, alla fine, la situazione le stava davvero fuggendo di mano.
 
19 giugno 2013, ore 15:03
Niente.
Kanji lasciò uscire un forte sospiro dalle sue labbra.
Aveva domandato a tutti.
Ma...
“Possibile che nessuno sappia chi sia il tizio che piace a Naoto?”
In realtà non era che la cosa lo sorprendesse più di tanto.
Naoto era da sempre stata una ragazza molto riservata e capire cosa le passasse per la testa non era certo facile.
Soprattutto per persone che non la conoscevano molto...
«Kanji!»
La voce squillante di Rise attirò la sua attenzione e il ragazzo alzò lo sguardo, puntandolo sulla idol.
...? Perché aveva quell'aria arrabbiata?
«Rise...?»
«Si può sapere dove eri finito?!– la ragazza lo afferrò per il braccio, iniziando a strattonarlo –Io e Naoto abbiamo finito di cucinare ormai da un pezzo! Il pranzo era alle due, non ricordi?!»
Kanji la guardò interdetto, non capendo neanche di cosa stesse parlando.
«Il pranzo?»
Rise lo fulminò con lo sguardo.
«Sì.– rispose, la rabbia ben udibile nel suo tono di voce –Il pranzo che io e Naoto abbiamo cucinato. Da sole. Visto che tu sei scappato non so dove!»
Fu in quel momento che il ragazzo si ricordò dove fossero.
Il sangue gli si gelò nelle vene, quando guardò l'ora sull'orologio che aveva sul polso.
Cazzo.
Questa volta l'aveva fatta grossa.
«Rise, mi di–»
«Non scusarti.– esclamò Rise, lasciandolo andare –E' da prima che sento solo gente che mi chiede scusa. Naoto non fa che ripetere altro. Sono stufa.»
Kanji la guardò, interdetto.
«Perché Naoto ti chiede scusa?» domandò.
La idol lasciò andare una risatina isterica, chiaramente diversa da quelle che solitamente lasciavano le sue labbra.
«Non lo so.– rispose, alzando le spalle –Non ne ho idea, ok? Ha la testa tra le nuvole da quando siamo arrivati. Ogni volta che cerco di chiederle cosa sta succedendo lei non mi risponde e, quando lo fa, dice cose incomprensibili e mi chiede scusa. Mentre taglia– no, maciullava le verdure si è quasi portata via un dito e cosa mi ha detto? "Scusa". Io non capisco veramente quale sia il problema.» concluse, senza neanche darsi il tempo di riprendere fiato.
Ma Kanji non la stava più ascoltando.
Possibile che Naoto fosse innamorata al punto da non riuscire neanche più a ragionare come al suo solito?
«Kanji...?»
Se era così...
«Kanji, mi stai ascoltando?»
...la situazione era ancora più grave del previsto.
«Kan–»
«Dimmi di chi è innamorata Naoto, Rise!» esclamò il ragazzo, afferrando la idol per le spalle.
 
19 giugno 2013, ore 15:05
“Ma è davvero possibile che Rise non si sia accorta che Kanji provi qualcosa per lei?”
Naoto si trovava a sedere sul tavolo a loro assegnato, il pentolone ormai freddo di curry poggiato di fronte a lei, mentre con lentezza si portava il cucchiaio alla bocca.
Nonostante non sapesse il perché, era da quella mattina che non riusciva a pensare ad altro.
Ogni volta che cercava di distogliere l'attenzione dai problemi d'amore dei suoi due amici, un altro possibile scenario le veniva in mente e la detective iniziava a rimuginare su ogni piccolo particolare, cercando una via d'uscita da quel gomitolo di sentimenti che si era creato nella sua mente.
L'unica cosa certa era che a Kanji piacesse Rise.
Più ci pensava e più i tasselli di quel puzzle andavano al loro posto.
Il modo in cui il ragazzo balbettava o si comportava quando c'erano loro; il modo in cui le guardava; il modo in cui arrossiva quando lei e Rise gli rivolgevano la parola...
A pensarci bene, anche il fatto che Kanji fosse scomparso non appena erano arrivati nel bosco era sicuramente un indizio utile.
Ciò che Rise provasse per lui, invece, restava un mistero.
Certo, mentre preparavano il curry poco prima, la idol aveva parlato spesso di lui, ma questo bastava veramente a dimostrare qualcosa?
In più, la ragazza aveva messo più volte in luce il suo interesse verso il loro Senpai, e continuava a farlo tuttora, anche se erano passati anni.
Era forse per questo che Kanji voleva il suo aiuto? Per farle dimenticare Yu?
Naoto scosse la testa e portò nuovamente il cucchiaio alle labbra, inserendo nella sua bocca un'altra boccone del riso al curry che avevano preparato.
Non poteva passare l'intera gita a pensare a quelle cose.
Doveva parlare con il diretto interessato, così da chiarire il modo in cui doveva muoversi.
Sì, quella era senz'altro un'ottima idea.
La detective portò l'ultimo boccone del curry rimasto alle labbra, rendendosi conto solo in quel momento di aver finito il suo intero piatto.
Dannazione.
Aveva promesso a Rise che l'avrebbe aspettata e, invece, senza neanche rendersene conto, aveva iniziato a mangiare.
Forse era meglio se smetteva di perdersi così tanto nei suoi pensieri e se, dopo, chiedeva scusa alla sua amica...
«Muoviti.»
La voce della diretta arrivò alle sue orecchie e Naoto alzò lo sguardo, trovandosi di fronte una scena a dir poco surreale.
Rise si stava avvicinando a grandi passi verso il tavolo su cui lei era seduta, trascinando per il braccio un Kanji apparentemente nel panico.
Il sangue della detective le si gelò nelle vene.
Possibile che il ragazzo si fosse dichiaro e la dichiarazione non fosse andata a buon fine?
La ragazza si alzò, pronta ad andare incontro ai suoi due amici.
Doveva dargli una mano.
Dopotutto l'aveva chiamata lì per quell–
«Tu non ti muovere e rimettiti seduta.»
Il tono di voce di Rise era completamente diverso dal solito e ogni muscolo di Naoto si bloccò sul posto.
Che stava succedendo?
Possibile che avesse scoperto tutto...?
«Rise, cosa stai facendo?» protestò Kanji, quando la idol lo spinse verso il tavolo.
«Voi due dovete parlare.– rispose lei, gesticolando –Non vi sopporto più, è da prima che vi comportate in modo strano!»
Naoto non riusciva più a capire cosa stesse succedendo.
«Rise, scusam–»
«Tu non dirlo!– esclamò la idol, esasperata –Basta scusarsi. Vi prego. Parlate.– continuò poi, afferrando il suo piatto di curry –Io vado a mangiare all'altro tavolo, quello laggiù. Quando ho finito voglio che questo enorme equivoco sia risolto e che voi due vi mettiate d'accordo. Sono stata chiara?!»
Poi, senza lasciare neanche il tempo agli altri due di rispondere, Rise si incamminò verso l'altro tavolo.
 
19 giugno 2013, ore 15:34
Rise si sedette al tavolo, sbattendo con forza il curry sul piano di legno.
Non ne poteva più.
Tutta la sua pazienza aveva ormai raggiunto il limite e la ragazza aveva agito di impulso.
Lanciò uno sguardo ai due suoi amici seduti poco lontano da lei che, confusi, avevano iniziato a parlare l'uno con l'altro.
“Speriamo che questo metta fine alle loro stranezze.” pensò, inserendo il cucchiaio nel curry.
Anche se solo a grandi linee, la ragazza aveva più o meno capito cosa era successo.
Entrambi i suoi amici dovevano aver preso un enorme granchio e, ora, non riuscivano a trovare una soluzione.
«Io non sono innamorata!»
L'urlo di Naoto arrivò alle sue orecchie.
Bene, questa era la parte della storia che già sapeva.
«Sei tu ad esserlo!» continuò la detective.
Ecco la parte che le mancava.
La idol si voltò nuovamente verso i suoi due compagni, mentre si portava il cucchiaio di curry alle labbra.
«Io?!– gridò di rimando Kanji, incurante del fatto che lei riuscisse benissimo a sentirli –D-di chi sarei innamorato io?!»
Naoto fece un gesto con la testa, ma il ragazzo non sembrò capire.
Rise assottigliò lo sguardo, osservando il modo in cui Naoto si stava muovendo.
«Cosa?!– l'urlo di Kanji fu così potente da far scappare un piccolo gruppo di uccellini che si era posato sui rami di un albero lì vicino –Come può piacermi Rise?!»
«Eh? Ma quindi non è lei?» Naoto sembrava chiaramente sorpresa.
...
Rise si voltò nuovamente verso il piatto di fronte a lei, portando un altro boccone alle labbra.
Quei due avevano problemi seri se erano riusciti a creare un equivoco così grosso.
«Ma allora perché hai chiesto a Rise di iscrivermi alla gita di nascosto?»
I movimenti della ragazza si bloccarono completamente.
«EH?! Io non le ho chiesto niente! Mi ha detto che hai deciso di venire perché c'era una "persona".»
“Oh, oh...”
«RISE!»
Quando i due urlarono il suo nome, Rise si voltò nuovamente verso di loro.
«Potrei aver detto una piccola bugia...» disse, mentre sentiva un brivido correrle lungo la schiena.
Già.
Quella che aveva detto il giorno prima, era stata sicuramente la bugia sbagliata.
QUESTA ONE SHOT PARTECIPANO AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: TERSICORE: danza
FANDOM: Persona 5
PERSONAGGI/COPPIE: Ryuji/Ann
PAROLE: 908


«Ti va di ballare?»
Ryuji ricordava perfettamente quando aveva pronunciato quelle parole, anni prima, tendendo la mano alla bambina che se ne stava in disparte, da sola in una parte della stanza.
Ann si era voltata verso di lui, facendo ondeggiare i capelli biondi che, sciolti, gli ricadevano sulle spalle.
La bambina si guardò intorno per un attimo, per poi posare nuovamente lo sguardo su di lui.
Era sorpresa. Molto sorpresa.
Aveva ragione in realtà.
Lui e Ann non avevano parlato poi così tanto, nonostante si trovassero nella stessa classe.
Lei se ne stava sempre in disparte e l'unica persona con cui aveva legato minimamente e con cui parlava era la sua amica Shiho.
Quindi, chiederle una cosa del genere da un momento ad un altro, poteva sicuramente essere visto come un gesto irrazionale.
Un qualcosa senza fondamento.
Il bambino ritirò la mano, sentendo l’imbarazzo di quella richiesta colpirlo tutto insieme.
«Non importa,– disse –fai finta non ti abbia chiesto nie-»
«Vuoi ballare con me?» lo interruppe lei, mentre con un dito titubante si indicava.
Quanto poteva essere bella la sua voce?
Il bambino avrebbe potuto restare ad ascoltarla per anni.
Ogni volta che Ann parlava, Ryuji pensava di essere finito dritto in paradiso e di stare parlando con quello che doveva essere il più meraviglioso degli angeli. 
«Sì.– rispose lui, le guance ancora più rosse –N-non ti va?»
Era ovvio che non le andasse.
Come poteva una come lei voler ballare con uno come lui?
Ma lei annuì, mentre le sue guance arrossivano leggermente.
Dio, il bambino era convinto che si sarebbe ricordato per anni di quella visione.
Tutto era perfetto in lei: dal suo dolce viso ai suoi occhi brillanti, dal piccolo diadema che portava sulla testa al suo vestito, che, inspiegabilmente, riusciva a renderla ancora più carina di quel che lei era.
Ryuji le tese nuovamente la mano e sentì la sua pelle andare letteralmente a fuoco quando lei l'afferrò.
Poi, senza esitare, la accompagnò fino al centro della sala.
Certo, la canzone che era stata messa in quel momento non era minimamente adatta ad un lento.
Anzi, il bambino era abbastanza sicuro che fosse una delle sigle di uno dei cartoni animati che andavano maggiormente in voga in quel periodo, anche se non riusciva a ricordare quale fosse in particolare.
Ma a lui tutto ciò non importava.
Dopo aver fatto un lungo sospiro, ll bambino prese coraggio, portando una mano intorno alla vita di lei e stringendo invece la mano di lei con quella con cui l’aveva afferrata.
Le guance di Ann avvamparono, ma la bambina non fece niente per allontanarlo.
Anzi, posò la sua mano libera sulla spalla di lui, mentre spostava lo sguardo altrove, il volto completamente in fiamme.
Ryuji poteva già sentire le risate degli altri bambini intorno a loro.
Era ovvio.
Chi della loro età avrebbe mai ballato a quel modo?
Sempre se di ballare si poteva parlare.
Nessuno di loro due sapeva farlo in fondo.
Dondolavano semplicemente, rischiando più volte di pestarsi anche i piedi a vicenda.
Dopotutto, a chi importava?
Avevano solo sette anni.
Erano ad una festa di compleanno.
E la musica era stata messa solo come sottofondo, senza lo scopo vero e proprio di seguirla per danzare.
Ma, nonostante questo lui le aveva chiesto di ballare con lui e lei aveva accettato.
E ora erano lì, a danzare, come se si trovassero in una dimensione parallela.
In un mondo che era solo il loro.
 
E, adesso, Ryuji non poteva che far altro che ripensare a quei ricordi, mentre osservava la ragazza ballare con le altre, in mezzo della pista da ballo.
Non sapeva neanche perché aveva accettato a fare quell'uscita.
Le discoteche non facevano per lui, per niente.
Ren lo aveva praticamente abbandonato, visto che non lo vedeva più da quando avevano messo piede lì dentro e Yusuke continuava a borbottare roba strana al suo fianco, mentre si guardava intorno e con velocità faceva strani schizzi sul suo block notes.
E quindi lui era come se fosse solo, completamente solo.
Aveva provato a intavolare una conversazione con il ragazzo accanto a lui, ma quello era troppo preso dal suo "estro creativo" e quindi, dopo aver cercato di interpretare gli strani disegni che stava facendo, Ryuji aveva presto rinunciato.
L'unica cosa che poteva fare era osservare le ragazze che, a ritmo di musica, continuavano a ballare poco lontano.
Sicuramente qualcuno avrebbe provato a rimorchiarle.
Anzi, doveva essere già successo, visto dei ragazzi che mai aveva visto prima erano lì con loro.
La situazione stava andando di male in peggio.
Ryuji sospirò, portando lo sguardo al bicchiere che aveva poggiato sul tavolo di fronte a lui.
Forse avrebbe dovuto finire il suo drink e andarsene, con una qualche scusa.
Sì, non era un'idea poi così malvagia.
Tanto non si sarebbe divertito minimamente a restare lì, no?
Cosa poteva esserci di divertente nel vedere Ann e le altre ballare con dei ragazzi che lui neanche conosceva?
«Ryuji.»
Il ragazzo si riscosse, quando sentì una voce chiamarlo.
Non aveva neanche bisogno di voltarsi per sapere di chi fosse.
Era una voce così chiara e cristallina che chiunque avrebbe potuto riconoscerla.
«Sì, Ann?»
Ann gli sorrise, tendendogli una mano e facendo ondeggiare le sue code bionde.
Ryuji spostò lo sguardo dal suo volto alla mano che lei aveva teso, confuso.
Cosa voleva?
Voleva provare il suo drink?
Poi, le labbra della ragazza si mossero, sciogliendogli ogni dubbio.
«Ti va di ballare?»
QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: Arcani maggiori (Ruota -> Naoto Shirogane)
Fandom: Persona 4
Personaggi/Coppia: Naoto/Kanji



13 Febbraio 2011,
ore 16:42
 
Non appena aprì la porta di casa, Naoto posò a terra le due pesanti borse della spesa, ripercorrendo nella sua testa la lista degli ingredienti che aveva comprato.
Non che non lo avesse già fatto.
Era almeno la terza volta che si ripeteva il nome di tutto ciò che aveva comprato, per stare attenta a non aver dimenticato niente.
Era agitata. Era terribilmente agitata.
Dopo aver ripetuto il nome dell’ultimo ingrediente necessario e aver appeso il cappotto al suo solito posto, la ragazza si spostò in cucina, portando con sé le due pesanti buste di plastica.
Ora veniva una delle parti più difficili: scegliere cosa cucinare per l'indomani.
Perché sì, nonostante fossero ormai settimane che Naoto pensava a quell'evento, non aveva ancora idea di cosa preparare.
La detective prese il piccolo quadernino nero che teneva nascosto in uno dei cassetti della sua credenza e in cui aveva appuntato tutto ciò che l'avrebbe potuta aiutare nell’impossibile missione che l'attendeva.
Fece scorrere il dito sui vari segnalibri che aveva inserito ai lati, cercando quello giusto.
Quando lo trovò, aprì il quadernino, iniziando immediatamente a leggerlo, anche se, in realtà, conosceva praticamente a memoria tutto ciò che vi era scritto.
 
