Fandom: Persona 4
Personaggi: Naoto, Rise
Prompt: M3 – La signora in Verde Pistacchio Investigazioni
Avvertimenti: Demenziale
Parole: 316
 
Naoto non sapeva neanche perché si era lasciata sfuggire l'idea di voler aprire un'agenzia investigativa, pochi minuti prima.
E, soprattutto, non riusciva proprio a capire cosa le fosse venuto in mente quando, tra tutte le persone a cui poteva dirlo, lo aveva raccontato proprio a Rise.
Da quel momento, la idol aveva iniziato a non parlare d'altro.
Di come doveva essere l'arredamento, di dove doveva essere collocata l'agenzia in città, di chi assumere come segretaria, come doveva essere il suo abbigliamento...
Rise sembrava essersi completamente incantata sull'argomento.
E fu in quel momento che, un'altra questione uscì dalle sue labbra:
«Devi trovare anche un nome adatto, Naoto!»
La detective si voltò verso la sua amica, per una volta sapendo cosa rispondere.
«La chiamerò semplicemente Shirogane, Rise.– le disse Naoto –Il mio cognome è abbastanza famoso da essere adatt...»
«No, no e ancora no!»
La idol sbatté le mani sul tavolo a cui erano sedute e si piegò verso di lei, alzando un sopracciglio.
Naoto la osservò, interdetta.
«Ehm... prego?»
«Ho detto di no!– ripetè Rise, continuando a guardarla come se avesse detto qualcosa di inaccettabile –Con un nome del genere non attirerai mai i clienti Naoto!»
“Ma c'è davvero bisogno di attirare clienti in un'agenzia investigativa?”
Nonostante quella domanda le ronzasse in testa, la detective sospirò.
«Allora tu cosa proponi?» domandò poi, già pronta a sentire un'altra delle assurdità della sua migliore amica.
Un piccolo sorriso si formò sulle labbra di Rise.
«Ovviamente, un nome particolare e che faccia venire immediatamente curiosità a chi passa davanti all'insegna.– rispose, con un tono fiero –Ad esempio: "La signora in Verde Pistacchio Investigazioni"»
...Cosa?
«Rise, io non mi vesto mai di verde.»
«Appunto!– esclamò la idol, il sorriso sulle sue labbra non ancora svanito –Dà un'aria di mistero adatta alla tua attività, non trovi?»
...
Fu in quel momento che Naoto decise che avrebbe continuato a lavorare per la polizia.
Titolo: Don’t push that button
Fandom: Persona 4
Personaggi: Tutto l’Investigation Team
Prompt: M1
Avvertimenti: Soulmate!AU
Parole: 1900
 
Yu lanciò uno sguardo all'inattivo che si trovava incastonato nel suo braccio, passando lentamente e delicatamente le dita sul piccolo bottoncino che si trovava al suo fianco.
Finalmente lo avrebbe premuto.
Dopo ben 17 anni di paure e di ripensamenti, quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe compiuto il passo più importante della sua vita: avrebbe finalmente iniziato la ricerca della sua anima gemella.
Bastava poco, infatti, molto poco.
Una volta premuto quel bottone rosso, il contatore si sarebbe attivato e avrebbe iniziato a contare alla rovescia, fino al momento in cui non sarebbe avvenuto il fatidico incontro.
Niente di più semplice... ed era qua che veniva la fregatura.
C'era una regola ben specifica che faceva tentennare tutte le persone dall'usarlo il prima possibile, senza neanche pensarci due volte.
Il numero di volte che potevi provare a utilizzarlo.
Per quanto quel contatore fosse potente era, allo stesso tempo, limitato.
Al massimo potevi avere tre possibilità.
Gli scenari possibili erano due e gli erano stati spiegati fin da bambino: anche la tua anima gemella aveva attivato il counter e quindi, una volta incontrati, i due si azzeravano insieme, emettendo un suono acuto per indicare il buon esito della tua ricerca; oppure esaurivi i tre tentativi possibili, rimanendo senza la certezza di chi fosse la tua anima gemella.
In entrambi i casi, il counter si sarebbe spento per sempre.
«Sei arrivato in anticipo, Yu-kun.»
Quando la voce di Yukiko arrivò alle sue orecchie, Yu distolse lo sguardo dal suo braccio e si voltò verso di lei.
«Ciao, Yukiko.– la salutò, cercando di non mostrare il nervosismo che aveva iniziato a diffondersi nel suo corpo –Chie? Non è con te?»
La ragazza dai capelli neri si sedette di fronte a lui, al suo posto al loro solito tavolo del Junes.
«Sta arrivando, è andata a recuperare Yosuke.» rispose.
Neanche un secondo dopo, le voci dei due suoi compagni attirarono l'attenzione di Yu.
«Che c'è? Volevi scappare?– Yu poteva vedere Chie che, furiosa, aveva afferrato Yosuke per un braccio e lo stava trascinando verso di loro –Avevamo detto di partecipare tutti quanti una volta che il caso sarebbe stato risolto. Non puoi tirarti indietro adesso!»
«Ti ho già detto che non stavo scappando!– ribatté il ragazzo, dimenandosi –Mi stavo solo andando a cambiare. Cosa succederà se poi verrà fuori che la mia anima gemella è qui vicino e mi vedrà con questi vestiti?!»
“Bugiardo.” pensò Yu.
Sapeva benissimo quanto Yosuke fosse preoccupato per quello che poteva accadere dopo l'attivazione del counter.
Dopotutto, lui era proprio una di quelle persone che, inconsciamente, aveva già provato ad attivare il suo timer.
Due volte.
Yosuke gli aveva confidato quel segreto pochi giorni prima, quando avevano deciso il giorno in cui avrebbero provato a cambiare il loro futuro, tutti insieme.
Quella per lui sarebbe stata la sua ultima possibilità. Era normale che fosse spaventato a morte.
«Oh, Yu.– non appena lo vide, Chie lo salutò con un gesto della mano –Non credevo fossi già qui. Sei il nostro leader fino alla fine, eh?– aggiunse poi, facendo sedere con forza Yosuke al suo solito posto –Scusate il ritardo, ma qualcuno stava cercando di scappare.»
Yosuke si voltò verso di lei. 
«Ti ho già detto che non volevo sca...»
«Senpai! Ci siamo anche noi!»
Qualsiasi cosa Yosuke volesse dire fu immediatamente bloccata dalla voce squillante di Rise che, poco lontano dal tavolo, aveva iniziato a sventolare la sua mano.
Lei sì che era su di giri.
Yu poteva percepirlo benissimo. E questa cosa lo terrorizzava.
Almeno da quanto aveva potuto constatare dal comportamento della ragazza nei suoi confronti, lei aveva un solo desiderio: essere la sua anima gemella. Ma, per quanto non gli dispiacesse l'idea, Yu non era completamente convinto che quello sarebbe accaduto.
Insomma, il loro gruppo stava insieme da più di un anno.
Se al suo interno ci fossero state delle anime gemelle, sarebbe venuto fuori molto prima oramai.
Lui stesso aveva provato ad attivare il suo timer, una volta, durante quell'anno.
E sapeva per certo che almeno un'altra persona ci avevano provato.
E quelle due erano...
«Ehi, Senpai. Scusate il ritardo, Ted insisteva per prendere il gelato.»
Kanji Tatsumi.
Yu aveva visto il suo kohai a guardare con trepidazione il suo counter un giorno, con chiaro nervosismo.
Tutti sapevano della sua cotta, dopotutto.
Era ovvio che lui provasse almeno una volta a vedere se quel qualcosa poteva davvero scoppiare.
Peccato che l'altra persona era chiaramente qualcuno che non aveva mai toccato il bottone del suo counter.
«Scusate il ritardo.– Naoto si sedette al suo solito posto, il capello blu tirato in giù sul viso, come se la ragazza volesse nascondere la sua espressione –Come ha detto Kanji-kun, Teddie era particolarmente insistente.»
«Sensei! Nao-chan e Kanji-chan mi trattano male!– come Yu si aspettava, Teddie si lanciò in braccio a lui, cercando protezione –Io volevo solo provare il nuovo gelato “Everyday is great at your Junes” del Junes. E' una super, mega, iper edizione limitata, dopotutto!»
«Ted. Smettila di dare fastidio!»
Yosuke afferrò il ragazzo per il colletto e lo fece sedere nel posto accanto al suo.
Yu non riuscì a trattenere il piccolo sorriso che si formò sulle sue labbra di fronte a quella scena.
Il rapporto tra Yosuke e Teddie era decisamente maturato in quell'anno che avevano trascorso insieme.
Ora sembravano quasi due fratelli.
«Yosuke, sei cattivo anche tu!»
«Smettila, ho detto.– ripetè il ragazzo, lanciandogli un'occhiataccia –Più che altro, come era quel gelato? Era buono almeno? Lo hanno stampato su tutti i volantini del supermercato, ma io ho paura che ci faccia più pubblicità negativa che altro.»
Teddie mostrò il suo solito, indecifrabile, sorriso.
«Faceva schifo.» esclamò, con un tono inspiegabilmente felice.
Yosuke sospirò pesantemente, chiaramente non sorpreso dal risultato.
«Certo che potrebbero pensarci due volte prima di creare queste trovate pubblicitarie...» disse tra sé e sé.
Fu in quel momento che Chie prese la parola, iniziando il discorso che tutti, fino a quel momento, avevano cercato chiaramente di evitare.
«Ora che ci siamo tutti,– disse, lanciando un'occhiata veloce al suo polso –dobbiamo solo premere il pulsante... no?»
Silenzio.
Il chiacchiericcio che fino a poco prima si poteva udire intorno al loro tavolo si spense completamente e gli otto ragazzi – o meglio, i sette ragazzi e la Shadow dalla forma umana – iniziarono a lanciarsi sguardi a vicenda e ai loro polsi.
La tensione poteva essere tagliata con un coltello.
«S-Sentite,– questa volta era stata a Naoto a parlare, la voce chiaramente più femminile e tremante del solito –non siamo costretti a farlo. Eravamo tutti su di giri quando abbiamo deciso che lo avremmo fatto, ma possiamo sempre tirarci indietro. Se abbiamo bisogno di tempo possiamo prendercelo.»
Anche se non lo fece notare, Yu notò lo sguardo di Kanji incupirsi ancora di più.
«Naoto-kun non ha tutti i torti.– disse Yukiko –Siamo davvero sicuri di volerlo fare?»
Silenzio, di nuovo.
Nessuno osava rispondere a quella domanda.
Il problema era che, per quanto tutti loro – o, meglio, quasi tutti loro – ci tenessero a scoprire la loro anima gemella, il rischio di non trovarla e di perdere una possibilità, se non l'ultima, di riuscirci era alto.
Poi, improvvisamente, un tonfo arrivò dalla sua destra e Yu si voltò, trovandosi davanti Rise, con le mani sbattute sul tavolo.
«Naoto-kun! Yukiko-senpai!– le sgridò –Abbiamo deciso di non tirarci indietro. Scappare dalla verità è una cosa che l'Investigation Team ha deciso di non fare più, no?»
...
Beh, la idol aveva ragione.
Se solo il tutto non fosse stato chiaramente mosso dalla speranza di avere lui come anima gemella, Yu avrebbe concordato con lei.
«E poi io devo sbrigarmi!– Teddie esclamò, con la sua solita voce fin troppo elevata per la situazione –Non posso lasciare aspettare la mia donzella a lungo!»
«Ted,– Kanji si intromise –chi ti dice che sia una ragazza?»
Il più giovane si voltò verso di lui.
«Oh, Kanji-chan.– rispose, con un tono alquanto molesto –Vuoi essere tu la mia anima gemella? Io non mi tiro indie...»
«Cazzo, no! Certo che no!– urlò l'altro, guardandolo malissimo –Vuoi che ti uccida?!»
«Sensei! Kanji-chan è cattivo con me!»
Yu guardò i due, non sapendo bene cosa rispondere.
Fortunatamente, Yosuke prese la parola.
«Perché non lasciamo decidere a Yu?– disse, lanciandogli un'occhiata –E' il nostro leader, sono sicuro che lui saprà fare la scelta giusta. Vero, partner?»
...Forse era meglio rimangiarsi quel “fortunatamente”.
“Perché devo finirci sempre io in queste situazioni?”
Il cervello di Yu iniziò immediatamente a pensare ad un piano di fuga ma, quando vide che l'intero gruppo stava aspettando un suo verdetto, il ragazzo capì che scappare non era una soluzione.
Doveva prendere una decisione.
E doveva farlo in fretta.
«Io credo che potremmo provare.– disse poi, guardandoli uno ad uno –Alla fine siamo qui per farci supporto a vicenda, giusto? Siamo una squadra. Ci aiuteremo l'un l'altro. Ce la faremo sicuramente.»
Nonostante qualcuno (cioè Naoto) non fosse ancora del tutto convinto, nessuno osò andare contro la parola del loro leader.
L'intero gruppo annuì solamente, per poi portare uno ad uno il dito sul proprio bottone, aspettando indicazioni.
«Al mio tre.» annunciò Yu, sentendo su di lui lo sguardo di tutti i suoi compagni.
Poteva percepire Yosuke tremare al suo fianco, mentre Rise e Teddie non stavano chiaramente più nella pelle.
«Uno.»
Chie e Yukiko deglutirono, quasi simultaneamente.
«Due.»
Naoto chiuse gli occhi, come per non osservare più ciò che stava per fare e Yu vide invece che Kanji aveva spostato il suo sguardo su di lei.
«Tre.»
Click.
Gli otto bottoni furono premuti contemporaneamente, ognuno dal suo proprietario.
Yu osservò il piccolo schermo del suo contatore illuminarsi per iniziare il conto alla rovescia.
E fu allora che accadde.
Biiiiiiiiiiiip!
Un suono acuto arrivò dagli otto contatori, facendo trasalire i ragazzi.
Yu sentì il suo sangue gelarsi nelle vene, quando notò cosa era apparso sul suo contatore.
"0 s".
Il ragazzo alzò immediatamente lo sguardo e vide riflesso negli occhi dei suoi compagni lo stesso terrore che stava provando lui in quel momento.
Tutti rimasero in silenzio, continuando a guardarsi uno ad uno, cercando di capire chi di loro fosse la loro anima gemella e chi no.
Poi...
«Pffft.»
La prima a partire fu Yukiko.
Una fortissima risata uscì dalle sue labbra e la ragazza si trovò presto piegata in due, le lacrime agli occhi da quanto quella situazione assurda la stava facendo ridere.
«Senpai, lo sapevo che eravamo destinati a stare insieme!»
«Senseiiiii! Sono così felice che tu sia la mia anima gemella!»
«Partner, cosa vuol dire questo?!»
Yu si voltò immediatamente verso Rise, Teddie e Yosuke che, contemporaneamente, avevano preso la parola e si erano rivolti a lui.
Il ragazzo non fece neanche in tempo a rispondere che un botto arrivò dalla sua sinistra e il leader si voltò, solo per vedere Kanji che aveva colpito con forza il tavolo.
«Cosa cazzo significa?!» urlò.
«Kanji-kun!– Chie, che stava cercando di calmare Yukiko, si voltò verso il suo compagno più giovane –Non perdere la calma, adesso troveremo sicuramente una soluzione.»
«Non c'è nessuna soluzione. Adesso non scopriremo mai chi è l'anima gemella di chi.»
La voce lapidaria di Naoto li bloccò e il silenzio – a parte per le continue risate di Yukiko – calò nel gruppo.
E, mentre tutti gli sguardi si posavano su di lui, Yu si chiese perché aveva anche solo pensato che le cose potessero andare nel verso giusto.
Tokyo, Giappone
31 luglio 2011
 