1. a Kanji piacciono le cose dolci.
 
Quella non era stata assolutamente una sorpresa per Naoto.
Era una delle poche informazioni che aveva ottenuto molto facilmente, osservando il ragazzo in tutto il tempo che avevano passato insieme al resto del team.
Ogni volta che lui prendeva qualcosa da mangiare al Junes o alle macchinette della scuola, era sempre un qualcosa di estremamente dolce, anche troppo per i gusti della detective.
 
2. i gusti preferiti di Kanji sono il cocco e le fragole.
 
Anche quell'informazione l'aveva ottenuta nello stesso modo.
Naoto aveva osservato con particolare attenzione i nomi delle merendine che aveva visto in mano al ragazzo, le aveva comprate per assaggiarle e capirne il sapore e aveva pure svolto varie ricerche online (che si trovavano poco più avanti in quel quaderno).
E, come si poteva dedurre dall'istogramma che ne era venuto fuori, quei due erano i gusti preferiti del ragazzo, su questo non c'erano minimamente dubbi.
 
3. a Kanji piacciono le cose carine.
 
Questa era una cosa risaputa da tutto il team, ma le era stata utile per decidere anche gli stampi da scegliere per il cioccolato o per i biscotti che avrebbe voluto preparare, così come per la forma da dare al pacchetto regalo.
4. il cioccolato preferito di Kanji è quello bianco.
 
Per ottenere questa di informazione, la ragazza si era esposta a diversi rischi, arrivando a chiederglielo di persona.
Per essere sicura che comunque il ragazzo non sospettasse niente gliel'aveva domandato svariate settimane prima, inserendo la domanda in un discorso molto più generale, così che lui non potesse ricollegarlo a San Valentino.
5. il suo colore preferito è il blu (nota: usare questo colore per il pacchetto / per il nastro del sacchetto).
 
Infine, quella era stata l'informazione che Naoto aveva ritenuto la più strana di tutte.
Dalle premesse che gli altri punti le avevano dato, unite alle sue indagini, la ragazza era convinta quasi al cento per cento che il colore preferito del ragazzo fosse il rosa e non il blu.
Ma, da quanto aveva appreso qualche giorno prima, non era assolutamente così.
Anzi, Kanji aveva ammesso che il suo colore preferito da circa un anno era diventato quello.
Ci doveva essere anche dell’altro perché Rise, che era lì con loro, aveva sussurrato qualcosa che aveva fatto avvampare il ragazzo e che, sfortunatamente, la detective non era riuscita a captare.
Ma non importava. Quelle erano informazioni più che sufficienti.
Dopo aver dato un'ultima occhiata a quei diversi punti, la ragazza passò alle ricette, (ognuna allegata da una relativa immagine trovata su internet) osservando i diversi colori con cui le aveva contrassegnate e che stavano a indicare informazioni come: i tempi di preparazione e cottura, la possibilità che quella particolare ricetta potesse soddisfare appieno i gusti del ragazzo, quanto quel dolce fosse carino da vedere e, infine, la difficoltà della preparazione.
Sapeva bene che poco più avanti, esattamente alla pagina contrassegnata dal segnalibro di colore giallo, si trovavano anche diverse classifiche in cui aveva catalogato le ricette proprio in base a quelle informazioni, ma prima preferiva scorrere velocemente tutte quelle diverse varianti di dolci alla base di cioccolato bianco che aveva raccolto in quelle settimane di ricerche.
Naoto lanciò un'occhiata veloce all'orologio sulla parete, rabbrividendo quando notò che erano già passate le cinque e mezza del pomeriggio.
Doveva sbrigarsi a scegliere, o rischiava davvero di non farcela.
Dopo aver ripensato alla quantità di ingredienti comprati e aver dato un occhio alle classifiche, la ragazza optò per preparare sia i biscotti al cocco e cioccolato bianco che si trovavano al primo posto della classifica di gradimento, sia la mousse alle fragole e cioccolato bianco, così da essere sicura di utilizzare entrambi gli ingredienti preferiti del ragazzo.
Avrebbe anche provato a fare del cioccolato bianco fatto in casa così da poter anche confezionare dei cioccolatini.
Infine, così per essere sicuri di avere qualcosa che al ragazzo poteva sicuramente piacere, avrebbe anche sciolto il cioccolato e ci avrebbe intinto le fragole, condendole poi con il cocco; nulla di poi così complicato, ma poteva essere qualcosa di carino da mettere insieme al resto.
Decisasi, Naoto poggiò il quadernino aperto sul tavolo e iniziò a togliere gli ingredienti di cui aveva bisogno dalle buste della spesa.
Ce l'avrebbe fatta.
Sarebbe riuscita a preparare i migliori dolci di San Valentino che fossero mai stati creati e avrebbe finalmente avuto il coraggio di dichiarare i suoi sentimenti a Kanji.
L'operazione poteva avere inizio.
 
 
13 Febbraio 2011,
ore 19:57
 
«Yu-senpai, ho bisogno di aiuto.»
Naoto era seduta sul pavimento della sua cucina, la schiena poggiata contro il muro e il telefono cellulare all'orecchio sinistro.
«Naoto? Cosa è successo?»
La ragazza lanciò uno sguardo alle condizioni in cui la stanza si trovava in quel momento.
Il cioccolato che aveva tentato di preparare era rimasto terribilmente liquido, così tanto che quando aveva tentato di mettere gli stampi dei cioccolatini in frigo era fuoriuscito tutto non appena si era piegata un po’, sporcando completamente la camicia che stava indossando e bagnando il pavimento.
I biscotti che aveva cucinato, che dovevano essere morbidi e di un colore chiarissimo secondo la ricetta e la foto allegata, erano duri come il marmo e di un colore tutt’altro che invitante. Il cioccolato bianco al loro interno si era anche fuso ed era fuoriuscito, impregnando completamente la teglia che aveva utilizzato per cucinarli.
Quando aveva tentato di pulirla, la ragazza non aveva pensato al fatto che potesse essere ancora terribilmente calda e si era anche bruciata una mano, e, mentre stava applicando una pomata sulla bruciatura, la cioccolata si era raffreddata, attaccandosi completamente alla teglia.
Per non parlare poi della povera mousse.
Quella sì che aveva fatto una brutta fine.
Il sapore non era neanche male a dire la verità... almeno questo prima di aver aggiunto la colla di pesce. Doveva averne messa troppa perché era diventata così dura da non riuscire neanche a mandarla giù.
L’unica cosa che si era salvata del piano originale erano le fragole, ma solo perché ancora non le aveva neanche toccate.
«Ho bisogno di aiuto per domani, per favore, vieni.»
Yu non rispose immediatamente, anzi rimase in silenzio per un po’, mentre analizzava le parole della sua amica.
«Yu-senpai?»
«Di che stai parlando?» le chiese, confuso.
Anche se Naoto non aveva niente su cui riflettersi in quel momento, sapeva di avere le guance in fiamme.
«P-Per San Valentino.» sussurrò, portando immediatamente una mano alla sua testa per abbassare la visiera del suo cappello e fermandosi quando si rese conto che non lo stava indossando.
Silenzio.
«Naoto mi cogli alla sprovvista, non pensavo volessi dichiararti a qualcuno.»
«Yu-senpai ora non è il momento! Ho bisogno di aiuto!» esclamò lei, stringendo con più forza il cellulare nella mano sinistra.
«Chi è?»
«Senpai!»
Una risata arrivò dall’altro capo del telefono e Naoto sbuffò.
Certo, non era stata proprio una mossa intelligente quella di chiamare il leader del suo gruppo e pensare che lui non fosse minimamente interessato.
Ma era proprio per quello che aveva chiamato lui tra tutti.
In realtà, la prima persona che le era venuta in mente era stata Rise, ma, quando aveva pensato all’insistenza che la ragazza ci avrebbe messo, aveva deciso che forse era meglio chiamare qualcun altro.
Yukiko e Chie sarebbero state un’ottima alternativa… se solo non fossero ancora più negate di lei in cucina.
Yosuke era sicuramente al lavoro al Junes e Teddie non era proprio il tipo adatto per quelle cose.
L’unico che poteva essere abbastanza riservato e disponibile era Yu e, visto che era anche molto bravo con i fornelli, chiedere aiuto a lui non sarebbe stato poi male.
Le conveniva dirgli la verità.
Almeno così l’avrebbe fatto felice e, allo stesso tempo, sarebbe venuto ad aiutarla.
«È Kanji, vero?»
Prima ancora che Naoto potesse aprire bocca, il suo senpai pronunciò quelle parole, pietrificandola.
«C-come…?» sussurrò, rendendosi conto solo in quel momento quanto la sua voce fosse roca.
Yu ridacchiò nuovamente.
«Ho solo fatto due conti.– le rispose –Tranquilla non lo dirò agli altri. Ora ti do una mano. Aspetta solo quindici minuti, ok?»
Nonostante la ragazza provasse la voglia di sotterrarsi per essere stata scoperta così facilmente, fu grata di sentire che presto avrebbe avuto qualcuno che l’avrebbe aiutata a porre fine a quel disastro.
«Ti ringrazio Senpai.» gli disse, mentre un piccolo sorriso si formava sulle sue labbra.
«Di niente Naoto, sai che non è un problema per me aiutarti.–la salutò –A dopo.»
«A dopo.»
Dopo aver riattaccato, Naoto lasciò cadere il braccio, facendolo sbattere leggermente a terra, e tornò a guardare la cucina.
Era così in disordine da sembrare quasi che fosse passato un uragano.
Niente era più al proprio posto: pentolini, dosatori, piatti e teglie occupavano qualsiasi angolo libero della cucina; per non parlare della quantità di utensili sporchi di cioccolata che giacevano nel lavandino, sul tavolo o a terra, macchiando il pavimento.
Anche lei non era certo in buone condizioni.
La sua camicia era completamente macchiata di quello che sarebbe stato il cioccolato preparato in casa, così come lo erano i suoi pantaloni.
I suoi capelli erano leggermente appiccicaticci in alcuni punti, come se qualcosa fosse schizzato fino a lì, mentre il suo viso presentava macchie di cioccolata bianca in punti in cui la detective non avrebbe mai pensato di poterla fare arrivare.
La ragazza si alzò da terra, lasciando andare un lungo sospiro.
Non si immaginava certo che fosse così difficile preparare il regalo di San Valentino per qualcuno.
Beh, almeno ora, con Yu, sarebbe quasi sicuramente riuscita a fare qualcosa.
Aveva ancora molti ingredienti (per fortuna ne aveva comprati in abbondanza, prevenendo quest’eventualità), poteva far finta che niente fino ad allora fosse realmente successo.
Con quel pensiero in mente, Naoto iniziò a raccogliere i vari utensili sul pavimento, gettandoli poi nel lavandino.
Poteva approfittare del tempo che Yu ci avrebbe impiegato ad arrivare per rimettere a posto la confusione che aveva creato.
Così poi non avrebbero avuto problemi di nessun tipo durante la preparazione di tutti quei dolci.
Naoto sorrise debolmente, mentre il pensiero di quello che sarebbe successo l'indomani iniziava a farsi strada nella sua mente.
Chissà cosa sarebbe successo.
Kanji avrebbe accettato i suoi sentimenti?
Anche se la detective era abbastanza fiduciosa su questo fatto, non poteva comunque nascondere di stare provando una certa ansia.
E se lei avesse frainteso il suo comportamento?
Magari lui non si comportava con lei in quel modo perché gli piaceva ma solo perché lei lo metteva a disagio.
In quel caso come avrebbe dovuto comportarsi?
Cosa sarebbe successo se lui avesse voluto smettere anche di essere sua amica?
E se... avesse anche iniziato a ignorarla?
"Shirogane, calmati."
La ragazza fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi e cercando di tranquillizzare se stessa.
Doveva smettere di pensare in maniera così negativa.
Non era assolutamente da lei farsi prendere così tanto dalle emozioni, rinchiudendo in un angolino della sua mente la sua parte più razionale.
Non poteva sapere come sarebbe andata a finire senza prima averci provato.
Poteva darsi che lei piacesse a Kanji, così come che lui, in realtà, non provasse niente di speciale nei suoi confronti.
Oppure che non avesse mai pensato a lei in quel senso.
Dopotutto, anche lei non ci aveva mai pensato fino a qualche mese prima, quando lui l'aveva salvata dalla sua stessa Shadow.
Sì, perché era stato quello il momento in cui Naoto aveva iniziato a notare quel ragazzo, anche se ovviamente all'inizio non aveva minimamente capito cosa provasse per lui.
Solo dopo aver sentito Rise parlare per ore e ore del modo in cui si sentiva ogni volta che aveva Yu accanto, la detective aveva iniziato a capire cosa volessero dire i suoi sentimenti.
All'inizio non l'aveva presa per niente bene a dire la verità.
Anzi, era andata completamente nel panico.
Ma, con il tempo, aveva pensato che non fosse poi tanto male.
Kanji era un bravo ragazzo e lei era convinta che non avrebbe fatto mai niente per farla soffrire.
Quindi, qualunque fosse la piega che la situazione potesse prendere, Naoto era abbastanza determinata per portare quella missione fino in fondo.
La detective era così concentrata nei suoi pensieri che, per poco, non sentì neanche il campanello.
Quando quel suono acuto arrivò alle sue orecchie, la ragazza alzò lo sguardo, puntandolo contro l'orologio sulla parete della stanza e vedendo solo in quel momento che erano passati solo dieci minuti da quando aveva chiamato Yu.
Possibile che il ragazzo fosse già lì?
Era strano, la casa di Dojima si trovava particolarmente lontana.
Nonostante i suoi dubbi, Naoto si diresse verso la porta di casa.
«Yu, grazie per essere venuto.– iniziò a dire, aprendola –Non saprei come fare senza di t–»
Le parole le morirono in gola quando vide chi si trovava sull'uscio della sua porta.
Kanji era lì e la stava scrutando con uno sguardo confuso.
Naoto sentì le sue guance rischiare di andare a fuoco quando ricordò le condizioni in cui si trovava.
«K-Kanji-kun.» lo salutò, cercando di apparire il più naturale possibile, nonostante la sua voce fosse molto più tremolante e incerta del solito.
Il ragazzo alzò un sopracciglio.
«Il senpai m'ha chiamato e ha detto di veni’ da te, te devo aiuta' no??» le disse, mentre continuava a scrutarla.
...
"Come sarebbe a dire che il senpai ha chiamato lui?!"
La detective cercò di mostrare il suo solito sorriso, mentre sentiva l'intero mondo crollarle addosso e metterla in seria difficoltà.
Perché Yu le aveva fatto una cosa del genere?
«Capisco...– gli rispose, ingoiando a vuoto quando si rese conto di quanto la sua voce fosse diversa dal solito –Sto bene comunque, non c'era bisogno che venissi fin qui...»
«Non scherzare.– la interruppe lui, guardandola in modo confuso –Sul serio, te do ‘na mano volentieri, lo sai.»
"Lo so, ma non puoi aiutarmi a fare questo."
«Grazie davvero Kanji-kun.– tentò nuovamente lei, nascondendo malamente il proprio panico –Ma non c'è bisogno, sul ser-»
Tutte le sue parole diventarono un sibilo quando la mano di Kanji si posò sulla sua fronte, cogliendola alla sprovvista.
«Non è che c’hai la febbre? Sei strana.» le disse, prima che lei potesse ribattere.
«S-sto bene!» esclamò la ragazza, allontanandosi di scatto.
La situazione stava prendendo una piega che non le piaceva per niente.
Il ragazzo la guardò, leggermente interdetto.
«Quindi che dobbiamo fa’?» le domandò poi.
Naoto cercò di calmarsi.
Non aveva scelta.
Doveva dire tutto a Kanji e sperare che lui non capisse che i biscotti erano per lui.
Doveva comportarsi come sempre e approfittare del fatto di avere una persona brava come lui ai fornelli.
E, soprattutto, doveva assolutamente distruggere Yu una volta che il suo senpai fosse stato a portata di mano.
Con quei pensieri in testa, Naoto invitò il ragazzo a entrare.
 
 
13 Febbraio 2011,
ore 20:16
 
«Naoto.»
«S-Sì?»
«Ma, senti un po’, pe’ quanti volevi cucina’?»
Naoto voleva sotterrarsi.
La situazione (che già non andava poi così bene dal momento in cui il ragazzo era entrato nell’appartamento) aveva iniziato a degenerare da quando lui aveva messo piede nella cucina ed era rimasto completamente scioccato di fronte alla confusione che vi era là dentro.
Ma come si poteva dargli torto?
Quella vista avrebbe scioccato chiunque.
Chi avrebbe mai potuto immaginare che una ragazza sempre così precisa e terribilmente ordinata come lei potesse avere una cucina in quelle condizioni?
Per non parlare poi di quando lui aveva dato un occhio nelle buste della spesa, notando quanta roba avesse comprato.
Lì sì che il ragazzo era rimasto senza parole.
«Una sola...» sussurrò in risposta la detective, guardando altrove.
Yu gliel’avrebbe pagata.
Come cavolo gli era venuto in mente di pugnalarla alle spalle in quel modo?
Meno male che doveva aiutarla.
«Mazza quanto mangia questo...» commentò Kanji, sarcastico.
Naoto ridacchiò imbarazzata, cercando di nascondere il suo viso in fiamme.
Quando aveva deciso di cucinare tutta quella roba, lo aveva fatto solo perché le interessava renderlo felice, non certo perché pensasse che lui mangiasse troppo.
«È tardi, ci tocca fare una, massimo du’ cose» le fece notare il ragazzo.
Naoto annuì.
Nonostante le dispiacesse non poter cucinare tutto quello che avrebbe voluto, erano oramai le otto di sera passate.
Anche volendo non avrebbe avuto neanche il tempo di preparare il resto.
Beh, almeno con lui accanto, avrebbe potuto essere sicura di preparare qualcosa che a lui piacesse.
«Va bene.– rispose lei –Allora cosa facciamo?»
«Boh, quale te piace di più?»
Naoto non sapeva bene come rispondere a quella domanda.
Alla fine non erano mica per lei.
Anzi, lei non amava nemmeno le cose così dolci come la cioccolata bianca.
«I biscotti al cocco, direi.» commentò, ricordando quale di quelli fosse in cima alla classifica di possibile gradimento.
Kanji si lasciò sfuggire uno sguardo particolarmente sorpreso e la ragazza arrossì quando notò che la stava guardando in modo fisso.
«Cosa c'è...?» gli domandò, le guance rosse per ormai l’ennesima volta da quando lui era entrato in casa sua.
Il ragazzo si riscosse.
«N-no niente.– rispose –Stavo a pensa’ che è quello che me piace di più»
"Bingo."
Naoto non poteva che sentirsi più che felice di averci dato in pieno.
Non solo, adesso che sapeva che a Kanji quei biscotti sarebbero piaciuti, la ragazza aveva ancora più determinazione nel voler completare il prima possibile quel regalo.
«Allora vada per quelli.» commentò lei, sorridendo leggermente.
Il ragazzo non sorrise.
«Me sa che te conviene fa quello che piace a quello, no?» gli chiese poi, continuando a mostrarle un’espressione neutra in volto.
«Sono convinta che possano piacergli, non preoccuparti.» rispose lei.
Anche se non poteva certo dirgli il perché.
Kanji continuò a non sorriderle.
Anzi, le lanciò uno sguardo che la ragazza non aveva mai notato prima di allora. 
Prima che potesse chiedergli se qualcosa non andasse, però, lui cambiò espressione, tornando a quella di sempre.
Che stesse capendo la verità?
Beh, non c'erano problemi.
Di fondo, a Naoto bastava che lui li accettasse.
Non chiedeva nient'altro.
«Allora, dove sta ’sta ricetta?» gli chiese lui, riscuotendola dai suoi pensieri.
«Qui dent-»
Tutti i movimenti della ragazza si bloccarono quando si rese conto di quello che stava per fare.
Naoto spostò velocemente lo sguardo al quadernino che aveva appena afferrato tra le mani, maledicendosi interiormente per averlo fatto uscire allo scoperto in quel modo.
Non poteva permettere che lui lo leggesse.
Avrebbe preferito morire.
«Naoto?»
«C-cerchiamola su internet!» esclamò la detective, con una voce più acuta del normale.
Dannazione.
E pensare che solitamente era anche brava a fingere.
Perché quando c’era lui in mezzo le cose erano così difficili?
Kanji le riservò una delle sue occhiate interdette.
«Non stava là?» chiese, indicando il quadernino.
La ragazza scosse la testa con foga.
«H-ho sbagliato. Mi ricordavo male.» tentò di rimediare, grata del fatto che la sua voce stesse tornando ad essere normale come al solito.
Kanji non sembrava per niente convinto da quella risposta.
Naoto aveva ormai imparato a riconoscere ogni sua singola espressione, nonostante lui tentasse sempre di rimanere il più neutro possibile e non far capire agli altri cosa pensasse.
Nonostante questo, però, il ragazzo disse qualcosa di completamente diverso da quello che chiunque si sarebbe aspettato.
«Come te pare.»
Adorava quando faceva così.
Naoto  era a conoscenza del fatto che Kanji non fosse minimamente il tipo che si intrometteva nei fatti altrui.
E quella era una delle tante caratteristiche che l’avevano fatta innamorare di lui.
«...Ok, mo sei proprio strana. Perché sorridi così?»
La detective avvampò quando si rese conto di ciò che il ragazzo le aveva appena detto.
Doveva assolutamente ritrovare la sua compostezza.
Altrimenti quella serata sarebbe andata a finire sicuramente in tragedia.
Cosa che lei non voleva affatto.
«Sono solo felice che tu abbia accettato di aiutarmi Kanji-kun.– rispose, non dicendo la verità sul motivo della sua felicità, ma neanche mentendo del tutto –Avevo proprio bisogno di qualcuno che mi desse una mano, e tu sei il ragazzo perfetto per questo.»
Il volto del ragazzo arrossì leggermente e Naoto non poté far altro che trovarlo terribilmente carino.
«D-di niente.– disse, passandosi una mano dietro il collo, come faceva ogni volta che era imbarazzato –I-iniziamo?»
La ragazza annuì.
Si alzò dalla sedia e ripose il quadernino nel suo posto, all’interno del cassetto.
Poi afferrò il proprio computer portatile, posandolo sul tavolo e iniziando a cercare la ricetta che le interessava.
Anche Kanji si era alzato dal suo posto e aveva iniziato a recuperare gli ingredienti necessari dalle due borse della spesa e, anche se non lo stava guardando, era come se Naoto potesse vedere ogni suo singolo movimento.
Oramai era come se lo conoscesse così bene che, per lei, il ragazzo era diventato come un libro aperto.
Se chiudeva gli occhi e si faceva guidare unicamente dal suo udito, riusciva perfettamente a vedere la sua figura mentre esaminava gli oggetti che prendeva tra le mani e li poggiava delicatamente sul tavolo.
Alcune volte si fermava, come se stesse valutando se quel determinato ingrediente potesse servire o meno per ciò che volevano preparare.
Ed era in quei momenti che i dettagli nella mente della ragazza si facevano sempre più fitti e precisi.
Le sue sopracciglia che si corrugavano, mentre con lo sguardo esaminava ogni angolo dell'oggetto che aveva in mano; le labbra piegate in un sorriso neutro, che spesso gli aveva visto fare...
«Naoto hai trovato ‘sta ricetta?»
La detective sussultò, mentre la figura del ragazzo che stava immaginando poco prima veniva sostituita dallo schermo del suo PC.
«Solo un attimo.» rispose, iniziando a digitare velocemente ciò che le interessava.
Fortunatamente, non era una ricetta difficile da trovare.
Anzi, l'aveva cercata così tante volte in quelle ultime settimane che la ragazza sapeva perfettamente in che sito andare a guardare.
«Ok, trovata.– disse poi, aprendo la pagina corrispondente –Se vuoi ti leggo la lista degli ingredient-»
Le parole le morirono in gola quando Naoto si voltò, trovando Kanji esattamente dietro di lei.
Il ragazzo aveva poggiato una mano sul tavolo e si era sporto in avanti, per poter leggere dal piccolo schermo.
La detective si voltò nuovamente verso il suo computer, cercando con tutta se stessa di eliminare il rossore che le aveva completamente colorato le guance.
Era strano.
Non era certo la prima volta che loro due erano stati vicini.
Anzi, era successo più volte che lui l'avesse anche afferrata di peso mentre si trovavano dall'altra parte della TV, soprattutto durante le fughe.
Allora perché quella situazione la imbarazzava tanto?
«Cominciamo, su.»
Quando sentì il ragazzo allontanarsi, Naoto annuì.
Poi, sperando con tutta se stessa che il suo viso fosse tornato del suo solito colore, si alzò anche lei dalla sedia e si diresse verso di lui.
 
 
13 Febbraio 2011,
ore 21:01
 
«Kanji-kun, non c'era bisogno che preparassi anche la cena.»
«Me dovevi di’ che non avevi mangiato.»
Naoto osservò l’enorme piatto di riso che Kanji le aveva messo di fronte.
Non sapeva neanche lei come fossero finiti in quella situazione.
Pochi minuti prima, mentre preparavano i biscotti (o meglio, lui li preparava e lei lo osservava con molta attenzione e invidia), il suo stomaco aveva brontolato.
Era stato a quel punto che il ragazzo aveva iniziato a chiederle se avesse mangiato e, quindi, dopo aver messo momentaneamente da parte la preparazione del regalo per l'indomani, aveva iniziato a cucinarle qualcosa per la cena.
Si era anche lamentato una volta che aveva visto i pochissimi ingredienti di cui lei disponeva e l'aveva rimproverata di stare più attenta per mangiare abbastanza.
Naoto, dal canto suo, aveva provato a protestare, ma lui non era stato a sentirla e così ora la ragazza si ritrovava seduta al tavolo della cucina, con la cena di fronte a lei.
«Non era un problema, davvero. Io salto spesso i pasti.» disse lei, continuando a osservare la schiena di Kanji.
Il ragazzo si voltò verso di lei, trapassandola con lo sguardo.
«Sarebbe meglio di no. Te fa male.» le rispose.
La ragazza tentò di ribattere ma sapeva che lui non aveva minimamente torto.
Non vedendo alcuna via di uscita, Naoto afferrò le bacchette alla sua destra e, dopo aver ringraziato nuovamente il ragazzo, portò il primo boccone alle sue labbra.
E si bloccò.
Per quanto si fosse da sempre fidata delle capacità culinarie di Kanji, la detective non avrebbe mai pensato che il ragazzo sapesse cucinare così bene.
Erano anni che lei non mangiava un piatto così buono, nonostante quello fosse solo semplice riso.
«Com’è?»
La ragazza annuì, alzando lo sguardo e puntandolo nuovamente su di lui.
«È buonissimo; era tanto che non mangiavo qualcosa di così buono.»
Quelle parole le uscirono dalle labbra prima ancora che lei potesse fermarle.
Le guance di Kanji presero letteralmente fuoco e il ragazzo si voltò verso il tavolo da lavoro, dandole per l'ennesima volta le spalle.
«F-figurati, che sarà mai.» balbettò, riprendendo a preparare i biscotti.
Naoto non rispose, ma continuò a portarsi i vari bocconi di riso alle labbra, mentre un sorriso si formava sul suo volto.
Non pensava che potesse essere così facile abituarsi a qualcosa.
Fino ad allora la detective non aveva mai veramente pensato a mettersi con qualcuno.
Anzi, aveva passato la sua intera vita ad evitare quella eventualità, sradicando sul nascere qualsiasi sentimento che potesse distrarla dal suo lavoro.
Ma con Kanji era diverso.
Lei si era innamorata di lui ancora prima di potersene rendere veramente conto.
Era come se lui fosse riuscito a farle abbassare la guardia.
E ora non poteva far altro che sperare che il loro rapporto evolvesse ulteriormente.
Le sarebbe piaciuto che una serata come quella si ripetesse.
Le sarebbe piaciuto che il ragazzo cucinasse per lei più spesso, così come avrebbe adorato passare così tanto tempo con lui da soli, senza nessun altro che li disturbasse.
Non era male. Per niente.
Il ragazzo poggiò la teglia di biscotti sul tavolo, attirando nuovamente la sua attenzione.
«Te piacciono? Li metto in forno?» le domandò.
Naoto guardò i biscotti che le erano stati messi davanti, mentre un’espressione sorpresa le si dipingeva in volto.
«Naoto? Non te piacciono?»
«Come hai fatto a farli così? I miei erano tutti schiacciati e diversi tra di loro, non erano minimamente fatti così bene.» disse la ragazza, incredula.
Kanji alzò un sopracciglio, spaesato.
«Mica so’ fatti così bene.»
«Sono perfetti, Kanji-kun.– insistette lei, alzando lo sguardo e puntandolo dritto su di lui –Insegnami, voglio farli anche io così.»
Il ragazzo arrossì in modo evidente e distolse lo sguardo.
«Per favore, voglio imparare anch’io!»
«Quando te guarisce la mano.» disse lui, voltandosi e dirigendosi verso il forno.
Naoto non si aspettava minimamente quella risposta.
«La mia mano…?» chiese, posando lo sguardo sulla mano con cui stava tenendo le bacchette.
«Quella fasciata.– le fece notare lui, infornando i biscotti –Te sei fatta male, no?»
Fu in quel momento che Naoto capì perché Kanji non le aveva lasciato fare niente mentre preparavano i biscotti.
Si stava preoccupando per lei.
Aveva paura che lei si facesse ulteriormente male.
«Sto bene.– sussurrò la ragazza, le guance leggermente rosse –Mi sono solo bruciata.»
«Non me frega.– rispose lui, tornando al tavolo e sedendosi davanti a lei –Non te faccio fa’ male pe’ fa’ dei biscotti.»
Naoto rimase in silenzio, senza sapere cosa ribattere.
Le faceva piacere che Kanji si preoccupasse per lei; veramente tanto piacere.
«Mo finisci de mangia’.– continuò lui, vedendo che la ragazza si era fermata –Quando so’ fatti decoriamo i biscotti, ok?»
La detective annuì, tornando a mangiare dal piatto che aveva di fronte.
«Quanto devono stare i biscotti in forno?» domandò poi, notando l’ora tarda.
Kanji lanciò uno sguardo al pc, ancora aperto sul tavolo.
«Qua dice 25 minuti ma boh, dipende dal forno.»
“Solo 25 minuti...”
Anche se sapeva che era stupido, l’idea che il ragazzo potesse andarsene così presto la rattristava.
Avrebbe voluto stare più tempo con lui.
Sapeva che avrebbero dovuto anche decorarli e preparare il pacchetto, ma sicuramente non ci avrebbero messo più di dieci-quindici minuti a farlo.
«Naoto.»
La ragazza alzò lo sguardo.
«Sì?»
«Ma se famo qualcosa insieme?» le domandò Kanji, quasi sussurrando.
Quella domanda la colse completamente alla sprovvista.
Naoto sentì il suo cuore iniziare a batterle nel petto, quando si rese conto che il ragazzo le stava dando un’opportunità per stare ancora del tempo con lui, evitando che se ne andasse così presto come lei pensava.
«S-se non te va niente eh.– aggiunse lui, vedendo che lei non stava rispondendo –A-anzi, lascia perde’. È tardi e magari non te v-»
«Guardiamo un film, ti va?» lo interruppe lei, la voce che le fremeva.
Kanji rimase un attimo interdetto, la bocca ancora aperta per finire il discorso di poco prima.
«Allora?»
«Va bene.– rispose, mentre un piccolo sorriso si formava sul suo volto –Che film?»
Naoto alzò le spalle.
«Quello che vuoi.»
 