Rise Kujikawa era in ritardo, terribilmente in ritardo.
Non che quella fosse una novità, anzi, era capitato fin troppe volte nella sua carriera: la idol era stata spesso sgridata per non essersi presentata alle prove in orario, per aver ritardato interviste o, in altri casi, per essere arrivata in ritardo addirittura ad uno dei suoi concerti.
Ma niente era paragonabile al danno che aveva combinato in quel momento.
"Inoue-san mi ucciderà!" pensò la ragazza mentre sfrecciava dentro l'aeroporto di Tokyo, trascinando un'enorme valigia dietro di lei e cercando di schivare tutte le persone che erano sul suo cammino. Il suo volo.
Il suo volo per New York sarebbe partito nel giro di pochi minuti e lei stava seriamente rischiando di perderlo.
E pensare che aveva fatto di tutto per arrivare in tempo.
Quel pomeriggio, subito dopo le prove, si era fatta accompagnare dal suo manager all'aeroporto, ben cinque ore in anticipo rispetto al suo volo.
Si era messa gli occhiali da sole per non essere riconosciuta, aveva fatto il check-in, si era seduta in sala d'attesa...
...e si era addormentata; per poi ritrovare, al suo risveglio, più di cinquanta chiamate perse e una quarantina di messaggi.
Non appena quel ricordo le sfiorò la mente, Rise aumentò la sua velocità, ignorando le fitte che il fianco continuava a lanciarle ogni volta che metteva un piede a terra.
Qualcuno doveva averla riconosciuta, visto che aveva sentito chiamare il suo nome ma, per quanto le dispiacesse, non aveva proprio tempo per fermarsi a fare autografi.
Alzò il polso sinistro, portandolo di fronte al volto.
Le 21:35.
Aveva dieci minuti.
Poteva farcel-
Un urletto sorpreso lasciò le sue labbra quando Rise si ritrovò seduta a terra, dopo aver sbattuto contro una persona che stava correndo nella direzione opposta alla sua.
«Scusami! Ti sei fatta male?»
La idol alzò lo sguardo, visualizzando solo in quel momento la figura che si trovava davanti a lei.
Era una ragazza che doveva avere più o meno la sua età, al massimo due o tre anni più di lei.
I capelli di un colore castano chiaro le incorniciavano il viso, i cui lineamenti più significativi erano nascosti però da due enormi occhiali da sole rosa attraverso i quali si intravedevano appena gli occhi preoccupati che erano puntati su di lei.
Nonostante non la conoscesse, Rise ebbe la sensazione di averla già vista prima.
«No, sto bene.» rispose frettolosamente, ricordandosi improvvisamente della situazione in cui si trovava.
Non aveva assolutamente tempo.
Doveva correre al gate.
La ragazza di fronte a lei le tese una mano, per aiutarla ad alzarsi.
La idol l'afferrò immediatamente, aprendo le labbra per scusarsi a sua volta prima di ricominciare a correre; ma niente uscì da queste.
Una fortissima fitta di dolore si sprigionò nella sua testa e Rise perse nuovamente l'equilibrio.
Chiuse gli occhi, mentre il suo corpo cadeva nuovamente all'indietro.
Quando toccò il suolo però, il suo sedere si è posò su qualcosa di molto più morbido del pavimento freddo dell'aeroporto.
Poi, silenzio.
Ogni singolo rumore che fino a poco prima animava quel luogo era completamente scomparso.
Il brusio delle persone che parlavano, i continui annunci del personale, il rumore delle valigie trascinate sul marmo...
Niente di tutto questo giungeva più alle orecchie della idol.
La ragazza aprì gli occhi, mentre un leggero brivido le correva lungo la schiena.
Il sangue le si gelò nelle vene quando notò che il luogo in cui si trovava era completamente diverso da quel corridoio in cui stava correndo poco prima.
Anzi, non era neanche sicura di trovarsi all'aeroporto.
La stanza in cui si era ritrovata buia, illuminata solo da poche candele disposte vicino alle pareti.
Tutto di fronte a lei era completamente avvolto dalle ombre, impedendogli di vedere ciò che si trovava all'interno di quel luogo.
Rise fece per alzarsi dal divano di velluto blu (come ci era finita lì sopra?) su cui era seduta, quando una melodia attirò la sua attenzione.
La ragazza si voltò verso la sua sinistra, cercando di capire da dove quel meraviglioso suono provenisse.
E fu in quel momento che la vide.
Una bambina vestita completamente di blu si trovava a pochi metri da lei, seduta di fronte ad un enorme pianoforte.
I suoi capelli argentei le ricadevano sulle spalle e le nascondevano il viso di cui si intravedano solo due grandi occhi dorati.
Rise aprì le labbra per domandarle dove si trovassero, ma niente uscì da esse.
Era come se le sue corde vocali fossero completamente sparite dalla sua gola, impedendo a qualsiasi suono di fuoriuscirne.
Nel frattempo, la bambina non sembrava essersi ancora resa conto di lei.
Continuava a premere i tasti del pianoforte con così tanta delicatezza che la idol si chiese come fosse anche solo possibile che quello strumento stesse seriamente suonando.
Poi, improvvisamente, i suoi occhi si chiusero e dalle sue labbra rosee iniziò a fuoriuscire un soave canto.
Non appena la prima nota raggiunse le sue orecchie, Rise sentì il cuore stringersi nel suo petto, senza che lei riuscisse sul serio a capirne il motivo.
Non aveva mai sentito niente del genere.
Era come se quella voce cristallina stesse sfiorando la sua stessa anima, con la stessa delicatezza con cui le sottili dita di quella bambina continuavano a suonare il pianoforte.
Un'immensa sensazione di pace e nostalgia la travolse e la ragazza non poté far altro che lasciarsi trascinare da quel melodioso canto.
Ad ogni nota che veniva intonata, Rise poteva sentire il suo intero corpo tremare, mentre portava una mano sinistra al petto, a stringersi con forza la camicia che stava indossando.
Un qualcosa di caldo le scivolò lungo la guancia e lei portò la mano libera al viso, cercando di capire cosa le stesse capitando.
Una lacrima.
Stava piangendo...
Poi, come tutto era iniziato, finì.
La bambina concluse il suo canto e, mentre allontanava lentamente le sue dita dai tasti del pianoforte, il silenzio tornò a regnare nella stanza.
Solo quando gli occhi dorati si rivolsero nella sua direzione, Rise si rese conto di essere stata fino immobile fino a quel momento, ad osservare quell'esile figura che ora la stava scrutando.
Un fortissimo brivido le corse lungo la schiena quando le labbra rosee della bambina si piegarono in un sorriso.
«Benvenuta nella Velvet Room.»
 
«Rise-chan! Mi senti?»
Quando gli occhi di Rise si aprirono nuovamente, la bambina dai capelli d'argento e la stanza blu di poco prima erano completamente spariti.
Ciò che riusciva a vedere ora era un soffitto alto e molto lontano da lei, pieno di luci che, in un primo momento, rischiarono di accecarla.
«Rise-chan!»
La ragazza si voltò verso la figura al suo fianco, cercando di mettere a fuoco chi fosse.
«Inoue-san...?» sussurrò, quando riconobbe il suo manager.
L'uomo si sistemò gli occhiali e lasciò andare un sospiro di sollievo.
«Sì, sono io.– rispose, aiutandola a mettersi seduta –Non ti vedevo arrivare e quindi sono venuto a cercarti. Non pensavo certo di trovarti in queste condizioni comunque...»
Fu solo in quel momento che Rise si rese conto di trovarsi distesa sul pavimento dell'aeroporto.
«Meno male che stai bene, avevo paura avessi sbattuto la testa.»
Un'altra voce attirò la sua attenzione e, per un motivo a lei ignoto, la idol sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.
Alzò lo sguardo, puntandolo sulla ragazza contro cui aveva sbattuto qualche minuto prima e che adesso si trovava di fronte a lei.
Per un attimo, anche se solo per un attimo, il canto di quella bambina risuonò nuovamente nella sua mente.
«N-no.– Rise si schiarì la voce, fin troppo roca per i suoi gusti –Non preoccuparti. Sto bene.» riuscì a rispondere, distogliendo lo sguardo e guardandosi intorno.
Che fine aveva fatto quella stanza?
Come era tornata in aeroporto?
E soprattutto... chi era quella bambina?
«Grazie dell'aiuto, Takeba-san.– disse Inoue –Sei stata gentile ad aspettare fino al momento in cui Rise-chan si risvegliasse.»
La ragazza ridacchiò, nervosa.
«E' stata colpa mia dopotutto.– rispose, per poi dare uno sguardo all'orologio –Ora devo proprio andare però; sa, il mio manager non è il tipo che adora i ritardi.»
“Il suo manager?”
Rise si voltò nuovamente verso di lei, confusa.
Possibile che anche quella ragazza fosse una idol...?
«Certamente, Takeba-san.– le disse Inoue, sempre sorridendo –Anche noi dobbiamo sbrigarci, Rise-chan. Riesci a camminare?»
Fu solo in quel momento che la idol si ricordò del perché si trovassero lì.
L'aereo.
Lanciò uno sguardo all'orologio, il fiato in gola.
E fu come se il mondo le crollasse addosso.
Le 22:00.
Non ce l'aveva fatta. L'aereo era partito senza di lor–
«Oh, non preoccuparti.– la rassicurò il suo manager, come se riuscisse a leggerle nel pensiero –A causa del maltempo il volo è stato posticipato di un'ora. Quindi riusciremo a prenderlo senza problemi se iniziamo a muoverci.»
Per la prima volta da quando si trovava lì, la ragazza lasciò andare un sospiro di sollievo.
«Mi raccomando Kujikawa-san, non stancarti troppo. Ora se volete scusarmi.»
Colei che doveva essere Takeba li salutò, per poi riprendere a correre verso l'uscita dell'aeroporto.
Rise non poté fare a meno che osservarla allontanarsi, mentre continuava a domandarsi chi fosse.
Aveva un manager e il suo nome le suonava familiare, così come il suo aspetto...
«Rise-chan.– Inoue lasciò andare un sospiro, quando Takeba fu abbastanza lontana –Dovresti stare più attenta. Sbattere proprio contro Yukari Takeba...»
“Yukari Takeba...?”
...Cosa?!
«Q-quella Yukari Takeba?!» domandò la idol, portandosi una mano alla bocca.
Il suo manager la guardò, incredulo.
«Davvero non l'avevi riconosciuta?– le rispose, ridacchiando –Certo che devi aver davvero battuto una bella botta...»
Rise distolse lo sguardo, imbarazzata.
Poi, mentre il viso era ancora rosso dall'imbarazzo, si alzò in piedi e si diresse verso il gate, seguita dal suo manager che non aveva ancora smesso di sghignazzare.
 
«Sei sicura di stare bene adesso, vero?» le domandò Inoue, non appena si sedettero ai loro posti sull'aereo.
Rise annuì, spostando lo sguardo fuori dal finestrino.
In realtà, non sapeva neanche lei cosa le fosse successo.
Secondo quello che il suo manager le aveva raccontato, la ragazza era svenuta non appena aveva provato ad alzarsi.
“Devi aver battuto la testa quando sei caduta.”
Questo era quello che le era stato detto ma, per quanto potesse sembrare realistico, Rise non era per niente convinta.
Lei ricordava perfettamente come le cose fossero andate.
Quando lei e Yukari Takeba (ancora si vergognava di non averla riconosciuta) si erano scontrate, la idol era caduta all'indietro, certo, ma si era ritrovata a sedere sul pavimento e la sua testa non aveva subito alcun trauma.
“Eppure...”
...Eppure era innegabile che qualcosa fosse successo.
Rise poggiò la fronte contro il finestrino, chiudendo lentamente gli occhi.
Se si concentrava, poteva ancora sentirlo quel canto così nostalgico che l'aveva completamente stregata.
Possibile che quella fosse solo un'allucinazione?
Un sogno che aveva avuto mentre era svenuta?
O c'era qualcosa di più dietro...?
Le hostess sull'aereo iniziarono la solita spiegazione sulle uscite di sicurezza e su come utilizzare correttamente le cinture e Rise aprì gli occhi, tornando alla realtà.
«Arriveremo tra più di 13 ore, Rise-chan.– la informò Inoue, mentre afferrava il libro che aveva nello zaino –Mettiti comoda e cerca di dormire più tempo che puoi, ricordati che appena arriveremo avremo solo poche ore prima dell'inizio del concerto.»
Era vero, non aveva tempo di pensare a quella strana "visione" al momento.
Si trovava su un aereo, diretto a New York, per il suo primo concerto oltreoceano.
Doveva essere felice, non angosciata.
Doveva farlo anche per Inoue che era riuscito a concederle un'occasione del genere.
Con quel nuovo obiettivo in testa, la ragazza si rivolse verso il suo manager e annuì, mentre un sorriso si formava sulle sue labbra.
Poi, tornò a guardare fuori dal finestrino, osservando il modo in cui l'aereo partiva e si alzava in cielo, lasciandosi dietro l'aeroporto di Tokyo.
 
Le luci sull'aereo erano completamente spente.
Rise sbloccò il suo telefono cellulare, guardandone velocemente l'ora.
Erano le 23:40 passate; e lei non riusciva a dormire.
Aveva provato più volte a sistemarsi sul suo sedile a cercare di prendere sonno ma, ogni volta che chiudeva gli occhi, lo sguardo di quella bambina le tornava in mente, immediatamente seguito da quel canto e dalla sensazione di nostalgia che la travolgeva ogni volta.
Non importava quanto continuasse a ripetersi che tutto era ok, che quello che aveva vissuto quel pomeriggio era solo un sogno, che era in viaggio per New York e che doveva essere felice.
Quella bambina continuava ad apparire, svegliandola ogni singola volta.
Accanto a lei, poteva sentire Inoue dormire profondamente, così come tutti gli altri passeggeri presenti sull'aereo.
Anche quello le era sembrato strano, in realtà.
Fino a soli 30 minuti prima, Rise poteva chiaramente sentire il chiacchiericcio delle persone nei sedili intorno a lei, così come poteva intravedere tantissime luci accese.
Poi, tutto ad un tratto, era come se la gente avesse avuto un attacco di sonno collettivo.
Uno dietro l'altro, nel giro di pochi secondi, avevano spento le luci del proprio sedile e si erano messi a dormire, lasciando l'aereo nel completo silenzio in cui, adesso, anche lei si trovava.
Un silenzio, tra le altre cose, abbastanza inquietante.
La idol lanciò uno sguardo ai sedili dall'altra parte dei corridoio, gli unici che riusciva a vedere escluso quello del suo manager.
Lì, vi erano una signora e un bambino.
Il bambino si era addormentato in una posizione sicuramente scomoda per la sua schiena, piegato in avanti e con il viso rivolto verso il pavimento dove, adesso, giaceva il suo cellulare, ancora acceso.
Anche la donna non si trovava in una situazione tanto diversa: la sua posizione era certamente più composta ma il libro che stava leggendo era pericolosamente rimasto in bilico sulla sua gamba destra, mentre a terra si trovava la barretta energetica che stava mangiando prima di addormentarsi.
Era strano.
Decisamente strano.
Possibile che ci fosse davvero qualcosa di paranormale su quell'aereo...?
Rise scosse la testa, sbuffando.
Ora stava esagerando.
Quella bambina le stava facendo venire le più strane paranoie.
Poteva capitare di addormentarsi all'improvviso mentre si faceva altro e, nonostante lei non ci fosse ancora riuscita, doveva ammettere che quel volo era alquanto confortevole.
La ragazza sbloccò nuovamente il suo cellulare, afferrando con l'altra mano gli auricolari che teneva in tasca.
Se non riusciva a dormire, tanto valeva fare qualcosa di utile no?
Collegò le cuffie al telefono e aprì la galleria, cercando il video che le interessava.
Era una semplice ripresa che Inoue le aveva fatto durante le sue ultime prove, nel momento in cui stava provando la coreografia del suo nuovo singolo.
Come le aveva detto più volte il suo coach, osservare il modo in cui si ballava una coreografia e individuarne tutti gli errori era il modo migliore per evitare di farli di nuovo e visto che l'indomani avrebbe dovuto portarla sul palco per la prima volta... tanto valeva darci seriamente un occhio, no?
Così, si accomodò meglio sul sedile e iniziò a guardare il video, annotando su un piccolo block notes tutti i passi sbagliati che vedeva.
In fondo non era neanche un lavoro troppo faticoso e, incredibilmente, la stava anche aiutando a rilassarsi.
O almeno fino a quando non raggiunse il ritornello.
Dopo che la figura sullo schermo aveva fatto una semplice giravolta, infatti, la coreografia cominciò dall'inizio, lasciando completamente interdetta la idol.
La canzone, diversamente dal video, non si era riavvolta ma andava avanti come se niente fosse.
La ragazza tentò di bloccare il video, convinta ci fosse stato un errore durante la sua registrazione, ma il tasto non funzionò.
Anzi, le cose peggiorarono.
Adesso la Rise nel video stava eseguendo la coreografia al contrario, partendo dall'ultimo passo della canzone e procedendo a ritroso.
La canzone di sottofondo si era fatta più veloce, come se fosse stata velocizzata.
La idol, in tutto questo, non poteva far altro che osservare quel video completamente diverso da quello che era stato registrato quella mattina, in sala prove.
Ma quando tentò di fermarlo nuovamente, la situazione degenerò ancora.
Ora l'immagine era distorta e passava da una parte all'altra della coreografia in modo completamente casuale...
...no, era anche peggio.
Alcuni dei passi di danza che Rise stava osservando non erano neanche presenti nel ballo di quella mattina.
Molti di quelli erano pezzi di coreografie di altre sue canzoni e, in alcuni casi, erano passi che lei non aveva neanche mai visto prima, figurarsi aver ballato!
Anche la canzone si era fatta distorta.
Le parole erano diventati irriconoscibili, così come la musica di sottofondo.
Poi un nuovo suono giunse alle sue orecchie e Rise alzò leggermente il volume della canzone, per cercare di captarlo.
Il sangue le si gelò nelle vene quando riconobbe il canto della bambina.
La ragazza portò una mano al filo degli auricolari, pronto a toglierli completamente quando un ulteriore dettaglio attirò la sua attenzione.
La se stessa nel video si era adesso fermata e aveva iniziato a togliersi i vestiti che aveva indosso.
Rise alzò un sopracciglio, non riuscendo minimamente a capire come fosse possibile che la sua figura nello schermo avesse adesso indosso solo un costume da bagno.
Poi, la Rise del video alzò il viso, puntandolo dritto verso la telecamera.
Il suo volto era piegato in un sorriso molto poco rassicurante, un'espressione che la idol non si era mai vista fare fino ad allora.
Ma non era certo questo ciò che più la turbava.
I suoi occhi.
I suoi occhi erano gialli.
Una fortissima turbolenza scosse l'aeroplano e nello stesso momento il telefono di Rise si spense, mentre le ultime note di quella canzone che per tutto il giorno l'avevano perseguitava si propagavano dagli auricolari.
La idol si tolse immediatamente le cuffie, portando le mani ai braccioli al lati del suo seggiolino e stringendoli con forza, mentre tutto l'aereo iniziava a tremare.
Guardò fuori dal finestrino, cercando di capire cosa poteva star succedendo.
Un qualcosa di bianco si posò sul vetro, per poi scivolare lungo di esso.
Neve.
Stava nevicando.
Quel pensiero non riuscì a registrarsi nella sua mente che tutte le luci iniziarono ad accendersi e spegnersi, come se fossero impazzite.
Nel frattempo, l'aereo tremava sempre di più, come se si trovasse nel bel mezzo di una tempesta, e Rise iniziò a scuotere il braccio del suo manager e a chiamare il suo nome.
Ma Inoue non si svegliò.
Non importava quanto continuasse a urlare o a scuoterlo, l'uomo continuava a dormire il suo sonno profondo, come se niente stesse accadendo.
E non era l'unico.
Rise si guardò velocemente intorno, cercando in tutti i modi di attirare l'attenzione dei presenti.
Nessuno stava urlando con lei.
Nessuno si stava agitando.
Erano tutti profondamente addormentati, come se il viaggio fosse ancora confortevole come all'inizio.
La ragazza afferrò il piccolo telecomando alla sinistra del suo seggiolino e iniziò a premere il bottone di chiamata per le hostess.
Ma nessuno arrivò.
«C'è nessuno?!» urlò la idol, in preda al panico, alzandosi dal suo sedile e osservandosi meglio intorno.
Non fece neanche in tempo a osservare il sedile davanti al suo che un'altra fortissima turbolenza le fece perdere l'equilibrio e Rise cadde sulle ginocchia del suo manager, superandolo e atterrando nel piccolo corridoio dell'aereo.
Il suo cellulare scivolò dalle sue mani e cadde di fronte a lei, accedendosi nuovamente.
Lì, con lo stesso sorriso inquietante di prima, si trovava la Rise del video.
La idol tentò di alzarsi, ma un altro scossone la ributtò a terra, facendole nuovamente osservare lo schermo del suo telefono che ora mostrava qualcos'altro. L'ora.
Era la mezzanotte del primo agosto.
Poi, il telefono emise un fortissimo bagliore che la investì, mentre altre fortissime turbolenze scuotevano l'aeroplano.
Rise tentò di urlare, ma nessun suono uscì dalle sue labbra.
Poi, le luci dell'aereo si spensero e le turbolenze finirono.
Lo schermo del telefonino torno sulla schermata del video, messo in pausa poco prima del ritornello.
I passeggeri continuarono a dormire mentre l'aereo proseguiva, tranquillamente nel suo volo.
Il corridoio, così come il sedile accanto a Inoue, era vuoto.
 