 
13 Febbraio 2011,
ore 21:34
 
Quando aveva detto “quello che vuoi”, Naoto non aveva certo pensato che si sarebbero ritrovati a vedere un film del genere.
La ragazza si trovava a sedere sul divano, le braccia incrociate al petto e lo sguardo puntato sulla televisione di fronte a lei.
Quella scelta le pareva così assurda.
Cosa poteva esserci di interessante nel vedere dei robot combattere tra di loro?
Eppure…
«Lo sapevo che quello vinceva!» esclamò Kanji, indicando lo schermo.
...qualcuno sembrava fin troppo entusiasta.
La detective ridacchiò, sedendosi più comodamente sul divano.
Non avrebbe mai pensato di vedere una cosa del genere.
Quel film era stato uno dei regali del suo decimo compleanno; regalo non molto apprezzato, visto che, in realtà, quel DVD era rimasto sigillato fino a quel momento, riposto nella libreria insieme agli altri film che mai nella vita avrebbe pensato di vedere.
Ma, stranamente, non le stava dispiacendo così tanto come aveva sempre creduto.
Anzi, si stava quasi divertendo a osservare il viso di Kanji così concentrato su una “storia” tanto prevedibile.
«Non pensavo ti piacesse questo tipo di film» gli fece notare lei, sorridendo leggermente.
Il ragazzo arrossì, sistemandosi meglio sul divano.
«Beh, l-li trovo interessanti...» le rispose, balbettando.
Naoto ridacchiò.
Era così carino quando faceva così.
La ragazza lanciò uno sguardo all’orologio.
Mancavano ancora dieci minuti per i biscotti.
Poteva rilassarsi un po’.
Si lasciò andare contro lo schienale del divano, continuando a guardare il film alla TV.
Era davvero orribile.
La trama era praticamente inesistente e l’unica cosa che c’era erano scene di azione che avvenivano completamente a caso.
Ma, forse, per una volta poteva vedere un film del genere.
Poi, all’improvviso, per la prima volta dall’inizio della giornata, la stanchezza che aveva accumulato fino a quel momento la colpì in pieno.
Naoto poteva sentire i suoi occhi chiudersi quasi da soli, mentre i rumori intorno a lei si facevano più attutiti.
«Hai sonno, Naoto?»
La ragazza non era neanche sicura che Kanji le avesse posto quella domanda.
Annuì leggermente, mentre sentiva il ragazzo avvicinarsi a lei e metterle un braccio intorno alle spalle.
«Ce penso io ai biscotti.– le disse, lasciando che lei si accomodasse contro di lui –Tu dormi.»
Prima ancora che lui potesse aggiungere altro, Naoto aveva già chiuso gli occhi e il suo respiro era diventato regolare.
 
 
13 Febbraio 2011,
ore 23:41
 
Quando Naoto aprì gli occhi, ci mise un attimo a ricordare cosa fosse successo.
La TV di fronte a lei era accesa e mostrava una schermata neutra, come faceva ogni volta che si era concluso un DVD.
Fu solo in quel momento che la ragazza si rese conto di dove si trovasse.
Si voltò leggermente alla sua sinistra e le sue guance avvamparono quando si rese conto di essere completamente sdraiata su Kanji che, poggiato contro lo schienale del divano, stava dormendo.
La ragazza tentò di spostarsi ma il braccio di lui, che si trovava intorno alle sue spalle, era come se la tenesse ancorata contro il suo fianco.
Naoto nascose il viso, imbarazzata.
Quando era successa una cosa del genere?
Come aveva potuto abbassare così tanto la guardia da trovarsi in quella situazione?
Non era da lei; non era assolutamente da lei.
Ma, ovviamente, questo non la faceva stare poi così male.
Dopotutto, era quello che voleva, no?
Forse poteva anche approfittarne.
Lui stava dormendo.
Non avrebbe mai saputo che lei era sveglia da un po’ e non si era spostata.
Sì, quella poteva essere la scelta migliore.
Un insistente bip le arrivò alle orecchie e Naoto alzò la testa, cercando di capire da dove provenisse.
Non aveva mai sentito un rumore simile in vita sua.
Sembrava l’allarme anti-incendi-
Solo in quel momento la ragazza avvertì il fortissimo odore di bruciato che riempiva la stanza.
Si allontanò di scatto da Kanji che, per l’urto, si svegliò.
«Naoto…? Che c’è?»
«I biscotti!» esclamò lei, correndo verso la cucina, mentre il bip si faceva sempre più forte e insistente. 
La ragazza aprì il forno, portandosi la mano sinistra alla bocca quando il fumo nero uscì da esso. 
«Cavolo Naoto, mi so’ appisolato pur’io.» disse Kanji, dispiaciuto.
Naoto afferrò la teglia, facendola uscire dal forno.
I biscotti erano completamente carbonizzati.
«Scusami...» continuò il ragazzo.
«Non ti preoccupare.– rispose lei, gettando quelli che erano praticamente diventati pezzi di carbone nella spazzatura –Non è stata colpa tua. Anche io stavo dormendo, non importa.»
Le dispiaceva.
Era ovvio che le dispiaceva.
Ma potevano sempre ricominciare, no?
«Dovrei avere ancora degli ingredienti. Non saranno abbastanza per farne così tanti ma dovrebbero bastare per riprovare.» disse poi, mettendo la teglia nel lavandino.
Kanji non rispose.
Anzi, rimase in silenzio, mentre lei tornava a guardare nelle buste della spesa.
Avevano tutto più o meno.
Mancava solo una barretta di cioccolata bianca.
«Io vado a prendere la cioccolata. C’è un konbini qui vicino.– la ragazza si diresse verso la porta della cucina, per prendere il suo cappotto –Torno subito, così poi iniziamo. Magari questa volta puoi anche insegnarm-»
«Naoto ma se lasciamo perde’?»
Quando Kanji pronunciò quelle parole, Naoto si fermò.
«Kanji-kun…?»
La detective si voltò verso di lui.
Cosa voleva dire?
Perché dovevano lasciare perdere?
«È tardi.– le fece notare lui, non guardandola –Manco se sa se facciamo in tempo.»
Giusto.
Lui doveva andare a dormire.
Non poteva chiedergli di rimanere ancora per tutto quel tempo.
«Kanji-kun, ti porgo le mie scuse.– gli rispose Naoto, leggermente imbarazzata –Non pensavo al fatto che anche tu domani dovessi svegliarti per andare a scuola. Vai pure a casa, provo a fare da sola. Ti ho osservato prima, quindi penso di riuscire a fare qualcosa di decen-»
«Non è che me fa schifo rimane’, Naoto.» Kanji la interruppe nuovamente.
Ora sì che la ragazza era confusa.
«E allora qual è…?» domandò, non riuscendo a capire.
Perché non voleva più aiutarla?
Il ragazzo sospirò.
«Da quando me l'hai detto te volevo chiede se sei proprio sicura de volello fa? E se te dice di no?»
Il tono con cui pronunciò quelle parole lasciò interdetta Naoto.
Perché adesso le faceva quella domanda?
«Sì, ne sono sicura.» rispose, cercando di non tentennare.
«Io non lo farei, sul serio.»
Non capiva.
Naoto non riusciva a comprendere perché lui continuasse a insistere.
Che avesse capito tutto?
Che le stesse dicendo chiaramente che a lui lei non interessava?
«È troppo rischioso, Naoto.– continuò lui –Sicura de vole' esse' rifiutata domani? Magari in mezzo alla gente?»
Aveva ragione.
Kanji aveva ragione.
Ma il ragazzo non poteva sapere quanto le stessero facendo male quelle parole in quel momento.
«Su, puliamo e poi andiamo a let-»
«Quindi non dovrei neanche provarci?»
Quelle parole le uscirono dalle labbra senza che neanche se ne rendesse conto.
Naoto poteva sentire il suo intero corpo tremare.
«Naoto, è inutile, c'abbiamo già provato, è inutile che sprechi soldi e famo nottata e manco se sa che te dice quello. Non te voglio fa rimane' male.»
La ragazza odiava quello che lui le stava dicendo.
«Quindi stai dando per scontato che lui mi rifiuti?»
Kanji deglutì.
«Non te stavo a di’ questo.»
«Invece a me pare proprio di sì.»
La detective alzò lo sguardo, puntandolo dritto su Kanji.
Anche se solo per un momento, intravide un’espressione dolorante sul suo volto.
Ma cambiò immediatamente quando vide il viso di lei.
«I-Io non capisco.»
Naoto odiava il modo in cui la sua voce stava esitando.
Odiava il modo in cui il suo corpo stava tremando.
Odiava anche il modo in cui i suoi occhi stavano minacciando di riempirsi di lacrime che lei continuava a ricacciare indietro.
Non era da lei perdere il controllo in quel modo, ma quelle emozioni tutte insieme la stavano mettendo davvero a dura prova.
Le sembrava di essere stata su una montagna russa per tutta la giornata.
Quella mattina si era svegliata con una felicità enorme, pronta ad andare contro chiunque le si mettesse sul suo cammino; poi c’era stato il fatto che tutto era andato sempre peggio, costringendola di chiedere una mano; dopo di che si era sentita sollevata, nel momento in cui Yu aveva accettato di aiutarla e Kanji si era presentato alla sua porta, stando con lei tutto il giorno…
E ora si sentiva nuovamente in discesa.
Faceva male.
Terribilmente male.
«Naoto…»
Solo quando Kanji pronunciò il suo nome, la ragazza si rese conto che lui si era avvicinato e la stava osservando con un’espressione dispiaciuta in volto.
La ragazza fece un passo indietro.
Perché la guardava in quel modo?
Perché lui davvero non la ricambiava?
«Scusa, me spiace. Non me stai a capi’.»
«Non importa.– rispose lei, distogliendo nuovamente lo sguardo –Sapevo di non avere alcuna chance fin dall’inizio. Ho agito in maniera stupida. Finiamola qui.»
Non doveva piangere.
Si era ripromessa che, se anche non fosse stata ricambiata, l’avrebbe presa con filosofia.
Eppure faceva così dannatamente male.
«Naoto, stamme a senti’.»
«Kanji-kun, non importa, sul serio.– la sua voce si stava incrinando –Oramai è tardi, i biscotti si sono bruciati e non avremmo neanche il tempo per farli da capo.»
Tutto il lavoro di quelle settimane era stato vano.
Lei lo sapeva fin dall’inizio.
Non era portata per cose del genere.
E il ragazzo non l’avrebbe ricambiata.
«Io vado a dormire.– disse, voltandosi –Tu torna pure a casa, metto a posto io domani.»
«Naoto...» Kanji tentò nuovamente di dirle qualcosa, ma lei lo bloccò.
«Buona notte.»
Poi, con passo svelto, si diresse in camera sua, ignorando il ragazzo che continuava a chiamarla alle sue spalle.
Chiuse la porta a chiave e si buttò sul letto, mentre la prima lacrima che non era riuscita a trattenere usciva dai suoi occhi.
Quanto poteva essere patetica in quel momento.
Lei, Naoto Shirogane, che stava piangendo come una bambina, stringendo con forza il cuscino tra le sue braccia.
Kanji doveva essersene andato, perché la ragazza non riusciva più a sentire alcun rumore provenire dalla sua cucina.
Oppure era ancora lì e il rumore di qualsiasi cosa il ragazzo stesse facendo era coperto dai singhiozzi che avevano iniziato a scuoterle le spalle.
Odiava quando le accadeva.
Erano poche le volte in cui si lasciava completamente andare in quel modo, non riuscendo più a trattenere dentro di sé tutte le lacrime che in realtà voleva versare.
Sapeva che il suo comportamento era sbagliato.
Kanji era venuto lì per lei, per aiutarla in un'impresa che lui sapeva essere vana.
A lui lei non piaceva.
Cosa avrebbe dovuto fare il ragazzo? Rifiutarla il giorno dopo, quando lei gli avrebbe consegnato dei biscotti che lui non voleva?
Ovvio che lui aveva solo tentato di farle capire che non voleva ferirla e non voleva darle false speranze.
Ma questo non impediva il fatto che facesse veramente male.
La detective si rannicchiò maggiormente contro il proprio cuscino e lanciò uno sguardo veloce all'orologio sulla parete.
Era tardi, dannatamente tardi.
Doveva dormire, o non si sarebbe mai svegliata in tempo per andare a scuola.
Già, doveva solo dormire.
Dormire poteva sembrare la risposta a tutto in quella situazione.
Se avesse chiuso gli occhi e si fosse lasciata andare alle braccia di Morfeo, molto probabilmente avrebbe smesso di piangere.
L'indomani era un altro giorno.
Avrebbe chiesto scusa a Kanji per come si era comportata prima di andare in camera sua e tutto sarebbe tornato esattamente come prima.
Niente biscotti.
Niente dichiarazione.
Niente delusione d'amore.
Poteva sembrare un ottimo compromesso.
Lei non sarebbe stata costretta ad allontanarsi completamente da lui, come forse sarebbe successo se lui l'avesse rifiutata.
Sarebbero potuti rimanere amici come prima.
Dopotutto, a cosa stava pensando?
Lei era Naoto Shirogane, la detective che fino a pochi mesi prima si fingeva un ragazzo.
Non era femminile, non aveva alcun atteggiamento sensuale e non aveva alcuna esperienza in campo amoroso.
Era più che logico da quel punto di vista che Kanji la rifiutasse.
Il telefono sul suo cuscino vibrò e Naoto allungò una mano, afferrandolo.
Anche se le sembrava assurdo, lei sperava davvero che a scriverle fosse stato il ragazzo.
Per questo, non poté nascondere la piccola punta di delusione che provò quando vide che ad averle mandato il messaggio era stato Yu.
"Hey Naoto, come è andata?"
Aveva anche il coraggio di chiederlo?
Lui sapeva tutto di tutti i ragazzi del team.
Le aveva promesso di aiutarla.
E allora perché le aveva mandato Kanji a casa, pur sapendo che non era ricambiata?
"NN E’ ANDATA."
Dopo pochi secondi, la risposta di Yu arrivò ma Naoto non aveva né la forza né la voglia di continuare la conversazione al momento.
Spense il telefono, rannicchiandosi nuovamente sul letto.
E, mentre le lacrime, che ancora non era riuscita a far smettere di scorrere, le rigavano il volto, la ragazza chiuse gli occhi, sperando di riuscire, prima o poi, ad addormentarsi.
 