Wrong Lie

Aug. 10th, 2019 11:37 pm
Fandom: Persona 4
Titolo: Wrong Lie

18 giugno 2013, ore 10:30
«Domani partiremo per il campeggio annuale della Yasogami High. Nonostante la trovi una grande perdita di tempo, adesso vi dirò come siete stati divisi in gruppi.»
Quando la professoressa Kashiwagi aveva pronunciato quelle parole, Naoto aveva fatto scivolare lo sguardo fuori dal finestrino, smettendo completamente di ascoltare.
Aveva già avvertito la scuola che non sarebbe potuta andare, inventandosi un impegno lavorativo inesistente, così come aveva fatto l'anno prima quando era in seconda.
Dopotutto, che senso aveva partecipare a quella stupida gita?
Il campeggio non era mai stato un suo forte.
Gli insetti, dormire accampati all'esterno, dover cucinare per un intero gruppo di persone...
No, era decisamente un qualcosa che preferiva evitare.
«Il terzo gruppo sarà formato da...» iniziò Kashiwagi, il tono di voce alto come al solito.
Fin da bambina, quando suo nonno aveva provato a portarla a fare delle escursioni in montagna, Naoto aveva capito che quelle vacanze all'aria aperta non facevano proprio per lei.
«...Kujikawa...»
E se aveva trovato noioso fare un'esperienza del genere con suo nonno, come poteva anche solo pensare di potersi divertire con la sua classe?
«...Tatsumi...»
Soprattutto con una persona come Rise intorno.
Per quanto le volesse bene, dover condividere la tenda con una persona come lei era forse il suo peggior incu-
«...e Shirogane.»
Naoto sussultò visivamente, voltandosi di scatto verso la sua coordinatrice di classe, che era adesso passata a leggere i nomi degli studenti del quarto gruppo.
Possibile che avesse sentito bene?
La detective si guardò intorno, ripassando mentalmente tutti i cognomi dei suoi compagni di classe.
No, non c'erano dubbi.
Nessuno di loro aveva un cognome così simile al suo da poterla confondere a quel modo.
Doveva esserci un errore.
La ragazza si mise sull'attenti, pronta ad alzare il braccio ed ad attirare l'attenzione della professoressa quando un brivido le corse lungo la schiena.
Si voltò alla sua sinistra, sperando con tutta se stessa che il brutto presentimento che aveva appena avuto fosse in realtà falso.
E fu in quel momento che la vide.
Rise, seduta dall'altra parte della stanza, la stava guardando con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
 
18 giugno 2013, ore 13:46
«Come ti è venuto in mente?!»
Rise alzò lo sguardo, puntandolo sulla ragazza che aveva appena sbattuto la mano sul suo banco.
«Buongiorno anche a te, Naot-»
«Rise, non ignorare la mia domanda!» la interruppe immediatamente l'altra, il tono della voce molto più alto del solito.
La idol trattenne una risatina, mentre, con suo grande divertimento, mostrava alla sua amica lo sguardo più perplesso che poteva.
«Non capisco di cosa stai parlando.– disse, utilizzando le sue migliori doti di recitazione –E ci stanno guardando tutti, non potresti abbassare la voce?»
Ma, per quanto fosse brava, Naoto non parve minimamente cadere nel suo tranello.
Nonostante questo, la detective fece un respiro profondo e Rise non poté che trovare terribilmente carino e divertente il modo in cui la ragazza cercasse di mostrarsi tranquilla.
«Sto parlando della gita, Rise.– disse poi, tornando ad utilizzare il suo solito tono –Sei stata tu a dire a Kashiwagi che avrei partecipato, vero?»
«Io? Io non potevo farlo.– rispose prontamente l'altra, continuando la sua recita –Dopotutto il foglio dovevi firmarlo tu.»
Silenzio.
La detective sembrò vacillare per un secondo, come se qualcosa non le tornasse.
Rise continuò a osservarla mentre lei si mordeva il labbro inferiore, così come faceva ogni volta che pensava alla soluzione di un'enigma.
Poi i suoi occhi si illuminarono.
«Rise.» disse Naoto, il tono tremante, come se lei non fosse in grado di trattenersi completamente.
«Sì, Naoto?»
«Hai firmato al posto mio?!» esclamò, la rabbia ben udibile nella sua voce.
La idol non riuscì a trattenere la risatina che fuggì dalle sue labbra.
«Forse.»
«Cosa vuol dire "forse"?! E' illegale!»
Adesso sì che tutta la classe le stava guardando.
Quando Rise glielo fece nuovamente notare, Naoto arrossì leggermente, afferrandola per il braccio e facendola alzare dal suo posto per trascinarla fuori, lontano dagli sguardi degli altri.
«Naoto, mi fai male.~» scherzò la idol, non resistendo alla tentazione di prendere in giro la sua amica.
La detective le lanciò un'occhiataccia di rimando ma, nonostante ciò, allentò leggermente la presa, mentre si dirigeva con passi decisi verso i gradini che conducevano al tetto della scuola.
«Quindi, sei stata tu o no?» le domandò, una volta chiusa la porta.
Rise ebbe l'impulso di continuare a giocare con lei ma, quando vide lo sguardo serio di Naoto, capì che era meglio smetterla.
«Ok, ok.– rispose, lasciando andare un (finto) sospiro –Sono stata io. Ma prima che t–»
«Rise!» la interruppe immediatamente l'altra.
La idol sbuffò.
«Posso finire di parl–»
«Andiamo da Kashiwagi, dobbiamo immediatamente spiegarle la situazione.» disse Naoto, rendendo vano anche il secondo tentativo della sua amica di finire il suo discorso.
Rise tentò di protestare, ma la detective si stava già dirigendo verso la porta che poco prima avevano attraversato.
Doveva assolutamente fermarla.
«Na–»
«Non posso crederci che tu abbia fatto una cosa simile.»
«Nao–»
«Ma io dico, come ti è saltato in mente?! Lo sai che odio questo tipo di git–»
«Me lo ha chiesto Kanji!» mentì Rise, cercando in tutti i modi una scusa per non farla andare dalla professoressa.
Ma, quando vide lo sguardo incredulo che Naoto le stava rivolgendo, la idol pensò che, forse, aveva scelto la bugia sbagliata.
 
19 giugno 2013, ore 02:34
Kanji osservava il soffitto buio della sua stanza, senza che il sonno prendesse il sopravvento.
"«Il terzo gruppo sarà formato da Kujikawa, Tatsumi e Shirogane»"
Le parole della professoressa Kashiwagi continuavano a tornargli in mente, impedendogli di chiudere occhio.
Quando il nome di Naoto era stato pronunciato, il ragazzo aveva pensato che ci fosse stato un errore.
Naoto gli aveva detto più volte che non avrebbe partecipato a quella gita e lui, per quanto a malincuore, aveva accettato la sua decisione.
Dopotutto, lei non era mai stata il tipo a cui erano piaciute quelle cose.
L'unica volta in cui lui l'aveva vista partecipare ad una gita scolastica era stato due anni prima, a Port Island.
Ma in quel caso la situazione era diversa: Kanji sapeva che Naoto aveva deciso di andare solo per portare avanti le sue indagini sul caso e interrogarli in un momento di maggiore debolezza.
Adesso, da quello che lui sapeva, non vi erano casi a cui lei stesse lavorando.
O, almeno, nessun caso su cui potesse indagare durante quel campeggio.
“Ma allora perché ha deciso di venire?”
Il ragazzo si rigirò nel futon, cercando una risposta a quella domanda che lo stava ormai tormentando da quella mattina.
No, lui in realtà una risposta l'aveva trovata.
Solo non voleva accettarla.
"«Il terzo gruppo sarà formato da Kujikawa, Tatsumi e Shirogane»"
Quando quelle parole si ripeterono per l'ennesima volta nella sua mente, Kanji si alzò dal futon, afferrando il suo telefonino e aprendo la sua chat con Rise.
Aveva bisogno di risposte.
Non poteva andare avanti così.
 
Kanji Tatsumi:
  Perché Naoto ha deciso di venire in gita con noi?
Solo in quel momento il ragazzo si rese conto dell'orario.
Molto probabilmente Rise stava già dormendo.
Kanji sbuffò, riponendo il telefonino al suo posto.
Era tutto inutile.
Non avrebbe mai ottenuto una risp–
Il telefono non fece in tempo a smettere di vibrare che già si trovava nelle sue mani.

Rise Kujikawa:
  Kanji!!! Ti sembra l'ora di scrivermi?  (TДT)
  Cmq xk vuole stare con una persona!! A dmn <3!
  ヽ(o♡o)/
 
Il ragazzo ci mise un attimo a decifrare il messaggio appena ottenuto.
Poi, fu come se il mondo gli fosse crollato addosso.
Si distese nuovamente sul futon, lasciando andare il telefono sul pavimento.
La sua paura era fondata.
A Naoto piaceva qualcuno.
 
19 giugno 2013, ore 07:30
Naoto non aveva chiuso occhio.
Tutta l'ansia che aveva riguardo quello stupidissimo campeggio era esponenzialmente aumentata nel momento in cui Rise le aveva rivelato il motivo per cui l'aveva iscritta di nascosto e, adesso lei non riusciva a pensare ad altro.
La ragazza si sporse verso il piccolo corridoio del bus su cui si trovava, spiando velocemente uno dei posti poco dietro il suo.
Kanji era seduto lì e, dalle profonde occhiaie che si trovavano sotto i suoi occhi, neanche lui doveva essere riuscito a dormire poi più di tanto.
E Naoto odiava non capirne il motivo.
“«Kanji ci teneva molto che tu venissi, per questo ha insistito»”
Quando le parole che Rise le aveva detto il giorno prima le tornarono in mente, la ragazza sentì le sue guance andare in fiamme e si sistemò nuovamente nel suo posto, stando attenta a non farsi vedere da nessuno dei suoi compagni di classe.
Possibile che Kanji volesse stare con lei in quella gita così tanto da chiederlo a Rise?
Perché desiderava che lei fosse presente?
Possibile che...
“...che io gli piaccia?”
Naoto scosse con forza la testa, le guance che le andavano in fiamme.
No.
Doveva esserci un errore.
In quegli anni, Kanji non aveva mai dato segni di essere innamorato di lei.
Lei era un detective.
Era il suo lavoro scoprire cosa passasse per la testa delle persone.
Sicuramente se ne sarebbe resa conto prima.
“Questo vuol dire che...”
Naoto si voltò immediatamente alla sua sinistra, posando lo sguardo sulla ragazza che, seduta tranquillamente nel posto accanto al suo, stava mangiando dei pocky alla fragola.
Certo.
Tutto tornava adesso.
Se Kanji voleva che anche lei andasse in gita con loro, era sicuramente perché non voleva stare solo con Rise.
E questo significava che...
“A Kanji piace Rise?!”
«Naoto? Ti senti male?»
Quando la sua amica chiamò il suo nome, Naoto sussultò visivamente, riscuotendosi dai suoi pensieri.
«No, sto bene.– rispose la detective, distogliendo immediatamente lo sguardo dal viso preoccupato di Rise –Scusami, ero solo assorta nei miei pensieri.»
Non poteva far trapelare niente.
Non sarebbe stato giusto nei confronti di Kanji.
Se lui aveva richiesto il suo aiuto, allora era compito suo aiutarlo.
Con quel pensiero in testa, Naoto tornò a leggere il libro che poco prima aveva aperto sulle sue ginocchia, senza rendersi conto dello sguardo indagatore con cui Rise continuava a guardarla.
 
19 giugno 2013, ore 13:58
La situazione era sicuramente fuggita di mano.
Tutto il piano che Rise aveva messo su per la loro ultima gita insieme si era completamente distrutto nel momento in cui il bus era arrivato a destinazione.
Neanche un secondo dopo il momento in cui i suoi piedi avevano toccato il terreno fangoso dei boschi intorno Inaba, la idol aveva perso di vista Kanji e non era più riuscita a trovarlo.
Aveva anche provato a chiedere agli altri studenti, ma nessuno pareva averlo visto.
Senza lasciarsi prendere dalla malinconia, la ragazza era allora tornata da Naoto, decisa a passare il tempo almeno con la sua migliore amica...
...tentativo che si era, però, rivelato vano.
Rise sbuffò, mentre con la coda dell'occhio osservava la detective che, poco lontano da lei, stava tagliando le verdure necessarie per cucinare il curry, sul piccolo tagliere che si erano portati dietro.
Naoto era... strana.
La idol non sapeva cosa fosse successo, ma era da quando si trovavano sull'autobus che la sua amica si comportava in modo decisamente non "da Naoto".
Ogni tentativo di conversazione non era andato a segno.
Qualsiasi cosa Rise le dicesse, era come se lei non la sentisse nemmeno.
La detective era completamente assorta nei suoi pensieri, senza che ci fosse alcun modo per attirare la sua attenzione.
“Non mi ha nemmeno sgridata quando ho fatto quelle battutine, poco fa...”
La ragazza tornò ad osservare il grosso pentolone che aveva di fronte a lei e ricominciò a mescolarne il contenuto (che tutto sembrava, fuorché curry) con il mestolo nella sua mano, mentre un piccolo lamento usciva dalle sue labbra.
Quella non era il campeggio che aveva sognato.
Visto che quella era la loro ultima gita insieme, la idol voleva passarla con i suoi due amici, in modo da costruire delle memorie che avrebbe potuto ricordare per sempre.
Ciò che aveva ottenuto fino a quel momento erano solo chiacchierate a senso unico.
Per l'ennesima volta da quando avevano iniziato a cucinare, la ragazza sbuffò.
Forse era lei quella che continuava a farsi troppi problemi.
Magari Kanji voleva semplicemente andare a parlare con Naoki.
E, magari, Naoto aveva per la testa uno dei suoi casi.
Era stata lei a costringerla a venire dopotutto.
Forse aveva davvero del lavoro da fare e questo poteva averle creato problemi.
E a proposito di lavoro...
«Naoto, hai finito con quelle verdure?» domandò la idol, tornando a osservare la sua amica.
Quando la chiamò, la detective sussultò visivamente, a dimostrazione del fatto che qualcosa la tormentava.
«Sì, scusami.– rispose dopo un secondo di silenzio, dirigendosi verso di lei, il tagliere nella mano sinistra –Anche se... credo di avere esagerato...»
E, mentre gli occhi di Rise osservavano la strana poltiglia che era rimasta di quelle che dovevano essere le loro verdure, la idol non poté che convincersi che, alla fine, la situazione le stava davvero fuggendo di mano.
 
19 giugno 2013, ore 15:03
Niente.
Kanji lasciò uscire un forte sospiro dalle sue labbra.
Aveva domandato a tutti.
Ma...
“Possibile che nessuno sappia chi sia il tizio che piace a Naoto?”
In realtà non era che la cosa lo sorprendesse più di tanto.
Naoto era da sempre stata una ragazza molto riservata e capire cosa le passasse per la testa non era certo facile.
Soprattutto per persone che non la conoscevano molto...
«Kanji!»
La voce squillante di Rise attirò la sua attenzione e il ragazzo alzò lo sguardo, puntandolo sulla idol.
...? Perché aveva quell'aria arrabbiata?
«Rise...?»
«Si può sapere dove eri finito?!– la ragazza lo afferrò per il braccio, iniziando a strattonarlo –Io e Naoto abbiamo finito di cucinare ormai da un pezzo! Il pranzo era alle due, non ricordi?!»
Kanji la guardò interdetto, non capendo neanche di cosa stesse parlando.
«Il pranzo?»
Rise lo fulminò con lo sguardo.
«Sì.– rispose, la rabbia ben udibile nel suo tono di voce –Il pranzo che io e Naoto abbiamo cucinato. Da sole. Visto che tu sei scappato non so dove!»
Fu in quel momento che il ragazzo si ricordò dove fossero.
Il sangue gli si gelò nelle vene, quando guardò l'ora sull'orologio che aveva sul polso.
Cazzo.
Questa volta l'aveva fatta grossa.
«Rise, mi di–»
«Non scusarti.– esclamò Rise, lasciandolo andare –E' da prima che sento solo gente che mi chiede scusa. Naoto non fa che ripetere altro. Sono stufa.»
Kanji la guardò, interdetto.
«Perché Naoto ti chiede scusa?» domandò.
La idol lasciò andare una risatina isterica, chiaramente diversa da quelle che solitamente lasciavano le sue labbra.
«Non lo so.– rispose, alzando le spalle –Non ne ho idea, ok? Ha la testa tra le nuvole da quando siamo arrivati. Ogni volta che cerco di chiederle cosa sta succedendo lei non mi risponde e, quando lo fa, dice cose incomprensibili e mi chiede scusa. Mentre taglia– no, maciullava le verdure si è quasi portata via un dito e cosa mi ha detto? "Scusa". Io non capisco veramente quale sia il problema.» concluse, senza neanche darsi il tempo di riprendere fiato.
Ma Kanji non la stava più ascoltando.
Possibile che Naoto fosse innamorata al punto da non riuscire neanche più a ragionare come al suo solito?
«Kanji...?»
Se era così...
«Kanji, mi stai ascoltando?»
...la situazione era ancora più grave del previsto.
«Kan–»
«Dimmi di chi è innamorata Naoto, Rise!» esclamò il ragazzo, afferrando la idol per le spalle.
 
19 giugno 2013, ore 15:05
“Ma è davvero possibile che Rise non si sia accorta che Kanji provi qualcosa per lei?”
Naoto si trovava a sedere sul tavolo a loro assegnato, il pentolone ormai freddo di curry poggiato di fronte a lei, mentre con lentezza si portava il cucchiaio alla bocca.
Nonostante non sapesse il perché, era da quella mattina che non riusciva a pensare ad altro.
Ogni volta che cercava di distogliere l'attenzione dai problemi d'amore dei suoi due amici, un altro possibile scenario le veniva in mente e la detective iniziava a rimuginare su ogni piccolo particolare, cercando una via d'uscita da quel gomitolo di sentimenti che si era creato nella sua mente.
L'unica cosa certa era che a Kanji piacesse Rise.
Più ci pensava e più i tasselli di quel puzzle andavano al loro posto.
Il modo in cui il ragazzo balbettava o si comportava quando c'erano loro; il modo in cui le guardava; il modo in cui arrossiva quando lei e Rise gli rivolgevano la parola...
A pensarci bene, anche il fatto che Kanji fosse scomparso non appena erano arrivati nel bosco era sicuramente un indizio utile.
Ciò che Rise provasse per lui, invece, restava un mistero.
Certo, mentre preparavano il curry poco prima, la idol aveva parlato spesso di lui, ma questo bastava veramente a dimostrare qualcosa?
In più, la ragazza aveva messo più volte in luce il suo interesse verso il loro Senpai, e continuava a farlo tuttora, anche se erano passati anni.
Era forse per questo che Kanji voleva il suo aiuto? Per farle dimenticare Yu?
Naoto scosse la testa e portò nuovamente il cucchiaio alle labbra, inserendo nella sua bocca un'altra boccone del riso al curry che avevano preparato.
Non poteva passare l'intera gita a pensare a quelle cose.
Doveva parlare con il diretto interessato, così da chiarire il modo in cui doveva muoversi.
Sì, quella era senz'altro un'ottima idea.
La detective portò l'ultimo boccone del curry rimasto alle labbra, rendendosi conto solo in quel momento di aver finito il suo intero piatto.
Dannazione.
Aveva promesso a Rise che l'avrebbe aspettata e, invece, senza neanche rendersene conto, aveva iniziato a mangiare.
Forse era meglio se smetteva di perdersi così tanto nei suoi pensieri e se, dopo, chiedeva scusa alla sua amica...
«Muoviti.»
La voce della diretta arrivò alle sue orecchie e Naoto alzò lo sguardo, trovandosi di fronte una scena a dir poco surreale.
Rise si stava avvicinando a grandi passi verso il tavolo su cui lei era seduta, trascinando per il braccio un Kanji apparentemente nel panico.
Il sangue della detective le si gelò nelle vene.
Possibile che il ragazzo si fosse dichiaro e la dichiarazione non fosse andata a buon fine?
La ragazza si alzò, pronta ad andare incontro ai suoi due amici.
Doveva dargli una mano.
Dopotutto l'aveva chiamata lì per quell–
«Tu non ti muovere e rimettiti seduta.»
Il tono di voce di Rise era completamente diverso dal solito e ogni muscolo di Naoto si bloccò sul posto.
Che stava succedendo?
Possibile che avesse scoperto tutto...?
«Rise, cosa stai facendo?» protestò Kanji, quando la idol lo spinse verso il tavolo.
«Voi due dovete parlare.– rispose lei, gesticolando –Non vi sopporto più, è da prima che vi comportate in modo strano!»
Naoto non riusciva più a capire cosa stesse succedendo.
«Rise, scusam–»
«Tu non dirlo!– esclamò la idol, esasperata –Basta scusarsi. Vi prego. Parlate.– continuò poi, afferrando il suo piatto di curry –Io vado a mangiare all'altro tavolo, quello laggiù. Quando ho finito voglio che questo enorme equivoco sia risolto e che voi due vi mettiate d'accordo. Sono stata chiara?!»
Poi, senza lasciare neanche il tempo agli altri due di rispondere, Rise si incamminò verso l'altro tavolo.
 
19 giugno 2013, ore 15:34
Rise si sedette al tavolo, sbattendo con forza il curry sul piano di legno.
Non ne poteva più.
Tutta la sua pazienza aveva ormai raggiunto il limite e la ragazza aveva agito di impulso.
Lanciò uno sguardo ai due suoi amici seduti poco lontano da lei che, confusi, avevano iniziato a parlare l'uno con l'altro.
“Speriamo che questo metta fine alle loro stranezze.” pensò, inserendo il cucchiaio nel curry.
Anche se solo a grandi linee, la ragazza aveva più o meno capito cosa era successo.
Entrambi i suoi amici dovevano aver preso un enorme granchio e, ora, non riuscivano a trovare una soluzione.
«Io non sono innamorata!»
L'urlo di Naoto arrivò alle sue orecchie.
Bene, questa era la parte della storia che già sapeva.
«Sei tu ad esserlo!» continuò la detective.
Ecco la parte che le mancava.
La idol si voltò nuovamente verso i suoi due compagni, mentre si portava il cucchiaio di curry alle labbra.
«Io?!– gridò di rimando Kanji, incurante del fatto che lei riuscisse benissimo a sentirli –D-di chi sarei innamorato io?!»
Naoto fece un gesto con la testa, ma il ragazzo non sembrò capire.
Rise assottigliò lo sguardo, osservando il modo in cui Naoto si stava muovendo.
«Cosa?!– l'urlo di Kanji fu così potente da far scappare un piccolo gruppo di uccellini che si era posato sui rami di un albero lì vicino –Come può piacermi Rise?!»
«Eh? Ma quindi non è lei?» Naoto sembrava chiaramente sorpresa.
...
Rise si voltò nuovamente verso il piatto di fronte a lei, portando un altro boccone alle labbra.
Quei due avevano problemi seri se erano riusciti a creare un equivoco così grosso.
«Ma allora perché hai chiesto a Rise di iscrivermi alla gita di nascosto?»
I movimenti della ragazza si bloccarono completamente.
«EH?! Io non le ho chiesto niente! Mi ha detto che hai deciso di venire perché c'era una "persona".»
“Oh, oh...”
«RISE!»
Quando i due urlarono il suo nome, Rise si voltò nuovamente verso di loro.
«Potrei aver detto una piccola bugia...» disse, mentre sentiva un brivido correrle lungo la schiena.
Già.
Quella che aveva detto il giorno prima, era stata sicuramente la bugia sbagliata.
 QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Protectiveness, physically or verbally defending someone
NUMERO PAROLE: 4180

PERSONAGGI: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi, Tohru Adachi, Rise Kujikawa, Ryotaro Dojima, altri
COPPIE: NaotoxAdachi, NaotoxKanji
AVVERTIMENTI: Soulmate!AU dove non si vedono i colori prima di incontrare la propria anima gemella; UnderAge.