 
14 Febbraio 2011,
ore 07:13
 
Naoto sapeva che era mattina e che avrebbe dovuto alzarsi dal letto oramai da venti minuti.
Ma non ci riusciva.
Quella notte aveva dormito si e no due o tre ore, svegliandosi a intervalli regolari.
Sapeva che era sbagliato per lei restare in quel letto, soprattutto se voleva far finta che tutto andasse bene.
Eppure, allo stesso tempo, non le importava poi più di tanto.
Era inutile andare a scuola e pretendere che niente fosse accaduto se i suoi occhi erano gonfi e rossi a quel modo.
E non c'era certo il bisogno di guardarsi allo specchio per capirlo.
Naoto poteva sentire fin troppo bene il dolore che le sue palpebre le stavano lanciando.
Si sarebbe data per malata e sarebbe stata a casa; per una volta non sarebbe successo niente.
Non voleva farsi vedere da nessuno così.
E, soprattutto, non voleva farsi vedere da Kanji.
Qualcuno bussò alla porta della sua camera e la detective si mise a sedere di scatto, spaventata.
Chi c'era in casa sua?
Che qualcuno fosse entrato la notte prima, quando il ragazzo se ne era andato??
«Naoto, svegliate!»
Tutta la paura che aveva provato fino a quel momento si trasformò in completa sorpresa nel momento in cui riconobbe la voce del ragazzo al di là della porta di legno.
«Naoto! Te sei rimessa a dormi’?»
«Kanji...?» sussurrò lei, interdetta.
Cosa ci faceva lui ancora lì?
Perché non era tornato a casa sua?
«Naoto, te voi alza?» 
Solo quando il ragazzo pronunciò quelle parole, la detective si rese conto che lui aveva aperto la porta e stava entrando nella stanza.
Naoto si rigirò nel letto, il viso completamente in fiamme.
No; no no.
Non poteva permettergli di vederla in quelle condizioni.
«Ma se po' sape’ che stai a fa’?-»
«Va via...» sussurrò lei, rannicchiandosi ulteriormente.
Sapeva che quello non era assolutamente il modo giusto di affrontare la situazione e che, anzi, avrebbe probabilmente solo peggiorato le cose.
Ma cosa poteva farci?
Kanji stava rendendo tutto ancora più difficile di quanto fosse.
Come poteva lei volerlo affrontare in quel momento?!
«Ma che stai a di’? Devi anna a scuola!» esclamò lui e, dalla vicinanza della sua voce, la ragazza capì che si doveva trovare accanto al letto.
«Non voglio andare a scuola, sto a casa oggi.»
Quella conversazione aveva sul serio un che di surreale.
Chi mai avrebbe pensato che i loro ruoli si potessero invertire in quel modo?
«Naoto, vedi de alzatte.»
«Kanji, ti ho detto di andare via! Non voglio parlare con te!»
Quando la detective urlò quelle parole, un fortissimo senso di colpa si fece strada dentro di lei.
Non solo quella era la prima volta che lo chiamava senza usare alcun onorifico, ma lo stava anche trattando male.
Oramai, la situazione poteva solo peggiorare.
Si aspettata che Kanji si voltasse e, dopo averle detto qualcosa di cui lei non voleva neanche avere un'idea, se ne andasse, lasciandola da sola.
Si aspettata che il loro rapporto si incrinasse completamente.
Si aspettata che lui iniziasse a ignorarla e non le rivolgesse più la parola...
Ma sicuramente non si aspettava quello che successe subito dopo.
Naoto sentì la coperta che la copriva da capo a piedi venire completamente sollevata e buttata a terra.
Prima che potesse protestare, la ragazza si ritrovò sollevata dal letto e posizionata a sacco sulla spalla destra di lui.
«Kanji-kun!» esclamò, sentendo le sue guance andare completamente a fuoco.
«Smettila de movete, tanto non te metto giù.– gli disse lui, camminando verso la cucina –Mo mangia qualcosa, preparate e poi vai a scuola.»
Naoto non riusciva davvero a capire perché lui si stesse comportando a quel modo.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era a come nascondere il suo viso agli occhi del ragazzo una volta che lui l'avrebbe messa a terra.
E questo avvenne prima del previsto, visto che, senza neanche rendersene conto di come, la detective si ritrovò a sedere su una sedia della sua cucina, davanti ad una tazza.
Guardò il contenuto e notò che al suo interno si trovava della cioccolata bianca calda.
«Mangia, prima che si fredda.» le disse Kanji, mettendole davanti dei biscotti.
Naoto li guardò con attenzione.
Ora si che era davvero troppo confusa per capire cosa stesse succedendo.
Quelli erano gli stessi biscotti che avevano tentato di preparare la sera prima e che erano però andati miseramente a fuoco.
La ragazza ne prese uno tra le mani, osservandolo con attenzione.
Non c'erano dubbi.
Era esattamente come la foto sul sito mostrava, se non fatto ancora meglio.
Il biscotto era morbido, soffice e della forma, dimensione e colore giusti.
Lei non sarebbe mai riuscita a farli così neanche se ci avesse provato per anni.
Curiosa, se lo portò alle labbra, rimanendo completamente stupefatta.
Nonostante lei non amasse minimamente quei due gusti, quel biscotto era così buono da lasciarla completamente senza fiato.
Era come se lo era immaginato. 
Se non ancora più buono.
«C’ho messo troppo cocco? Nella ricetta dice di metterlo a piacere.» solo in quel momento Naoto si rese conto che Kanji si era seduto davanti a lei e la stava osservando.
La ragazza scosse la testa, continuando a mangiare.
«È buonissimo.» sussurrò, senza alzare lo sguardo.
Era confusa.
Tanto confusa.
«Ok.– rispose lui e, anche se non lo stava guardando, la ragazza sapeva che sulle sue labbra si era formato un sorriso –C’hai del trucco?»
Naoto alzò lo sguardo, non capendo di cosa il ragazzo stesse parlando.
«Del trucco?»
«Sì, così te levo ste occhiaie e gli occhi rossi.»
Oh, giusto; se ne era dimenticata.
Anche se la situazione stava diventando sempre più strana.
«Non capisco...»
«Che ce sta da capi’?.– rispose Kanji –Te devi dichiara’, no? Non penso te voi fa’ vede’ così.»
La ragazza alzò un sopracciglio, interdetta.
«Dichiararmi?»
«Pare de sì.– ora anche lui sembrava confuso –Non è per questo che abbiamo fatto i biscotti?»
Sì, certo.
Ma da quel che aveva capito, lei era stata anche rifiutata.
Prima che lei potesse aprire bocca però, il ragazzo le passò un pacchetto blu e un sacchetto trasparente con cinque biscotti all'interno, chiuso da un nastro dello stesso colore del pacchetto.
«Tiè, qua ce stanno i biscotti,– continuò lui, non lasciandola parlare –e siccome m’era avanzata della cioccolata ho fatto dei cioccolatini alle fragole, so’ nel pacco.»
Che cosa stava succedendo?
«Kanji-kun, quando hai preparato queste cose?»
Il ragazzo arrossì leggermente e distolse lo sguardo, puntandolo sul pavimento.
«Kanji-kun...?»
«Allora, dammi un attimo retta, ieri so’ stato proprio stronzo.– disse lui, continuando a non guardarla –Non te volevo fa’ piange’. Non dovevo di’ quelle cose. E quindi ho fatto i biscotti dopo che sei andata a dormi’-»
«Non capisco il perché, Kanji-kun.»
Quelle parole uscirono dalle labbra di Naoto prima che lei potesse fermarle.
Kanji alzò lo sguardo, confuso.
In quel momento la ragazza riuscì a vedere le occhiaie che si trovavano sotto gli occhi di lui.
«Perché? Cosa?»
«Perché tu abbia passato la notte a cucinare questi biscotti quando oramai era appurato che io non mi sarei più dichiarata.– rispose lei –Non capisco. Mi sembrava più che ovvio che io non piacessi alla persona a cui mi voglio dichiarare.»
Il silenzio che seguì quelle parole fu il silenzio più stressante della sua intera vita.
Naoto non poteva far altro che osservare il ragazzo di fronte a lei, speranzosa e terrorizzata allo stesso tempo.
Poi, lui parlò.
«Se non gle piaci è un coglione.»
E quella risposta le confuse ancora di più le idee.
«Kanji-kun?»
«Ma su Naoto, sei intelligente, simpatica, bellissima, brava in tutto quello che fai; non è possibile che non piaci a qualcuno?»
Le guance della ragazza presero letteralmente fuoco e lei distolse lo sguardo, puntandolo altrove.
La situazione si stava facendo sempre più assurda.
Perché le stava dicendo quelle cose, adesso?
Dopotutto, era stato lui a rifiutarla la sera prima-
Un piccolo campanellino le risuonò nella testa, e tutto iniziò ad avere senso.
«Quindi non pensi che mi possa rifiutare?»
«Se te dice de no, lo piglio a pugni.»
...Possibile che lui non avesse capito?
Naoto si sentì una completa idiota.
Kanji non aveva capito che i biscotti erano per lui.
Certo, questo non voleva dire che lui avrebbe accettato i suoi sentimenti.
Ma, allo stesso tempo, la ragazza si sentiva meglio, enormemente meglio.
Non era stata rifiutata.
Poteva ancora fare la sua mossa.
Poteva ancora avere una possibilità.
«Mo mangia, cambiate e fatte trucca.– riprese a parlare Kanji, il volto leggermente rosso per quello che le aveva detto poco prima –Magari fai in tempo.»
Naoto sorrise.
Non doveva fare niente di tutto quello.
Lei era già in tempo.
«Tieni.» disse, spingendo verso di lui il pacchetto e il sacchetto che aveva davanti a lei.
Kanji guardò i due oggetti, alzando un sopracciglio.
Poi li spinse nuovamente verso di lei.
«Naoto non gli posso posso da’ i biscotti io.»
Ok, ora la situazione stava prendendo una piega alquanto patetica.
«Non era quello che intendevo, Kanji-kun.» disse lei, tendendogli nuovamente i due regali.
Il ragazzo la guardò, uno sguardo chiaramente confuso che si era dipinto sul suo volto.
Poi, i suoi occhi si spalancarono.
La detective sorrise.
Doveva aver capit-
«Me piacciono i biscotti, ma poi a quello che gli dai?»
...
Possibile che si fosse davvero innamorata di un tipo del genere?
«Kanji.– Naoto non si rese neanche conto di aver omesso, per la seconda volta quella da quando si era svegliata, l'onorifico –Sono per te. Li volevo fare per te.»
Il volto che Kanji gli riservò in quel momento fu una delle cose più carine che la detective avesse mai visto in tutta la sua vita.
Il ragazzo aveva le guance completamente rosse e il suo corpo aveva iniziato a tremare per l'imbarazzo.
Solo in quel momento la detective si rese conto di come anche lei stesse tremando.
«Allora...?– gli domandò, vedendo che lui continuava a spostare lo sguardo dai due oggetti sul tavolo a lei, senza dire una parola –Hai intenzione di prenderti a pugni?»
Kanji aprì la bocca, per dire qualcosa, ma niente uscì dalle sue labbra.
Era completamente andato in tilt.
Prima che Naoto potesse aggiungere altro, però, lui si sporse in avanti poggiando le sue labbra su quelle di lei.
E, mentre anche lei si alzava e portava le braccia intorno al suo collo, la ragazza pensò che il cioccolato bianco, di cui le labbra di Kanji sapevano fin troppo, non era poi così male come aveva sempre pensato.
QUESTA COSA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: In fuga
Fandom: Mystic Messenger
Personaggi: Saeran
Numero parole: 580



Saeran sapeva che quella non era assolutamente una buona idea.
 
Correndo tra i cespugli del bosco della montagna in cui si trovava, il bambino non poteva far altro che cercare di arrivare il più lontano possibile, mentre ordinava alle sue gambe di non fermarsi, qualsiasi cosa potesse succedere.
 
Non era la prima volta che ci provava.
 
Oramai conosceva quella parte del bosco a memoria, tante erano state le fughe che aveva tentato.
 
Sapeva perfettamente cosa lo aspettasse in dopo ogni albero, oltre ogni rovo di spine e dietro a qualsiasi masso.
 
Sapeva esattamente quali erano i posti per nascondersi e quali strade prendere per guadagnare terreno sui suoi inseguitori.
 
Ma quello non era un vantaggio.
 
Lo sarebbe stato, certo.
 
Il problema era che anche gli uomini che lo stavano seguendo erano a conosceva della morfologia di quel terreno e, addirittura, sapevano più segreti di lui.
 
Saeran era a conoscenza del fatto che, se solo avessero voluto, avrebbero già potuto raggiungerlo e circondarlo, riportandolo immediatamente in quell'edificio nascosto tra le montagne da cui stava tentando di scappare.
 
Eppure non lo stavano facendo.
 
Non lo facevano mai.
 
Anche se il bambino cercava di ascoltare con più attenzione quello che stava accadendo intorno a lui, nessun rumore sospetto raggiungeva mai le sue orecchie.
 
Nessun frusciò di foglie, niente passi che lo stavano seguendo, niente di niente.
 
Certo, poteva sembrare strano.
 
Non era normale che degli uomini grandi e grossi si lasciassero sfuggire con così facilità un semplice bambino come lui.
 
Chiunque avrebbe pensato che ci fosse un errore, che in realtà la loro difesa non fosse poi così sviluppata come poteva sembrare e che in realtà era davvero possibile fuggire da quell'oscuro e soffocante bosco.
 
Ma Saeran non era così stupido.
 
Aveva imparato sulla sua pelle cosa facevano a chi disubbidiva agli ordini.
 
E lui sapeva che loro sapevano che lui era a conoscenza di ciò.
 
E per questo adesso si trovava lì, al limitare del bosco, la strada che conduceva alla città più vicina a pochi metri da lui.
 
Ma, nonostante la salvezza fosse così vicina da poterne quasi sentire il sapore, Saeran non si mosse.
 
Ricordava bene gli ordini.
 
Gli era stato vietato di uscire dal bosco, qualsiasi cosa accadesse.
 
Mettere un solo piede su quella strada di asfalto avrebbe decretato davvero la partenza degli uomini della sua Salvatrice che non ci avrebbero messo nulla a raggiungerlo e a riportarlo all'edificio che era stato la sua casa e la sua prigione fino a quel momento.
 
E questo fatto lo spaventava, lo terrorizzava così tanto da gelargli completamente il sangue.
 
Non era pronto.
 
Non era pronto a subire nuovamente quel trattamento così doloroso che la sua Salvatrice continuava ad attuare su tutti coloro che perdevano la "retta via".
 
Non era assolutamente pronto a soffrire.
 
...e quindi non era neanche pronto a scappare, così come non lo era mai stato tutte le volte precedenti in cui ci aveva provato.
 
Saeran lanciò un ultimo sguardo all'asfalto davanti a sé, mentre il sorriso che si era formato poco prima sul suo volto scompariva completamente.
 
Gli sembrava quasi di vederla quella libertà che tanto desiderava e che comunque non riusciva a raggiungere.
 
Gli sembrava quasi di poterla toccare, se solo avesse allungato una mano.
 
E desiderava farlo, certo che desiderava farlo.
 
Ma non lo fece.
 