Era ormai passato un mese da quando il corpo di Chie Satonaka era stata ritrovato appeso al cancello del cimitero.
Da allora ci furono altre tre notti piovose ad Inaba e, in tutti e tre i casi, gli agenti di polizia che venivano comunque mandati ad ispezionare le strade non riuscivano mai a fermare l'assassino.
Seduta al tavolo della cucina, Naoto osservava uno dei sette fascicoli che aveva sul tavolo di fronte a lei, uno per ogni vittima che, in quell'arco di tempo, aumentava il numero di uccisioni avvenute.
Dopo Chie Satonaka, ad essere stata presa di mira fu la professoressa Kashiwagi, la coordinatrice di classe di Naoto.
Quello fu un segno allarmante per la polizia.
Kashiwagi non era infatti minimamente legata a Yamano o alle altre vittime: l'unica cosa che la collegava a Konishi, Amagi e Satonaka era il fatto che si trovassero nello stesso istituto.
Le due vittime successive a Kashiwagi erano state altre due ragazze della Yasogami High School: Ayane Matsunaga e Ai Ebihara, una coetanea e una senpai di Naoto. 
Con i loro omicidi, il loro presentimento era diventato completamente realtà.
Neanche queste due ragazze avevano infatti alcun legame con la prima vittima e, l'unica cosa che le collegava tra di loro e con l'omicidio di Kashiwagi, era che tutte e tre lavoravano o frequentavano la Yasogami High School, la stessa scuola anche delle altre vittime se non si considerava Yamano.
Possibile che l'assassino ci avesse preso così tanto gusto da uccidere qualunque ragazza le capitasse adesso sotto tiro?
«Cosa ci fai già sveglia?»
Quando la voce di Tohru le arrivò dalle sue spalle, Naoto si voltò, osservando quello che in quel periodo di tempo era diventato ufficialmente il suo fidanzato.
L'uomo era appoggiato allo stipite della porta della cucina e teneva le braccia incrociate, osservandola con curiosità.
Naoto sorrise.
«Sto provando ad esaminare il caso.» gli disse, alzando poi leggermente le spalle per arrivare all'altezza giusta per dare un bacio all'uomo quando lui si abbassò per venire incontro.
Tohru le mostrò la sua espressione preoccupata.
Gliela mostrava spesso in quel periodo in realtà.
«Sì, ma sono le cinque del mattino.– rispose, mentre portava una mano alla bocca per coprire lo sbadiglio che stava lasciando le sue labbra –E mi piacerebbe svegliarmi e trovare la mia ragazza accanto piuttosto che dover venire fino alla cucina per darti il buon giorno.»
Naoto abbassò lo sguardo.
Tohru aveva ragione.
Gli aveva promesso più volte che sarebbe stata a letto con lui e non avrebbe continuato a osservare quei fascicoli invano…
«Ehi ehi,– l’uomo le alzò il viso, posandole un bacio sulla fronte –non c’è bisogno di essere così tristi adesso. Non ti preoccupare, non è successo niente.»
Naoto annuì.
Da quando era morta Satonaka, la ragazza aveva quasi del tutto abbandonato le indagini sul caso e lasciava che fossero gli altri a portarle a termine, anche se, ogni tanto come quella mattina, sentiva il bisogno di tornare sul campo e di provare nuovamente a cercare l’assassino.
Era stato Tohru a consigliarle di riposarsi un po’.
E, anche se Naoto non era stata del tutto convinta all’inizio, aveva seguito il suo consiglio.
Ma alla fine era ovvio che lui sapesse cosa fosse meglio per lei, no?
Lui era la sua anima gemella.
Lui sapeva tutto di lei. Lei sapeva tutto di lui.
Almeno questo era ciò che lui le aveva ripetuto più volte in quel periodo e ciò in cui Naoto aveva riposto più fiducia.
Non riusciva neanche a ricordare come fosse la sua vita di appena un mese prima, senza l’uomo con lei.
E neanche voleva farlo.
«Vuoi un caffè?» le domandò l'uomo, avvicinandosi alla macchinetta.
«Sì, grazie.» rispose lei, chiudendo il fascicolo e riponendolo sopra agli altri.
Tanto sarebbe stato completamente inutile continuare ad esaminarlo.
Oramai, era come se l’assassino l’avesse in pugno e stesse solo giocando con lei.
Questo era il modo in cui la ragazza si sentiva ogni volta che leggeva uno di quei fascicoli o osservava le varie foto.
Quelli che fino ad un mese prima gli sarebbero sembrati indizi fondamentali per la riuscita del caso erano adesso, ai suoi occhi, solo degli inutili pezzi di carta.
E ogni giorno questa sensazione aumentava.
«Naoto.»
La ragazza alzò lo sguardo, puntandolo su Tohru.
«Sì?»
«Tra tre notti pioverà.»
Questa fu l'unica cosa che le disse.
Lui era colui che, tra i due, si era preso l'incarico di osservare il meteo ogni giorno e riferire all'altra quando l'assassino avrebbe potuto colpire.
Naoto sapeva che era una cosa senza senso.
Avrebbe potuto benissimo vedere quelle informazioni da sola, senza aver bisogno di qualcuno che le dicesse quando agire.
Ma così aveva deciso Tohru.
E lei faceva sempre quello che Tohru le diceva di fare.
«Sta volta lo prenderemo, ne sono sicura.» commentò la ragazza, incrociando le braccia sul tavolo e posando la testa su queste.
Sapeva che non era vero.
L’assassino le sarebbe di nuovo passato davanti agli occhi, come era successo già altre tre volte dopo la morte di Satonaka.
E quella sensazione terribile sarebbe aumentata, lasciandola completamente senza fiato.
«Non ne ho dubbi, Naoto.» le rispose Tohru, poggiando la tazza di caffè sul tavolo e abbassandosi a darle un bacio sulla nuca.
...Ma andava bene anche così.
Tohru era con lei.
E lui sarebbe riuscito a tirarle su il morale.
 
«Sei proprio sicura di volerlo fare, Shirogane?»
Naoto annuì.
«Sì, Dojima. Se io faccio da esca è possibile che riusciamo a catturarlo. È stata un’idea di Tohru.»
L'uomo la guardò, leggermente incredulo.
«Certo però che avresti potuto dirlo prima che eri una ragazza,– commentò  –è più di un mese che lavoriamo insieme.»
La detective sorrise debolmente a sua volta.
Anche quella di rivelare al mondo il suo vero sesso era stata un’idea di Tohru.
Da circa una settimana, infatti, la ragazza aveva gettato le bende che il suo fidanzato tanto odiava e aveva iniziato a vestirsi esattamente come lui preferiva.
In quel momento, infatti, stava indossando la gonna e la camicetta che avevano comprato insieme qualche giorno prima, quando erano usciti a fare compere.
«Il fatto che lei non lo abbia capito per un mese intero mi fa mettere in dubbio le sue capacità.»
L'uomo ridacchiò.
«E pensare che tu e Adachi siete anime gemelle… anche questa è stata una sorpresa.» disse poi.
Naoto annuì, continuando a sorridere.
Per un attimo, rimasero in silenzio a guardarsi l’un l’altra.
Era una cosa strana quella.
Da quello che la detective ricordava non c’erano mai stati così tanti momenti di silenzio tra loro due.
«Allora io vado Dojima.» Naoto si alzò, afferrando la sua borsa.
Poi, senza dire altro, si avviò verso l’uscita.
«Shirogane.»
Prima che potesse abbassare la maniglia, l’uomo la chiamò.
La ragazza si voltò.
«Sì, Dojima?»
«Sei sicura di stare bene?»
Quella domanda la colse completamente alla sprovvista.
Certo che stava bene. Perché non avrebbe dovuto?
«Di cosa sta parlando, Dojima?» domandò, mentre il sorriso di poco prima scompariva dalle sue labbra.
L'uomo la guardò e quando Naoto incrociò il suo sguardo sentì il suo cuore avere un sussulto.
Era lo stesso identico sguardo che Dojima le aveva mostrato un mese prima, dopo la morte di Amagi.
Quello sguardo di compassione che tanto le ricordava quello con cui la guardava sempre suo nonno...
«Sei diversa, Naoto.– disse, chiamandola per nome e facendola sussultare leggermente –Non sei venuta in centrale da almeno due settimane, quando prima non vedevi l'ora di tornare qua dopo essere andata a scuola. Poi compari nuovamente e sei vestita da ragazza, mentre prima non uscivi se non con qualcosa che doveva a tutti i costi coprire il tuo seno. Non mi chiami più nel bel mezzo della notte perché ti è venuta un'idea su chi possa essere il colpevole o su un modo in cui questo può avere agito. Dove è la Naoto Shirogane che ho conosciuto? Dove è la detective che è si è fatta quasi 10 km a corsa sotto l'acqua per salvare Satonaka?»
Naoto era rimasta ad ascoltare quel discorso, senza battere ciglio.
In fondo al suo cuore, sapeva che quell'uomo aveva ragione.
Sapeva che qualcosa in lei era cambiato, che c'erano tante cose che erano cambiare, che tutto il suo mondo si era completamente cambiato.
Ma Tohru era felice quando la trovava a casa una volta che era tornato dal lavoro.
Era felice quando lei non restava sveglia fino a tardi a pensare a chi potesse essere l'assassino.
Era felice quando lei non pensava troppo.
E a lei andava bene così.
«Arrivederci, Dojima.»
Quelle furono le uniche parole che la detective disse prima di uscire dalla stanza.
 
«Naoto, come va il caso?»
Quando Rise le aveva posto quella domanda le due si trovavano sul tetto della scuola, durante la pausa pranzo.
Era una domanda che la sua amica le faceva spesso in quel periodo.
Anche se Naoto non capiva perché le interessasse tanto.
«Non lo so.» rispose la detective, continuando a mangiare il suo panino.
La idol la guardò per un po’, come se continuasse ad aspettare che la ragazza continuasse a parlare.
Poi, sospirò.
«Naoto, sei sicura di stare bene?– le domandò, posando una mano sulla spalla dell’amica –Ti comporti in modo strano.»
La detective non disse niente, annuì semplicemente.
Era ovvio che stesse bene, Tohru era con lei.
Perché tutti le ripetevano la stessa domanda?
«Naoto, rispondimi.»
Naoto alzò lo sguardo.
«Ho risposto. Sto bene.» disse, guardando confusa l’altra.
Rise stava tremando.
«Naoto, ti prego, parliamone.– insistette lei, cercando chiaramente di mantenere la calma –Ti comporti come se qualcuno ti stesse controllando. Non parli più tanto come prima, non rimani più incantata ogni volta che il tuo cervello inizia a ragionare, non passi più le lezioni a guardare i fascicoli di nascosto sotto al banco! Mi spieghi cosa ti sta succedendo?!»
La detective la guardò, confusa.
Cosa c’era di strano nel suo comportamento?
Si stava solo comportando come sempre.
«Rise,– disse, mantenendo il suo tono di voce neutro –non urlare.»
Quando Naoto pronunciò quelle parole, la idol si trattenne chiaramente dallo scoppiare a piangere.
Rise era sempre stata così.
Si metteva a piangere anche se in realtà non c’era un vero e proprio motivo.
«Almeno avrai un piano, no?! Come agirai quando pioverà, tra due notti?!»
Naoto annuì.
«Farò da esca e lo cattureremo.»
Non sapeva neanche perché aveva parlato.
La Naoto Shirogane di un mese prima non avrebbe mai rivelato una tale informazione ad un civile.
«...E di chi è stata quest’idea?»
Rise non sembrava poi così convinta.
Naoto non capiva cosa avesse.
«Di Tohru.»
«Non voglio l’idea di Tohru, voglio la tua!»
Adesso la idol si era alzata in piedi e aveva urlato quelle parole, lasciando cadere il panino che, quasi finito, aveva poggiato sul suo grembo.
«Dove sono le tue idee, Naoto? Dove sono i tuoi piani geniali? Dove è la Naoto Shirogane che tutti noi conosciamo?!– la idol aveva adesso iniziato a urlare così forte che anche altre persone si erano voltate verso di loro –Dove è la Naoto che indossava abiti maschili e parlava con quella voce mascolina? Dove è la mia amica?!»
Naoto non poteva fare altro che guardare la idol urlare contro, mentre sentiva le spalle tremarle leggermente.
Rise aveva ragione.
Lei era cambiata in quel periodo.
«Rise,– la detective uso il tono neutro di poco prima –ti ho chiesto di non urlare.»
Le braccia, che la idol aveva tenuto alte fino a quel momento, ricaddero lungo il suo corpo, come se avessero perso completamente la forza di poter stare su. 
«Fa’ come ti pare.» disse poi, dirigendosi verso la porta e tornando all’interno dell’edificio scolastico.
Naoto la guardò allontanarsi, mentre sentiva l’impulso di allungare una mano e chiamarla, di trattenerla lì con lei.
Ma non lo fece.
Dopotutto, le andava bene così. 
 