E, dopo aver lanciato un ultimo sguardo malinconico a quella strada, Saeran si voltò, tornando a fronteggiare il bosco da cui poco prima stava fuggendo e cominciando, lentamente, a tornare indietro.
QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: In fuga (M1)
Fandom: Persona 4 (ambientato in Persona Q)
Personaggi/Coppie: Naoto/Kanji
Numero parole: 1248


Naoto non si era mai sentita così tanto stupida come in quel momento.
Completamente da sola, la detective stava correndo a tutta velocità lungo quei corridoi bui e inquietanti del nuovo labirinto che avevano iniziato ad esplorare poche ore prima, inseguita da quello che era uno degli F. O. E. di quel luogo.
Un F. O. E. molto spaventoso, oltre che forte.
Quel mostro aveva colto lei e gli altri di sorpresa poco tempo prima, quando si trovavano in una stanza che avevano erroneamente reputato sicura.
Nel momento in cui la porta si era spalancata e quella spaventosa bambola era entrata all'interno, erano tutti andati nel panico e qualsiasi strategia d'attacco e di difesa era stata completamente dimenticata.
Ed ecco che ora era lì, a correre in una parte del labirinto che ancora non avevano esplorato, senza sapere minimamente quali pericoli si nascondessero lungo il suo cammino né se la strada che stava seguendo la stesse portando in un vicolo cieco.
Naoto non sapeva neanche da quanto stesse fuggendo a dire la verità.
Non sapeva neanche cosa le fosse passato per la testa quando aveva iniziato a correre, allontanandosi dal resto del gruppo, nonostante Yu e Minato avessero urlato a tutto il gruppo di rimanere compatto e di non disperdersi.
Non era assolutamente da lei commettere un errore simile.
Forse avrebbe dovuto trovare un modo per tornare indietro e ricongiungersi con gli altri...
Proprio quando stava per rallentare il suo passo, la risata infantile della bambola che la stava inseguendo arrivò nuovamente dalle sue spalle e la ragazza non potè far altro che riprendere a correre, con una velocità addirittura maggiore di prima.
Le cose si stavano mettendo male.
Troppo male.
Se sconfiggere quello F. O. E. in gruppo sarebbe stato difficile, farlo da soli era praticamente impossibile.
Sapeva che la situazione non aveva preso una bella piega.
Sapeva che non importava quanto continuasse a correre.
Sapeva che quel mostro l'avrebbe sicuramente raggiunta e lei sarebbe stata costretta a combatterlo.
E sapeva anche che se quello fosse successo, lei non avrebbe avuto scampo.
Oramai non aveva speranze...
E poi la vide. L'uscita. Era vicino all'uscita!
Naoto lasciò andare un piccolo gemito di dolore quando le sue gambe cedettero e lei cadde sul pavimento, colpendo con forza le ginocchia contro il marmo.
Dal calore che si stava adesso sprigionando dal punto che aveva subito l'impatto, la detective sapeva che doveva essersi sicuramente sbucciata, ma, nonostante questo, si alzò in piedi, cominciando nuovamente a correre.
Non poteva arrendersi proprio in quel momento.
Non ora che aveva finalmente quasi raggiunto quella porta tanto agognata.
Ma le sue gambe non erano poi così d'accordo, evidentemente.
La ragazza cadde nuovamente al suolo, il fiato che iniziava a mancarle e la gola che le bruciava per l'aria fredda che fino a quel momento l'aveva attraversata.
Tentò di rialzarsi nuovamente, di tendere una mano verso l'uscita che lei aveva tanto desiderato e che ora si trovava lì, a pochi metri.
Poteva sentire la risata della bambola farsi sempre più vicina.
Presto l'avrebbe raggiunta e lei avrebbe perso qualsiasi possibilità di fuga.
Doveva riuscire a scappare, doveva mettersi in salvo...
Ma non ci riusciva.
Voleva piangere in quel momento, mentre, rannicchiata a terra, non riusciva ad alzarsi.
Niente avrebbe potuto salvarla.
Nessuno sarebbe giunto in suo aiuto.
Era la fine...
Qualcosa l'afferrò per il braccio e la ragazza aprì la bocca, pronta a lanciare un urlo con una voce molto più femminile di quella che era abituata ad usare, ma qualcosa le coprì la bocca, impedendoglielo.
Quando il suo assalitore la tirò a sé, allontanandola dal corridoio principale di quell'ospedale abbandonato, Naoto iniziò a colpirlo, utilizzando tutte le forze che le erano rimaste in un tentativo disperato di liberarsi.
Certo però, non si aspettava che quella bambola potesse avere in realtà un corpo così grosso e muscoloso.
Così come non si immaginava neanche che potesse avere così tanta forza da sollevarla in quel modo.
Ma dopotutto era un F. O. E.
Sarebbe quasi stato strano il contrar-
«Ahia, Naoto! Smettila di dimenarti in questo modo!»
Quelle parole le furono sussurrate vicino all'orecchio e, non appena le sentì, la ragazza smise immediatamente di lottare, lasciandosi andare completamente.
Tentò di dire il nome del ragazzo che le aveva appena parlato e si rese conto solo in quel momento che l'oggetto non identificato che le stava coprendo la bocca era semplicemente la sua mano.
Vedendo che lei si era calmata, Kanji iniziò a lasciare la presa sul suo corpo, tornando però immediatamente a stringerla a sé quando la risata della bambola si fece più vicina.
Naoto sentì nuovamente l'impulso di scappare, di ricominciare a correre.
Dovevano togliersi di lì.
Dovevano assolutamente mettersi in salvo.
Fu in quel momento che vide la bambola attraversare il corridoio, a pochi metri da lei.
Tutta l'ansia che la detective aveva provato fino a quel momento scomparve completamente, quando si rese conto che il F. O. E. aveva continuato a camminare nella stessa direzione, senza voltarsi nel piccolo cunicolo dove si erano nascosti.
Era salva.
Kanji la lasciò andare e solo in quel momento la ragazza lo vide in volto.
Era preoccupato.
Era chiaramente preoccupato.
«Stai bene?– sussurrò e Naoto non poté che arrossire quando notò l'attenzione con cui lui la stava osservando –Ti ha fatto male? È riuscita a colpirti?»
«S-Sto bene.– rispose la detective, la voce molto più roca di quel che si aspettasse –Mi sono solo spaventata. Fortunatamente non è riuscita a raggiungermi, ma lo avrebbe fatto. Ti ringrazio per essere venuto in mio aiuto Kanji-kun.»
Naoto non poté che sorridere leggermente quando le guance del ragazzo si tinsero di un rosso così acceso da essere ben visibile, nonostante il buio di quel luogo.
«F-Figurati, è stato Yu-senpai a dirmi di raggiungerti. Senza di lui non avrei neanche potuto capire dove eri e-ecco...»
La ragazza annuì, continuando a sorridere.
Sapeva che quella era una bugia.
Non che Yu-senpai non tenesse a lei, ovvio; ma faticava a credere che Kanji non sarebbe andata a cercarla anche se non gli fosse stato ordinato.
Lo aveva già fatto così tante volte in passato che la ragazza si meravigliò di non aver pensato al fatto che lui sarebbe venuto a salvarla, ancora una volta.
«M-meglio se torniamo dagli altri adesso!» borbottò lui, voltandole le spalle.
Naoto annuì.
Fu quando tentò di fare un passo in avanti che le sue gambe cedettero nuovamente e lei lasciò andare un piccolo urletto, cadendo in avanti, pronta a cadere per l'ennesima volta al suolo.
Cosa che non accadde, visto che Kanji la afferrò al volo, prima che lei potesse toccare il pavimento.
«Tutto bene...?» le chiese.
La ragazza annuì leggermente.
«S-sono solo stanca.» rispose, cercando di apparire tranquilla come al solito.
Tentò di staccarsi da lui, ma Kanji la strinse con più forza.
«Non sforzarti.»
«Hm?»
«Ho detto che non devi sforzarti.– ripetè lui, una voce ferma che Naoto non gli aveva mai sentito prima –Ti porto io.»
"Cosa?!"
La ragazza aprì la bocca per protestare, ma lui la sollevò da terra prima che lei potesse dire qualunque cosa.
«K-Kanji-kun!»
Kanji non rispose.
Poi, continuando a non proferire parola, iniziò a camminare.
Naoto pensò che avrebbe voluto ma, allo stesso tempo, non provò nemmeno a lamentarsi.
Anzi, anche se molto lentamente, si lasciò andare e portò le sue braccia intorno al suo petto.
E restò così, appoggiata contro il petto del ragazzo, sentendosi per la prima volta al sicuro da quando era entrata in quel buio e spaventoso labirinto.
 
QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: Solitudine
Fandom: Nier:Automata
Personaggi: 9S
Note: canon del romanzo ufficiale "Long Story Short"


"Un robot non può morire di solitudine."
Chiunque leggendo questa frase, dicendola, sentendola o anche solo pensandola, crederebbe immediatamente nella sua veridicità.
Dopotutto, come poteva un essere senza cuore, incapace di provare qualsiasi emozione, sentirsi anche minimamente solo al mondo? Come poteva un involucro contenente solo un gran numero di ingranaggi e chip soffrire un qualcosa come la mancanza di affetto di altri? Come poteva un androide, seppur con sembianze umane, provare un sentimento che era unico per quella razza che era così simile in aspetto ma tanto lontana emotivamente da lui?
Già, quel pensiero era più che logico.
Ed era anche quello che 9S aveva sempre pensato.
Un robot non può morire di solitudine.
Questa era stata una delle frasi che 21O gli aveva detto in passato, quando lui aveva azzardato porle quella domanda durante una delle sue missioni.
E anche lui pensava che lei avesse sicuramente ragione.
Per questo, inizialmente, non ci aveva dato poi così tanto peso.
9S aveva sempre portato avanti la sua vita in solitaria, svolgendo le sue missioni da Scanner così come gli era stato assegnato e ignorando la fitta di gelosia che provava ogni volta che vedeva i vari androidi di tipo B fare squadra per portare avanti missioni insieme.
Sempre se quella poteva essere chiamata “gelosia”.
Se un androide non poteva provare emozioni come la solitudine, non poteva neanche essere geloso, no?
Era un qualcosa di completamente irrazionale anche il solo pensare che quel sentimento fosse minimamente possibile per uno come lui.
Nonostante avesse accettato la sua condizione, però, 9S non era ancora del tutto convinto di quella terribile sensazione che lo coglieva ogni volta che, portata a termine una missione, si guardava intorno, cercando qualcuno con cui congratularsi... invano.
Certo, aveva sempre il suo fedele Pod con sé, ma non era esattamente la stessa cosa.
Il Pod era programmato per seguirlo, per combattere al suo fianco e non lasciarlo mai solo.
Non poteva valere come un "amico", utilizzando uno dei termini che aveva letto in uno dei tanti libri scritti dagli umani presenti nell’Archivio.
Per questo, quando anche a lui fu assegnata una compagna, 9S non potè far a meno di essere al settimo cielo.
Insomma, nonostante sapesse che gli androidi di modello Battaglia non fossero poi così amichevoli, a lui bastava avere qualcuno con cui passare del tempo.
E 2B era perfetta per questo suo scopo.
Anche se inizialmente lo aveva trattato in modo freddo, 9S si era reso conto del modo in cui l'androide si era mano mano aperta a lui.
Adesso aveva qualcuno che lo ascoltasse ogni volta che scovava qualcosa.
Adesso aveva qualcuno che parlasse con lui.
Adesso aveva qualcuno che lo camminasse al suo fianco, combattendo con lui.
Adesso aveva finalmente qualcuno che lo capisse e che impedisse che lui si sentisse, anche se solo per poco, solo...
...o almeno così credeva.
9S sapeva benissimo che quella era tutta una messinscena, messa in atto dal loro Comandante.
Sapeva fin troppo bene che 2B era in realtà un tipo di androide completamente diverso da quello di Battaglia.
Lei era un tipo E.
Un Esecutore.
Un tipo di androide nascosto, che era designato solo ed unicamente per diventare alleato con un androide che poteva diventare problematico, per poterlo uccidere e resettare nel caso in cui ci fosse qualcosa che non andasse.
E il tutto aveva perfettamente senso.
Lui era un tipo Scanner di ultima generazione.
Molto probabilmente, anche se con l'ausilio del tempo, non gli ci sarebbe voluto niente per arrivare a capire qualcosa che il Comandante e il Consiglio dell'Umanità volevano nascondere.
E per questo lo avevano affidato ad un altro androide che lo tenesse d'occhio e gli impedisse di scoprire qualcosa di troppo.
E, in tutto questo, 9S non era neanche sicuro di quante volte quel ciclo si stesse ormai ripetendo.
Se era stato già ucciso da 2B in passato, se alcuni delle missioni e dei ricordi che aveva con lei fossero in realtà repliche di ciò che era già successo, se lui avesse capito altre volte la sua identità... tutte queste restavano incognite che gli impedivano di avere un quadro completo della situazione.
Ad essere sinceri, quando aveva capito cosa si stava nascondendo dietro quel suo volto impassibile e freddo, 9S non aveva escluso la possibilità di fuggire.
Aveva pensato sul serio di uccidere quell'androide che era diventato il suo boia e che avrebbe prima o poi calato la sua falce su di lui, resettandolo.
Ci aveva anche provato a dire la verità.
Non gli ci sarebbe voluto molto; essendo lui un tipo Scanner di ultima generazione, era in grado di hackerare qualsiasi essere robotico si trovasse davanti, mandandolo completamente in corto circuito.
Se ne erano presentate tante di occasioni in cui lui avrebbe potuto farlo.
Bastava solo che lei abbassasse la guardia per un momento e lui avrebbe agito.
Si era sempre ripetuto quelle parole, convinto sul da farsi...
Eppure, ogni volta che ne aveva l'occasione, 9S si tirava indietro.
"Ancora un po'." pensava "Voglio stare con qualcuno per ancora un po'."
"Non voglio restare solo di nuovo."
E questo lo aveva portato in quella condizione.
In quella spirale infinita di vita e morte che continuava a tornare sui suoi passi, facendo ripetere eventi che già erano accaduti e aggiungendone di nuovi ogni volta che lui veniva resettato.
Ma a 9S questo non importava.
L'unica cosa che per lui era importante era poter ancora stare al fianco di quell'androide che era la sua più temibile nemica ma, allo stesso tempo, anche la sua più fedele amica.
Per questo aveva stretto i denti e aveva accettato quella situazione.
Per questo aveva fatto finta di non rendersene conto.
Per questo aveva continuato a comportarsi come niente fosse, continuando a stare al fianco di 2B.
Se quello voleva dire che non sarebbe stato più solo, gli sarebbe bastato.
Di questo era certo.
Però...
...non immaginava certo che le cose potessero prendere una tale piega.
Era successo tutto così in fretta, che neanche gli sembrava un qualcosa di reale.
Il Quartier Generale era crollato.
2B era morta.
E lui era di nuovo solo; completamente solo.
E, per quanto finalmente si sentisse libero da quel controllo continuo a cui era stato sottoposto per un tempo che lui non era in grado di calcolare, 9S non riusciva più ad andare avanti in quel modo.
In un istante aveva perso tutto quello a cui più teneva.
In un solo, singolo, secondo tutto quello su cui aveva fatto affidamento in quei mesi, se non in quegli anni, era scomparso.
Non sapeva quante volte gli era capitato di svegliarsi e pensare che tutto quello era un incubo, che, quando avrebbe aperto gli occhi, 2B sarebbe stata nuovamente al suo fianco, pronta per un'altra missione.
Non sapeva quante volte si era voltato alla sua destra, per parlarle, per poi ricordarsi che lei non c'era più.
Non sapeva più neanche quante volte si era ritrovato al buio, rannicchiato in qualche angolo della stanza che la Resistenza aveva preparato per lui.
E, mentre lacrime che non sentiva neanche appartenere più a lui gli rigavano il viso, bagnandogli la pelle sintetica, 9S non poteva far altro che pensare a quelle dure parole che continuavano a ronzargli in testa.
"Un robot non può morire di solitudine."
Lo sapeva.
Lo sapeva fin troppo bene.
Ma, nonostante questo, non poteva far altro che desiderare che potesse accadere, così da poter finalmente porre fine a quel dolore incessante che continuava a logorargli quel cuore che non possedeva.
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Prompt: In fuga (M1)
Parole: 921
Fandom: Bravely Default
Coppia: RingabelxEdea


Ringabel sapeva che c'erano molte cose che dei comuni mortali non erano in grado di fare.
Ad esempio, quasi nessuno era in grado di essere perfettamente equilibrato nel suo animo, bilanciando perfettamente modestia e narcisismo, difetti e qualità; quasi nessuno era in grado di essere così tanto sicuro di sé da non avere neanche un punto debole; quasi nessuno era così perfetto da riuscire a rimorchiare qualsiasi ragazza su cui mettesse gli occhi.
E, nonostante il ragazzo fosse fermamente convinto di far parte della categoria dei pochi eletti che aveva tutte le caratteristiche sopra elencate, lui era a conoscenza del fatto che, anche per persone così elevate e superiori come lui, c'erano ostacoli impossibili da superare.
«Ringabel, vieni fuori se ne hai il coraggio!»
... E una di quelle cose era sicuramente riuscire a sopravvivere ai una Edea Lee alquanto arrabbiata.
Il ragazzo lanciò un'occhiata veloce alla strada principale di Florem, rimanendo il più nascosto possibile dietro ad uno dei grandi edifici che la incorniciava ai lati.
Ed eccola lì.
Non che fosse difficile identificarla in quel momento.
Nonostante si trovasse in mezzo alla folla di turisti e abitanti del luogo che riempiva completamente la strada principale, era impossibile che anche una sola persona non potesse essere in grado di identificare Edea in quel momento.
Era così tanto furiosa che, anche se Ringabel si chiedesse come fosse possibile, era come se fossero ben visibili le nuvole di fumo che uscivano dalla sua testa.
I suoi capelli – biondi, luminosi e stupendi come sempre – erano sicuramente più elettrizzati del solito, soprattutto il suo ciuffo biondo che ritto, sull'attenti, era paragonabile quasi ad una temibile antenna pronta a localizzarlo ovunque lui si fosse nascosto.
Senza considerare il suo sguardo.
Quello sì che la rendeva fin troppo visibile in mezzo a quella folla.
Gli occhi azzurri di Edea erano adesso freddi, ghiacciati, e la ragazza non faceva che muoverli a destra e a sinistra, in alto e in basso, lanciando occhiatacce alle persone che passavano, cercando di localizzare il suo obiettivo.
Ringabel sentì un fortissimo brivido corrergli lungo la schiena quando notò che, anche se solo per un momento, lo sguardo della ragazza fu puntato nella sua direzione.
Odiava quello sguardo.
Cioè, ovviamente lo amava, così come amava tutto di quella ragazza.
Ma, allo stesso tempo, non poteva far altro che sentire il suo sangue gelarsi completamente nelle sue vene ogni volta che lei gli lanciava una di quelle occhiate che tanto la contraddistinguevano dalle altre ragazze con cui lui era uscito.
Non sapeva come fosse possibile una cosa del genere, ma Ringabel era convinto che, quando lei utilizzava quello sguardo così tanto letale e assassino, Edea riusciva perfettamente a localizzare la sua preda, ovunque essa fosse.
Niente poteva fermarla. Persone, mura, case, colline, montagne, oceani. Qualsiasi nascondiglio era vano.
Eppure, nonostante tutta la pericolosità che la ragazza trasmetteva in quel momento, Ringabel non poteva fare a meno che trovarla bellissima.
Avrebbe potuto passare ore ad osservarla in quello stato.
La smorfia arrabbiata che si era formata sul suo volto; le guance leggermente rosse; le spalle che le tremavano leggermente; i pugni che teneva così stretti da conficcare le sue unghie nella sua stessa carne; le gambe piantate al suolo, pronte a scattare non appena avrebbe avvistato la sua preda–
«Ringabel!»
Cazzo.
Quando vide che Edea si stava avvicinando ad una velocità quasi sovrumana, il ragazzo riprese a correre, cercando in tutti i modi una via di fuga che gli permettesse di seminare il mostro che continuava a inseguirlo.
Sapeva che lei era dietro di lui.
Sapeva fin troppo bene che oramai era stato agganciato.
E, soprattutto, sapeva che se lo avesse raggiunto, sarebbe stato davvero difficile sopravvivere.
Con quel pensiero in testa, il ragazzo continuò a correre lungo le vie di Florem, scansando qualsiasi persona gli capitasse sulla sua strada e cercando di confondere il suo inseguitore, cambiando continuamente la via che stava prendendo.
Poteva sentire i passi della ragazza dietro di lui farsi sempre più lontani.
Che la stesse seminando...?
Preso da un coraggio che neanche lui sapeva di avere, Ringabel lanciò uno sguardo alle sue spalle.
Un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra. Edea non c'era più. Era riuscito a scappare.
Beh, questo lo rivalutava ulteriormente, no?
Se era riuscito a fuggire ad una bestia del genere, doveva assolutamente appartenere ad un'élite ancora più elevata e superiore di quella che credeva–
Il ragazzo andò a sbattere contro qualcuno e perse l'equilibrio, cadendo a terra all'indietro e ritrovandosi a sedere sul freddo pavimento in pietra.
Merda.
Sarebbe dovuto tornare a guardare davanti a sé.
«Mi scusi, non l'ho vista...» si scusò, alzando lo sguardo.
E fu in quel momento che il sangue gli si gelò nelle vene.
Edea Lee era lì, davanti a lui, le braccia incrociate al petto.
«Ringabel.»
«E-Edea.– il ragazzo poteva sentire il sudore scivolargli lungo la fronte –C-Che coincidenza, t-ti stavo giusto cercando.»
Prima che potesse aggiungere altro, lei si abbassò e lo afferrò per il colletto della camicia, portandolo a due centimetri dal suo viso.
«Questa me la paghi cara. Hai anche cercato di scappare.»
Ringabel deglutì.
Era spacciato.
«E-Edea ti posso spiegare!» cercò di salvarsi, invano.
«Risparmiati le tue scuse, so che sei stato tu a mangiare tutta la scorta di biscotti che mi ero portata da Eternia. Ripeto: questa me la paghi cara.»
Così, mentre Edea lo trascinava via, il ragazzo si rese conto che nessuno, ma proprio nessuno, sarebbe potuto appartenere a quell'élite tanto elevata da riuscire a fuggire da quella ragazza.
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Prompt: Piangere senza riuscire a fermarsi
Parole: 663
Fandom: Persona 5
Personaggi: Ann


Ann non avrebbe mai pensato di potersi trovare in una situazione del genere.
Seduta su una delle sedie della sala d'attesa di uno dei più grandi ospedali di Tokyo, la ragazza non poteva far altro che stringere con forza il suo portachiavi rosa a forma di pinguino, aspettando con ansia che uno dei dottori uscisse da quella maledetta stanza di fronte a lei.
Erano ormai passate ore da quando era in quell’ospedale.
Fuori era diventato buio, le persone in quel corridoio avevano iniziato a diminuire, mano mano.
Ma lei era rimasta lì, gli occhi puntati sulle sue mani.
Si era anche addormentata un paio di volte e, ad ogni risveglio, pensava che quello che aveva vissuto quella stessa mattina era stato solo un incubo.
Ma poi, con suo enorme dolore, ricordava che non lo era stato.
Quella mattina, a scuola, Shiho si era buttata dal tetto, proprio davanti ai suoi occhi.
La scena di molte ore prima continuava a ripetersi nella sua testa, come se non potesse pensare ad altro.
Non sapeva perché, ma, ogni volta che chiudeva gli occhi, se la ricordava diversa da come era realmente accaduta.
Nei suoi ricordi (e nei suoi sogni nel momento in cui si era addormentata) Ann era lì, su quello stesso tetto, e le sarebbe bastato in realtà allungare solo una mano per potere fermare la sua amica e salvarla.
Beh, dopotutto, quella era la verità, anche se solo in parte.
Anche se lei non era stata su quello stesso tetto, infatti, non si poteva dire che lei non avesse mai avuto il modo di prevenire quello che era accaduto.
Sapeva che tipo era Kamoshida.
Sapeva che se lei non avesse fatto quello che lui voleva, Shiho sarebbe stata in pericolo.
Sapeva che lei non poteva essere l'unica ad essere abusata da quell'uomo.
Sapeva che Shiho stava passando un brutto periodo...
Ma non aveva fatto niente per salvarla.
Anzi, l'aveva lasciata completamente in balia di quell'uomo.
E adesso...
La vista di Ann si offuscò e una delle tante lacrime che stava trattenendo fino a quel momento cadde di fronte a lei, colpendo il piccolo pinguino che la ragazza continuava ad osservare da un tempo che le sembrava infinito.
Ricordava perfettamente quando lo aveva comprato.
Era stato ben sei anni prima, quando era uscita per la prima volta con quella che sarebbe diventata la sua migliore amica.
Non avrebbe mai potuto dimenticare la gioia che l’aveva pervasa mentre compravano i due pinguini che facevano una coppia perfetta, quello di Ann rosa e quello dell’altra ragazza di un celeste pastello.
Avevano giurato che il avrebbero tenuti per sempre con loro, in segno della loro amicizia.
Ed era proprio quello che avevano fatto.
O, almeno, quello che Ann aveva fatto.
Non sapeva se anche Shiho avesse davvero mantenuto quella stupida promessa per tutti quegli anni.
In realtà, non aveva neanche avuto modo di chiederglielo.
Forse perché fino a quel momento non le era neanche passato per la testa di farlo.
Aveva sempre pensato che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farle quella domanda, o per vedere lei stessa con i suoi occhi se Shiho continuava ad avere quel piccolo portachiavi.
E invece ora non poteva più farlo.
Come avrebbe potuto?
Non sapeva neanche se la ragazza sarebbe riuscita a sopravvivere, dopo la caduta che aveva subito.
Ann si rannicchiò maggiormente sulla sedia e singhiozzò con più forza, piegandosi in avanti e portando il suo pinguino al petto.
Dopotutto in quel momento, non poteva far altro che quello.
Non poteva far altro che lasciare che le lacrime, che fino a poco prima non avevano neanche la forza di uscire dai suoi occhi, rigassero adesso le sue guance, senza che lei riuscisse più a fermarle.
E resto così, tutta la notte, su quella scomoda sedia della sala di attesa di quell’ospedale, aspettando che qualcuno finalmente venisse a darle buone notizie, mentre stringeva con forza quel piccolo e rovinato dal tempo pinguino; l’unica cosa che Shiho le aveva lasciato.
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Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno
Numero parole: 620
Fandom: Nier:Automata
Personaggi/Coppie: 2B/9S



«Tu sei 2B, vero?»
9S disse quelle parole con tranquillità, così come aveva fatto sempre.
«Il mio nome è 9S, sono qui per fornire supporto.»
Quante volte aveva sentito ripetere quelle parole?
Tante, troppe per ricordare, anche per un androide.
2B mostrò il suo solito volto impassibile al robot di fronte a lei, mentre questo si presentava per quella che doveva essere oramai la quinta volta in quel mese.
Sapeva esattamente come doveva procedere.
Doveva solo seguire le direttive che le erano state richieste, come aveva sempre fatto, fino a quel momento.
Come da copione, la ragazza si presentò a sua volta, senza lasciar trapelare alcun tipo di emozione che provasse in quel momento.
Come se lei potesse provare davvero emozioni.
Dopotutto era un’androide, un semplice robot, costruito ad hoc per assomigliare il più possibile alla razza che adesso stava cercando di proteggere.
La sua pelle non era vera, così come non lo erano neanche le sue labbra, i suoi occhi, i suoi capelli.
E come tutti gli androidi di questo mondo, era ovvio che non avesse neanche un cuore.
Quindi come poteva provare emozioni?
Quella era una domanda che 2B continuava a ripetersi, ogni volta che quel loop ripartiva da capo.
Lei era un Esecutore.
Un tipo E che era stato designato con l'unico intento di uccidere quel robot con cui collaborava da ormai tanto tempo.
Quel robot che però, ogni volta, la dimenticava.
Sì, perché era questo che accadeva ogni volta che quel ciclo arrivava a fine.
Ogni volta che lui si presentava nuovamente, dopo essere stato ricostruito, la robot non poteva fare altro che sperare che, per una volta, le cose potessero andare diversamente.
Forse, se 9S non fosse entrato in contatto con certi registri della base, non avrebbe scoperto quei dati sensibili che l'avrebbero costretta ad ucciderlo.
Forse, se per una singola volta lei stessa fosse stata più dura con lui, sarebbe riuscita a evitare che la verità di cui neanche lei era realmente a conoscenza ma che le era stato espressamente chiesto di proteggere.
Eppure lei non poteva farne a meno.
Non sapeva neanche lei perché, ma ogni volta che vedeva il volto di 9S illuminarsi di fronte ad una nuova scoperta, sentiva come una stranissima sensazione pervaderla.
Sensazione che presto si trasformava in puro terrore quando capiva che il ragazzo aveva superato il limite e che era l'ora di resettarlo nuovamente.
Ed era quello che era sempre accaduto.
Ogni singola volta.
2B metteva da parte quelli che gli umani chiamavano "sentimenti" e tirava fuori la sua spada, prima che 9S potesse anche solo aprire bocca per dirle ciò che aveva scoperto.
E questo perché?
Perché lei era una codarda.
Sapeva che se avesse provato anche solo per una volta a sentire quello che lui aveva da dirle, anche a lei sarebbe toccato lo stesso destino: sarebbe stata anche lei uccisa e resettata, magari da un altro YoHRa di tipo E, o dal Comandante in persona.
Ma non era certo la morte che la preoccupava.
Lei era un’androide, poteva rinascere ogni volta che voleva.
La cosa che le faceva più male era la sola possibilità di potersi dimenticare di quel robot di cui, in modo completamente irrazionale, lei si era innamorata.
Così come, oramai, succedeva a lui, ogni volta che lei lo assassinava.
E per questo, nonostante sentisse l’impulso di abbracciarlo e stringerlo a sé mentre lui si presentava nuovamente, 2B non fece altro che comportarsi nel suo solito modo freddo di sempre, fingendo di non averlo mai visto prima e seguendo quegli ordini così dolorosi.
Nella speranza che, un giorno, fossero entrambi finalmente liberi.
E che, nonostante lui non avesse più ricordi, lei potesse comunque ricordare tutto quello che avevano passato insieme, per sempre.

Rainy day

Mar. 9th, 2019 06:48 pm
QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno
Numero parole: 1124
Fandom: Persona 4
Personaggi/Coppie: Kanji/Naoto