«Ci sono io con te, Naoto. Non permetterò a nessuno di farti del male.» Naoto annuì quando Tohru le disse quelle parole.
Erano in macchina in quel momento, fuori stava piovendo e la ragazza stava indossando un semplice vestito che metteva in mostra le sue gambe e il seno prosperoso.
«Cosa devo fare?» chiese, voltandosi verso l'uomo alla sua destra.
Tohru le sorrise, accarezzandole la guancia.
«Devi solo camminare per un po' a giro. Ovviamente usa un ombrello, o ti prenderai un malanno, e io non voglio che tu ti ammali.– le spiegò lui, posandole poi un bacio sulla guancia –Io ti seguirò, starò a qualche metro da te, così in caso sarò sempre pronto per prendere l'assassino.»
La ragazza annuì, afferrando poi l'ombrello che l'uomo le tendeva.
Non aveva poi così tanta paura.
Aveva affrontato situazioni ben più critiche di quella.
Certo; fare da esca ad un pazzo stupratore omicida non era ciò che lei aveva sempre desiderato, ma allo stesso tempo la consapevolezza che Tohru e gli altri poliziotti la tenessero d'occhio rendeva la missione molto più facile e meno pericolosa.
In più lei era pur sempre una detective.
Non si sarebbe fatta mettere K.O. tanto facilmente.
Soprattutto perché altrimenti questo avrebbe potuto farla sfigurare di fronte agli occhi di Tohru.
«Ok, se sei pronta possiamo andare.»
Naoto annuì.
Poi, dopo aver posato un bacio sulle labbra dell'uomo, aprì la portiera della macchina.
La notte gelida di Inaba la salutò immediatamente e, quando una folata di vento la colse alla sprovvista, la ragazza portò automaticamente la mano alla sua testa, rendendosi conto solo dopo che non stava indossando il suo cappello.
In effetti, erano giorni che non lo portava.
Quel gesto che aveva appena compiuto aveva un che di irrazionale da quel punto di vista.
Stringendosi nel leggero cappotto (l'assassino doveva vedere che era vestita in modo succinto, dopotutto) la ragazza iniziò a camminare, stando attenta il più possibile a non farsi inzuppare dalla pioggia che continuava a infilarsi sotto il suo ombrello.
Inaba era completamente deserta.
La città, completamente avvolta nell’ombra e sommersa da quella pioggia così insistente, era particolarmente affascinante agli occhi della ragazza.
Quando aveva mosso ormai qualche passo, aveva sentito la portiera della macchina chiudersi dietro di lei.
Tohru doveva essere sceso.
Senza voltarsi, Naoto continuò a camminare per le strade di Inaba, evitando le grosse pozzanghere d'acqua che si erano formate al suolo.
Il vento freddo le passava attraverso i vestiti bagnati e la ragazza si strinse nelle spalle, per cercare riscaldarsi il più possibile.
Ombrello o no, si sarebbe sicuramente presa la febbre.
Ma quello non importava.
Dopo qualche minuto che stava camminando (forse un quarto d’ora? Venti minuti?) la detective aveva lasciato il quartiere commerciale di Inaba e stava adesso percorrendo il sentiero lungo il fiume.
Non era per niente facile camminare su quei tacchi, soprattutto su un terreno tanto scosceso.
La ragazza si guardò intorno, osservando con curiosità il fiume Samegawa, che si stava innalzando in modo quasi preoccupante al livello della strada.
Fu in quel momento che un rumore insolito attirò la sua attenzione.
Era come se qualcuno avesse pestato uno dei tanti legnetti che si trovavano in quell’area.
Come se il suo corpo si muovesse in automatico, la ragazza si mise in allerta, cercando di individuare il luogo da dove l'aveva sentito.
Passi.
Qualcuno la stava seguendo.
Che il piano stesse davvero funzionando...?
Incredula, Naoto iniziò a camminare più velocemente, così come Tohru le aveva detto di comportarsi se avesse sentito dei passi che non erano i suoi.
Doveva trovare un luogo riparato che le permettesse di tirare fuori la sua pistola, che era nascosta nella cintura del vestito che aveva legata in vita, e potesse così mirare bene all’assassino, senza che l'acqua entrasse nel suo campo visivo.
In realtà lei era completamente in grado di colpire i bersagli sotto la pioggia. 
Ricordava bene tutti gli allenamenti fatti con suo nonno, quando era più piccola.
Ma se Tohru aveva detto di fare in quel modo, chi era lei per ribattere?
Individuò uno dei tanti gazebo illuminati che popolavano le rive del fiume e lei iniziò a muoversi più velocemente.
Poteva sentire i passi dietro di lei aumentare di velocità.
Ma c’era qualcosa di strano.
Un brivido le corse lungo la schiena quando Naoto si rese conto che dovevano essere due persone.
Loro avevano sempre dato per scontato che l’assassino agisse da solo, non avevano mai preso in considerazione che potesse avere un complice.
Si stavano avvicinando.
E anche velocemente...!
Quando Naoto mise piede sotto al gazebo, si voltò, afferrando la pistola nascosta nella cintura con uno scatto che non pensava di essere in grado di fare.
Eppure era strano che lo pensasse.
Si era allenata più volte nel prendere di sorpresa i nemici... perché proprio ora non doveva funzionare?
L'ombrello le cadde dalle mani e la ragazza puntò la pistola dritta davanti a sé, mentre sentiva una forza che da tempo aveva perso impadronirsi nuovamente di lei.
Mise il dito sul grilletto.
Li aveva catturati...
«Aspett- Naoto non sparare!»
Quando quella voce così familiare le rispose, la detective rimase interdetta.
Ma lo fu ancora di più quando riconobbe una delle due figure che aveva adesso davanti a lei.
Rise teneva le mani in alto, mentre le sue gambe tremavano visibilmente, l'ombrello rosa che era caduto ai suoi piedi.
«Rise...?!»
«Sì... p-puoi mettere giù la pistola?» le chiese lei, continuando a tremare, gli occhi puntati sull'arma che la detective teneva tra le mani.
Naoto abbassò la pistola, continuando a guardare la sua amica che, sotto la pioggia, stava continuando a tremare dalla paura e dal freddo.
«Vedi, Rise? Te l’avevo detto che era in grado di difendersi.»
La detective sentì il suo cuore emettere un sussulto quando quella voce attirò la sua attenzione.
Lì, accanto a Rise, si trovava Kanji, l’amico della idol.
Il ragazzo teneva l'ombrello in avanti, coprendo la testa dell’amica, incurante dell'acqua che continuava a bagnarlo.
Per un attimo, a Naoto sfiorò l'idea assurda che lui fosse l'assassino e che avesse catturato Rise per usarla come ostaggio.
Poi, si rese conto da sola della stupidità di quell'ipotesi.
«Cosa ci fate qui voi due?»
La detective continuava a osservarli, passando da uno all'altro, senza comprendere il perché quei due l'avessero seguita, di notte, quando stava piovendo a quel modo.
Rise aveva le lacrime agli occhi.
«A-avevo paura che ti succedesse qualcosa, Naoto.– disse, provando, invano, a trattenere un piccolo singhiozzo che stava per scuoterle le spalle –Questa idea è una follia. Rischi di farti male! Q-quindi ho chiesto a Kanji se poteva accompagnarmi e aiutarti...»
Naoto osservò la sua amica che, con le spalle scosse dai singhiozzi, teneva lo sguardo puntato in basso.
Non riusciva a capire perché la ragazza fosse così in pensiero.
Con lei c'era Tohru, nessuno avrebbe potuto farle del male.
«Ok,– la voce dell'uomo arrivò dalle spalle di Rise e la ragazza sussultò visivamente –cosa sta succedendo qui...? Siete nel bel mezzo di un'operazione abbastanza pericolosa, ragazzini.»
Per un attimo, il tono di voce con cui Tohru pronunciò l'ultima parola, fece preoccupare la detective.
Era un tono fortemente infastidito, come se la loro presenza stesse rovinando tutto.
E Naoto non voleva che lui si sentisse così.
«Dovreste tornare a casa. Entrambi. State rovinando la missione.» disse automaticamente, cercando di rimediare a ciò che quei due avevano combinato.
Rise si voltò nuovamente verso Naoto, mostrandole uno sguardo completamente spaesato.
Kanji, invece, la stava guardando in un modo che era nuovo agli occhi della detective.
Era come se la sua espressione solitamente neutra e impassibile, avesse lasciato il posto ad uno sguardo preoccupato, quasi… dispiaciuto?
«Andiamo Rise, ti riaccompagno.»
Il ragazzo si voltò, afferrando il braccio della idol.
«No.»
Questa volta fu Tohru a parlare e Naoto si voltò verso di lui, confusa.
«Cosa c'è?– chiese Kanji, mantenendo il suo tono inespressivo –Dovevamo tornare a casa, no?»
Già, è quello che avrebbero dovuto fare.
Ma quelle parole non uscirono dalla bocca della detective.
Lei era lì, che continuava a guardare l'uomo che adesso aveva raggiunto il suo fianco, aspettando che quest'ultimo desse la sua decisione.
«Riaccompagno io Kujikawa.– disse, passandosi una mano dietro al collo –Non conviene portarla a casa. Se l'assassino ha visto che è uscita la starà aspettando. La porto in centrale.»
Nonostante le sembrasse strano, Naoto sentì il mondo crollarle addosso.
Prima ancora di potersi fermare, la ragazza afferrò il braccio del suo fidanzato, aggrappandosi a questo come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
«Naoto...?»
«E io come faccio se non ci sei tu?»
Neanche lei sapeva cosa le stava succedendo.
Una fortissima ansia si era sprigionata da dentro di lei ed era come se adesso l'avesse presa per la gola e la stesse stringendo con una tale forza da farle mancare il respiro.
Solo di una cosa era certa.
Non poteva portare avanti quella missione da sola.
Non poteva fare niente se non aveva Tohru al suo fianco...!
Quando la mano dell'uomo si posò sulla sua testa, il tremore che aveva colto il suo corpo fino a quel momento cessò, seppure lentamente.
«Torno subito, devo solo portare Kujikawa al sicuro. Non è questo quello che vuoi?»
Quello che voleva...?
Naoto non aveva minimamente idea di cosa volesse in quel momento.
Ma se Tohru diceva che era così, allora andava bene.
Fu in quel momento che successe qualcosa di inaspettato.
Rise afferrò la detective per un braccio, tirandola verso di sé e separandola dall'uomo.
«Rise...?» Naoto guardò incredula l'amica che adesso le stava stringendo il braccio con una forza tale da farle quasi male.
«Qualsiasi cosa tu le stia facendo, vedi di piantarla.» disse, con voce ferma nonostante le lacrime che continuavano a scivolarle lungo le guance.
Chi stava facendo cosa a chi...?
«Scusami?»
La voce con cui Tohru aveva pronunciato quella parola era una che Naoto non aveva mai sentito prima.
La ragazza si voltò verso di lui, osservando come sul volto dell'uomo si fosse adesso formato un sorrisino che la detective aveva visto veramente poche volte sul suo volto, e come stesse guardando Rise con uno sguardo divertito.
«Hai sentito benissimo quello che ho detto.– continuò la idol, stringendo con più forza la sua amica –È diventata un robot da quando esce con te! Non ragiona più, è come parlare con una bambola!»
In tutto quello, Naoto non poteva far altro che guardare la sua amica che, singhiozzante, stava affrontando l’uomo a pochi centimetri da lei, per aiutarla.
Ma… lei aveva davvero bisogno di aiuto?
«Naoto non è una bambola.– disse Tohru, sottolineando con un tono dispregiativo l’ultima parola –E io non le sto facendo niente, è lei che si sta comportando così di sua spontanea volontà. Non è vero, Naoto?»
La detective deglutì.
Tohru aveva ragione, no?
Lei faceva sempre come lui le diceva.
Erano anime gemelle, era normale che lui sapesse quello che lei voleva.
E allora perché quel “sì” non riusciva ad uscirle dalla gola?
Era come se una piccola parte del suo cervello, che aveva smesso di funzionare fino a quel momento, avesse ripreso a ragionare e le stesse gridando che c’era qualcosa di sbagliato.
Ma cosa poteva esserci di sbagliato in quello?
«Non è vero, Naoto?»
Tohru aveva ripetuto la domanda e ora la ragazza poteva sentire il suo sguardo puntato su di lei.
Seppur quella parte di lei continuasse a gridare, Naoto la rinchiuse nuovamente in un angolino, così come faceva ogni volta che capiva che non serviva a nulla.
Poi, annuì.
«Naoto...»
La detective era sicura che non si sarebbe mai dimenticata lo sguardo che Rise le mostrò in quel momento.
Era come se tutte le sue ultime speranze fossero completamente crollate, come se tutto quello che si aspettava che la sua amica dicesse fosse scomparso nel nulla.
«Rise,– disse, con una voce che non immaginava fosse così roca –vai con Tohru. Ti porterà al sicuro.»
La idol rimase per un attimo aggrappata a quel braccio, come se questo fosse la sua ultima ancora di salvezza.
O come se lo fosse stato per Naoto.
La detective non riusciva a capirlo.
Poi, lentamente, si allontanò, non smettendo però di osservare la sua amica.
«Ecco, vedi Kujikawa? Avevo ragione.– disse Tohru, raccogliendole l’ombrello da terra e porgendoglielo –Tatsumi, posso chiederti di rimanere con Naoto?»
Solo allora la ragazza notò che Kanji fino a quel momento era stato in silenzio, un’espressione quasi dolorante sul volto.
Naoto vide anche che stava stringendo con così tanta forza i pugni da rischiare di farsi male.
Quando Tohru lo chiamò, però, si riscosse.
«Cosa…?»
«So che la proteggerai.– continuò l’uomo, sorridendo –Ne sono certo.»
Naoto non sapeva da dove quella convinzione fosse venuta fuori.
Il suo istinto da detective le diceva che quella sembrava più una minaccia che una richiesta, ma lei cacciò quella sensazione.
Non vedeva perché Tohru avrebbe dovuto minacciare a quel modo il ragazzo.
«Naoto.» l’uomo la chiamò.
«Sì?» rispose lei, immediatamente.
«Aspettami qui, ok?– le disse, indicando il tavolo da picnic sotto al gazebo –Non muoverti finché non torno.»
La ragazza annuì, mettendosi a sedere.
Kanji le lanciò un’altro sguardo che Naoto non potè che definire enigmatico, prima di sedersi anche lui all’altro lato del tavolo.
Tohru le sorrise e si abbassò, posandole un bacio sulla nuca.
«Torno subito, tesoro.» disse.
Poi, se ne andò, portando con sé Rise che lanciò un’ultimo sguardo alla sua amica, prima di seguire l’uomo.
 QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Scontro (M1)
NUMERO PAROLE: 10000
PERSONAGGI: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi, Tohru Adachi, Rise Kujikawa, Ryotaro Dojima, altri
COPPIE: NaotoxAdachi, NaotoxKanji
AVVERTIMENTI: Soulmate!AU dove non si vedono i colori prima di incontrare la propria anima gemella; UnderAge.