Naoto non aveva mai dimenticato qualcosa prima di allora.
Aveva sempre avuto tutto sotto controllo, fin da quando era piccola.
Era una delle sue qualità dopotutto, così come le aveva sempre ricordato suo nonno.
Eppure adesso era veramente in una situazione critica.
La ragazza sospirò, seguendo con lo sguardo la pioggia che continuava a scendere con grande velocità oltre l'ingresso aperto della scuola.
Possibile che tra tutto quello che si potesse dimenticare quel giorno, doveva aver lasciato a casa proprio il suo ombrello?
Naoto aveva passato l’ultima a mezzora a valutare cosa avrebbe potuto fare.
Opzione numero uno: correre sotto la pioggia, incurante del fatto che ci fosse in atto un vero e proprio acquazzone, potente anche per essere la città di Inaba.
Dopo aver visto il modo in cui un'altra ragazza era stata immediatamente bagnata da capo a piedi non appena aveva messo piede fuori dalla scuola e avendo notato che l'acqua avrebbe reso fin troppo trasparente la camicia bianca che stava indossando, quella prima opzione fu depennata dalla lista.
Opzione numero due: rubare uno degli ombrelli che si trovavano all'ingresso o chiedere a qualcuno di prestargliene uno.
Anche quest'idea fu immediatamente cancellata dalla sua testa non appena le era venuta in mente; in primis, Naoto non era una ladra e, in secondo luogo, non era rimasto più nessuno nel luogo in cui si trovava al momento quindi, anche volendo, non avrebbe potuto chiedere a qualcuno di dividere il suo ombrello con lei.
Opzione numero tre: aspettare che l'acquazzone finisse.
Nonostante quella fosse l'opzione più noiosa delle tre, Naoto aveva pensato che era anche la migliore.
Per questo la detective si trovava adesso all'entrata della scuola, la schiena poggiata contro il lato degli armadietti che vi erano all'ingresso e gli occhi puntati verso l'esterno, nella minima speranza che la pioggia smettesse da un momento all'altro.
Non che ci fossero poi tante probabilità che quello avvenisse.
La ragazza aveva passato abbastanza tempo a Inaba per rendersi conto che quando in quel luogo iniziava a piovere, era raro che smettesse prima di qualche ora.
Naoto sospirò, pentendosi amaramente di non aver accettato l'invito di Rise, quando questa le aveva proposto di uscire con lei quel pomeriggio, e invece aveva deciso di rimanere a scuola, per poter parlare con il suo coordinatore di classe.
Probabilmente in quel momento si sarebbe trovata in una delle caffetterie che da sempre aveva cercato di evitare, insieme a una delle ragazze più insistenti che conosceva e che le avrebbe posto le domande più strane e imbarazzanti che potesse ricevere in tutta la sua vita, così come faceva sempre ogni volta che rimanevano da sole...
No, forse, non si pentiva così tanto di aver declinato quell'invito.
La ragazza lanciò uno sguardo all'orologio.
Le 6.
Erano ormai due ore che aspettava che la pioggia cessasse.
Forse avrebbe dovuto rivalutare la prima opzione...
«Naoto?»
La ragazza sussultò quando una voce a lei familiare le arrivò dalle spalle.
Si voltò di scatto, incontrando lo sguardo di un ragazzo che conosceva fin troppo bene.
«Kanji-kun?»
Kanji le mostrò un'espressione interdetta.
«Cosa ci fai ancora qui?» le domandò, poggiando il braccio sull'armadietto.
Naoto aprì la bocca per rispondere, ma rimase in silenzio.
Non le andava molto a genio dover ammettere che lei, Naoto Shirogane, avesse dimenticato qualcosa di così importante come il suo ombrello, soprattutto dopo che Rise li aveva più volte messi in guardia per il tempo di quei giorni.
«Potrei farti la stessa domanda.» rispose, cercando di cambiare argomento.
Stranamente, le guance del ragazzo si tinsero di rosso.
Oh, perfetto.
Doveva anche lui essersi dimenticato l'om-
«Ecco... ho aiutato il club di cucito con un progetto a cui stanno lavorando da un po'...» bisbigliò il ragazzo, passandosi una mano dietro al collo.
Naoto elaborò quell'informazione, restando in silenzio per un secondo.
Non era una cosa poi così strana in realtà.
La ragazza sapeva che Kanji era davvero bravo a cucire, fin da quando era entrata nel team.
Non le pareva neanche poi così assurdo che il ragazzo si fosse offerto di aiutare qualcuno.
Anche se non lo conosceva da così tanto tempo, Naoto sapeva che in realtà era molto gentile.
No, la cosa che l'aveva completamente mandata in tilt era l'oggetto che Kanji stringeva nella mano sinistra.
Un ombrello.
Kanji Tatsumi, colui che più spesso si dimenticava anche i piani che elaboravano per attaccare le Shadow, si era ricordato di portare un ombrello.
E lei, che ricordava a memoria qualsiasi cosa avesse letto, visto o anche solo sentito dire, no.
Questo si che era imbarazzante.
Ma allo stesso tempo poteva essere la sua ancora di salvezza.
«Allora… allora io vado.» si affrettò ad aggiungere il ragazzo, notando che la detective non accennava a rispondergli.
Naoto non sapeva bene cosa fare.
Avrebbe davvero voluto chiedergli di dividere con lei il suo ombrello, ma allo stesso tempo trovava quella richiesta fin troppo imbarazzante.
Dopotutto sarebbero stati loro due, da soli, vicini a quel modo…
La ragazza abbassò lo sguardo, sentendo le guance che iniziavano lentamente ad andarle a fuoco.
No, la terza opzione restava la migliore.
Sarebbe rimasta lì, ad aspettare che quell’acquazzone finisse.
Sì, era sicuramente la scelta perfetta–
Quando un tuono cadde al suolo, Naoto afferrò di istinto il braccio di Kanji, fermandolo prima che lui potesse uscire dalla scuola.
«Naoto?»
«Per favore, possiamo dividere l’ombrello?»
Quelle parole uscirono dalle sue labbra prima ancora che lei riuscisse a fermarle.
Ora sì che provava imbarazzo.
Non solo aveva appena ammesso di aver dimenticato il proprio ombrello a casa, ma aveva anche fatto intendere che i fulmini la spaventassero.
No, forse non era tutto perduto.
Forse Kanji non aveva capito quella seconda part-
Un altro tuono cadde al suolo e Naoto sussultò visivamente, stringendo con più forza il braccio del ragazzo.
Dannazione.
Ora sì che l’avrebbe presa in giro...
«Certo, Naoto.»
La ragazza alzò immediatamente lo sguardo.
Kanji aveva pronunciato quella frase con una voce leggermente più imbarazzata e tremante del solito ma, nonostante questo, sul suo viso si era formato un piccolo sorriso.
«Vieni, ti accompagno a casa.» aggiunse poi, dirigendosi all’esterno e aprendo l’ombrello.
Di fronte a quel gesto, Naoto non poté far altro che sorridere.
Era stata una stupida.
Sapeva che Kanji non l’avrebbe mai giudicata, né per la sua dimenticanza, né per la sua paura.
Cosa è che l’aveva fatta pensare tanto fino ad allora?
«Ti ringrazio Kanji-kun.– rispose, raggiungendolo e inserendosi sotto l’ombrello –La prossima volta ricambierò il favore.»
«Sempre se non dimenticherai di nuovo l’ombrello.»
Nonostante le guance le si fossero tinte di rosso, Naoto decise di ignorare quel commento sarcastico e si avvicinò maggiormente al ragazzo che, così come aveva promesso, l’accompagnò fino al suo appartamento, nonostante questo si trovasse dall’altra parte della città rispetto alla sua abitazione.
PROMPT: Piangere senza riuscire a fermarsi

Kanji non era minimamente convinto di aver preso la decisione giusta quando, appena un millisecondo prima, aveva abbassato la maniglia della porta di quello sgabuzzino, dopo che aveva sentito un piccolo lamento provenire dal suo interno.
Non era certo il suo forte consolare le persone.
Anzi, ad essere sinceri, non era il suo forte avere alcun rapporto umano con qualcuno.
Ma, mosso da una curiosità e un coraggio che non aveva mai sentito prima, aveva aperto quella porta, per osservare cosa stava succedendo.
Certo, si era aspettato fin dall'inizio di trovare qualcuno a piangere al suo interno.
Era San Valentino e non era certo raro che coloro che avevano il cuore spezzato si lasciassero andare in qualche modo, magari chiudendosi all'interno di un'aula vuota o nascondendosi nel bagno o, come era successo in quel caso, nello sgabuzzino di una delle ali della scuola meno frequentate.
Anzi, quello era forse il nascondiglio migliore che potesse capitare.
Erano in pochi a passare di lì e lui aveva scelto effettivamente quella strada per evitare una persona in particolare.
Persona che adesso si era ritrovato davanti.
Rannicchiata in quello sgabuzzino.
Con le ginocchia al petto e il viso nascosto tra di esse.
«Naoto...?»
La ragazza sussultò visivamente quando lui chiamò il suo nome, come se fosse stata così tanto concentrata a pensare a qualcosa fino a quel momento da non essersi neanche resa conto che qualcuno avesse aperto la porta e la stesse adesso osservando.
Ma fu quando lei alzò la testa che Kanji sentì il suo cuore avere un vero e proprio sussulto.
Gli occhi sempre decisi e duri della ragazza erano adesso umidi e tentennanti, carichi di una grossa quantità di lacrime che il ragazzo non aveva mai visto prima di allora.
Le sue palpebre erano gonfie e rosse, come se fosse ormai qualche ora che lei fosse rinchiusa là dentro, a piangere per qualcosa che Kanji non aveva idea di cosa fosse.
Ma la cosa che gli fece ancora più male fu lo scatto che lei fece non appena lo riconobbe, portandosi immediatamente in piedi e abbassando con forza la visiera del cappello, cercando di nascondergli il viso.
«K-Kanji-kun.– disse, con una voce che non sembrava neanche la sua da quanto era debole e roca –Cosa ci fai qui?»
"Dovrei essere io a porti questa domanda."
Kanji non pensava che dirle quelle parole fosse poi una grande idea.
Naoto era una ragazza molto riservata e terribilmente permalosa.
Chiederle il motivo per cui fosse rinchiusa in quello sgabuzzino a piangere avrebbe solo peggiorato le cose.
La conosceva. La conosceva fin troppo bene.
«Niente,– rispose lui, cercando con tutto se stesso di distogliere lo sguardo dalla ragazza di fronte a lui –stavo solo tornando a casa...»
Fu in quel momento che i suoi occhi incontrarono il piccolo sacchetto che Naoto teneva nella mano destra.
Sacchetto che, a giudicare dalla forma, doveva contenere una scatola di cioccolatini a forma di cuore.
Anche la ragazza doveva essersi resa conto del suo sguardo, perché con uno scatto fulmineo portò la busta dietro la schiena, cercando di nasconderla dietro al suo corpo tremante.
Kanji sentì il suo cuore vacillare nuovamente, quando capì che quei cioccolatini dovevano essere per qualcuno.
Qualcuno che non era lui.
Ma quello non era il momento di pensarci.
«A-Anche io stavo tornando a casa.– disse Naoto, cercando di trovare una scusa plausibile, evidentemente con scarso successo –Ci vediamo domani, Kanji-kun.»
Dopo aver detto questo, la ragazza iniziò a camminare, superandolo velocemente.
Kanji sapeva che sarebbe stata meglio finirla lì.
Sapeva che avrebbe fatto meglio a far finta di non aver visto niente.
Sapeva che Naoto avrebbe sicuramente preferito che lui non ne parlasse, che lui non facesse niente per cercare anche solo un minimo di consolarla.
Non erano affari suoi dopotutto.
Lui e quella ragazza non avevano poi niente che li legasse l’uno all’altra, se non il solo fatto che possedessero entrambi dei Persona.
Oltre al fatto che lui provasse chiaramente qualcosa per lei.
Ma quello non era importante al momento.
Quando, però, notò le lacrime che continuavano a scendere sotto la visiera del cappello, lungo le sue guance, il ragazzo non potè fare a meno di afferrare il braccio della detective, impedendole di allontanarsi troppo.
Lei emise un sussulto, chiaramente sorpresa da quel suo gesto.
E come poteva dargli torto?
Loro due non avevano neanche parlato poi così tanto.
Kanji aveva provato a legare con la ragazza, quando questa era entrata nel team, ma, quando aveva visto il modo in cui lei guardava il suo senpai, aveva deciso che forse era meglio non tentarci più di tanto.
Sapeva come sarebbe finita.
Sapeva fin troppo che ci sarebbe stato male, che avrebbe solo sofferto di fronte al fatto che a lei interessava qualcun altro.
Ma vederla in quelle condizioni era davvero la cosa più dolorosa che potesse capitargli.
«K-Kanj-»
«Naoto, sei sicura di stare bene?»
La ragazza non rispose.
Kanji sapeva che in quel momento Naoto stava valutando attentamente cosa rispondergli, per porre nuovamente tra di loro quel muro che lei aveva sempre innalzato di fronte a tutti.
«Naoto, dimmi la verità.– ribadì lui, prima che lei potesse aprire bocca –Stai bene?»
La detective continuò a mantenere la bocca chiusa, per un momento che a Kanji sembrò infinito.
Poi, lentamente, le sue spalle cominciarono a sussultare, mentre un singhiozzo usciva dalle sue labbra.
«N-No.»
Fu l'unica cosa che rispose, prima di cominciare a singhiozzare con più forza, tenendo il viso basso, in modo che lui non potesse vederlo.
Senza neanche pensarci due volte, Kanji tirò la ragazza verso di sé, stringendola tra le sue braccia e lasciando che il viso di lei affondasse nel suo petto, mentre entrava nello sgabuzzino e chiudeva la porta alle spalle.
Con sua grande sorpresa, Naoto non tentò neanche di resistere.
Anzi, portò lentamente le mani intorno al suo petto, cominciando a singhiozzare con più forza.
E fu così che restarono.
Nessuno dei due osava parlare.
Lui non le chiese cosa fosse successo, lei non glielo raccontò.
Lei non fece altro che piangere, lui non potè far altro che accarezzarle la testa, aspettando che quella crisi le passasse.
Restarono così, in silenzio, insieme fino a quando Naoto non finì tutte quelle lacrime che, fino a quel momento, aveva cercato di nascondere.
 
 QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: Tutti i bambini crescono, meno uno. (J.M. Barrie, Peter Pan)
Numero parole: 643 (non contando la citazione)
Fandom: Persona 4
Personaggi: Nanako Dojima

~

"Tutti i bambini crescono, meno uno."
Nanako lesse quella frase per almeno la decima volta di seguito, osservando con attenzione il libro che teneva aperto sulle gambe.
Si trovava in camera sua, a sedere accanto alla finestra, il suo luogo preferito per leggere.
Ed era quello che aveva deciso di fare qualche minuto prima, quando aveva preso tra le mani quel libro che, oramai da anni, prendeva polvere sulla sua libreria.
Ricordava perfettamente dove lo aveva comprato.
Era il giorno del suo quarto compleanno quando lei e sua madre erano uscite di casa, per comprare il suo regalo.
Ricordava che sua madre le voleva comprare qualcosa di più adatto alla sua età: le aveva infatti chiesto più volte se volesse una delle bambole che avevano visto in televisione o uno dei tanti giocattoli che erano diventati famosi in quel periodo, ma non appena aveva visto il libro su quello scaffale a Nanako si erano illuminati gli occhi.
«Tu non sai ancora leggere, Nanako.» le aveva fatto notare sua madre, quando la bambina le aveva indicato il libro.
«Ma possiamo leggerlo insieme, no?» le aveva risposto lei, interdetta.
Nanako ricordava perfettamente il sorriso che si era dipinto sul volto di sua madre quando lei aveva pronunciato quelle parole.
All'inizio non aveva capito molto del perché di quel sorriso. Non riusciva a vedere cosa la rendesse così felice.
Ma non le importava.
A lei bastava passare del tempo con sua mamma, non voleva altro.
Il libro fu comprato ma, sfortunatamente, sua madre doveva lavorare pesantemente in quel periodo.
«Non importa, lo leggeremo domani.»
Quelle erano le parole che Nanako continuava a ripetere alla donna che, dispiaciuta, continuava a lavorare e a preparare documenti su documenti.
Non c'era fretta dopotutto.
Non è che quel libro sarebbe scomparso dalla faccia della terra se avessero aspettato un po'.
Né che lei avrebbe cambiato idea e non lo avrebbe più voluto leggere.
Ma si sbagliava.
Fu poche settimane dopo infatti che quell'incidente avvenne.
Nanako ricordava fin troppo bene le giornate passate a sedere nelle sale d'attesa dell'ospedale di Inaba, completamente inerme in compagnia di suo padre.
Non poteva fare altro che continuare a tenere lo sguardo basso e osservare quel fatidico libro che teneva sulle ginocchia, sperando che il dottore uscisse presto da quella stanza e le dicesse che finalmente sua madre si era svegliata e che avrebbe potuto vederla.
Ma quando il medico li avvertì che oramai era troppo tardi, la bambina perse anche quell'ultima speranza a cui si era attaccata con tutte le sue forze.
Tornò a casa e mise il libro sullo scaffale, nel posto in cui aveva aspettato per mesi.
Nonostante, in seguito, suo padre avesse proposto di leggerglielo più volte, la bambina non aveva mai accettato quella sua offerta.
Per quanto gli volesse bene, dopotutto, non era con lui che voleva leggerlo.
Ed è per questo che il libro era rimasto lì, su quella mensola, per anni.
Fino ad allora.
Nanako non sapeva nemmeno perché quella mattina lo aveva preso dal suo posto, e aveva iniziato a sfogliarlo.
Non sapeva neanche cosa l'avesse spinta ad aprirlo e ad iniziare a leggerlo.
Sapeva solo che ora si trovava su quella sedia, ad osservare quella prima pagina da un tempo oramai indefinito.
Prima ancora che se ne rendesse conto, una lacrima scivolò dai suoi occhi e cadde sul foglio di fronte a lei, dritta sulla frase che i suoi occhi non riuscivano ad abbandonare.
Lei era lì, che era cresciuta fin troppo in fretta, da quel suo quarto compleanno.
Lei era lì che aveva lasciato completamente andare quel suo essere infantile ormai da anni.
Lei era lì che aveva perso il suo essere bambina quando sua madre le era stata strappata via.
Lei era lì che, adesso rannicchiata su se stessa, il libro stretto al petto e i singhiozzi che le scuotevano le spalle, invidiava quell’unico bambino che non sarebbe mai cresciuto.

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