Silenzio.
Questa era l’unica cosa che c’era in quel momento.
Naoto si era completamente lasciata andare sul tavolo, le braccia incrociate sul legno e la testa poggiata su queste, diretta nella stessa direzione in cui Tohru se ne era andato qualche minuto prima.
Kanji continuava a guardarla, con un’espressione che lei non gli aveva mai visto prima in volto.
Che anche lui fosse preoccupato per la sua salute? Così come lo erano gli altri?
Ma lei stava benissimo.
Non aveva senso che avessero tutti così tanta ansia per lei.
Così come non aveva avuto minimamente senso la scenata che Rise aveva fatto poco prima.
Eppure… anche lei sentiva che qualcosa era cambiato.
La detective si era resa conto che ogni volta che Tohru le era accanto, lei non riusciva più a ragionare in maniera corretta.
Ma non era colpa dell’uomo.
Era lei che continuava ad aggrapparsi a lui, da quando Satonaka era morta.
Ma se questo era il caso… perché Rise si era accanita in quel modo?
Giusto, Rise. Forse avrebbe dovuto ringraziarla, prima; era venuta lì solo per lei, nonostante fosse molto pericoloso uscire quella sera. Invece la aveva solo ignorata…
Con la coda dell’occhio, la detective lanciò uno sguardo a Kanji.
Il ragazzo era seduto davanti a lei e si stava guardando intorno, esaminando con attenzione l’oscurità che li circondava. Beh, almeno lui poteva ringraziarlo.
«Grazie.» sussurrò, non appena quel pensiero attraversò la sua mente.
Kanji si riscosse, sussultando visivamente.
«D-di cosa?» le chiese, interdetto.
Naoto non si alzò.
Non si voltò nemmeno per guardarlo in volto.
Rimase lì, semi-distesa su quel tavolo, come un burattino a cui avevano tagliato i fili.
«Per aver accompagnato Rise e non averla mandata da sola.– disse, rannicchiandosi maggiormente quando una folata di vento le fece scorrere un brivido lungo la schiena –Se fosse stata da sola sarebbe stato un disastro. L’assassino l’avrebbe sicuramente presa di mira.»
Silenzio.
«Perché “sicuramente”?»
La ragazza si bloccò.
Cosa voleva dire…?
Non c’era un motivo per cui l’aveva detto.
«L’ho usato a caso.»
«Tu non fai mai niente a caso Naoto.»
Quando Kanji disse quelle parole con quella decisione, la ragazza sentì come un fortissimo calore sprigionarsi dal suo petto.
Aveva ragione.
Lei non faceva mai niente a caso.
Allora perché aveva risposto in quel modo…?
«Sai Naoto,– il ragazzo aveva continuato a parlare, le parole che erano un sussurro appena udibile nel fruscio della pioggia –mi vergogno un po’ a dirtelo, ma io ti ho osservato molto. Non fraintendermi, non sono un maniaco o qualcosa del genere; ma tu sei molto amica di Rise e quindi vi ho visto spesso insieme e, allo stesso tempo, lei mi ha parlato molto di te.»
La ragazza non si muoveva.
Continuava ad ascoltare le parole di quello che per lei era praticamente alla stregua di uno sconosciuto, ma che ora comunque stava riuscendo a darle una sicurezza che non sentiva da settimane.
«Tutte le volte che vi ho visto parlare, ho pensato che tu fossi davvero una tipa… tosta, ecco. Sicuramente non una ragazza che va in giro in minigonna e ascolta ciecamente ciò che qualcun altro le ordina di fare.»
Perché sentiva come se avesse ragione?
Perché non riusciva a ribattere?
«Solo che ultimamente sei cambiata; tanto. Non so come vanno le cose con Adachi e so che non sono fatti miei, ma mi sembra strano che tu ancora non abbia esposto una tua teoria su questo caso. Rise è molto preoccupata per te, l’altro giorno è anche venuta a parlarmi, ma non sono riuscito a capire molto visto che non faceva che piangere...»
L’altro giorno…
Che si riferisse a quando avevano litigato sul tetto?
Aspetta.
Avevano litigato? Perché se ne rendeva conto solo in quel momento? Fino ad allora non ci aveva neanche pensato…
«Sono convinto che hai le tue ragioni per comportarti così, solo vorrei vedere Rise sorridere nuovamente. E vedere anche il tuo di sorriso...»
Quando le ultime parole uscirono dalle labbra del ragazzo, Naoto sentì le sue guance arrossire leggermente.
Cosa vorrebbe dire che voleva vedere il suo di sorriso?!
E… perché lei si sentiva così felice per quelle parole?
«Questo sì che è un discorso da maniaco, però.» sussurrò la ragazza, trattenendo una risata.
Perché si sentiva così… tranquilla?
Tohru non era con lei.
Fino ad allora quando l’uomo la lasciava sola, sentiva sempre l’aria iniziare a mancarle...
«E-ehi!– esclamò Kanji e, dal modo in cui balbettava, Naoto capì che doveva essere arrossito –H-ho… ti ho detto all’inizio che non lo sono!»
La ragazza ridacchiò leggermente.
Perché si sentiva così bene quando sentiva la sua voce?
Non era strano?
Erano come due sconosciuti, non ci aveva mai parlato tanto fino ad allora.
Anzi, lo aveva sempre evitato.
Perché lo aveva fatto…? C’era un motivo particolare per cui si era comportata in quel modo?
«Scusami...»
Il ragazzo, che era nuovamente rimasto in silenzio fino a quel momento, sussultò quando la ragazza pronunciò quella parola.
«E-eh? Perché?»
Neanche Naoto sapeva perché lo stesse facendo.
Sentiva solo che non era giusto far finta di niente.
«Ti ho giudicato male.– disse, rimanendo sempre nella solita posizione, senza guardarlo –Ti  ho sempre evitato perché pensavo che fossi solo un teppista, soprattutto dopo averti visto discutere con Tohru. Invece sei una persona per bene. Mi dispiace, non avrei dovuto.»
Quelle parole erano scivolate fuori dalle sue labbra, come se fossero la cosa più normale da dire.
Naoto non ricordava che fosse così facile parlare con le persone.
Perché si era chiusa in quel modo per tutto quel tempo?
«F-Figurati, non è un problema.»
«Invece sì.– continuò lei, rannicchiandosi maggiormente –Mi sarebbe piaciuto diventare tua amica.»
...
Le guance le andarono a fuoco, quando si rese conto di ciò che aveva detto.
Ma cosa sta facendo?!
«B-beh...– le parole di Kanji erano un sussurro –Non è mica t-troppo tardi...»
Naoto sentì il suo cuore accelerare, mentre un sorriso si formava sulle sue labbra, dopo tanto tempo.
Perché?
Perché era così felice che quel ragazzo le stesse dando quella possibilità che lei stessa aveva distrutto per tutto quel tempo?
Perché continuava a sentire l’impulso di alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi…?
«T-tornando al discorso di prima,– disse lui, cercando evidentemente di salvare la situazione in calcio d’angolo –c’è qualcosa che non ti convince in questo piano? Sembravi abbastanza seria quando hai detto che Rise sarebbe stata sicuramente presa di mira.»
Naoto deglutì, mentre il sorriso di poco prima svaniva lentamente.
«Tohru ha detto che questo piano era una buona idea.» disse, mentre la voce le si faceva più fievole.
«Mh… io ho chiesto a te. Non a lui.»
Lui voleva la sua opinione…?
«Io...– la ragazza fece un respiro profondo –io penso che sia strano che l’assassino cada in questa trappola tanto assurda, di conseguenza avrebbe rivolto la sua attenzione nei confronti di qualcun altro.– sussurrò, non muovendosi di un millimetro –E se avesse trovato Rise da sola, sarebbe stata la fine.»
E’ vero. Aveva pensato che quel piano era stupido fin dall’inizio.
Perché non lo aveva detto prima allora?
«E perché? A me sembra un buon piano invece.» commentò il ragazzo, incredulo.
Per la prima volta da quando erano lì, la ragazza si tirò su, incrociando il suo sguardo.
«Oh andiamo. Davvero pensi che vestirmi in questo modo– disse, indicando il vestitino attillato che stava indossando –e mettermi come un cartello a led in testa con su scritto “sono una preda facile” possa far cadere in trappola quell’uomo? Non penso che abbia così poco QI se è riuscito a uccidere ben sette persone sotto il nostro naso.»
Fu solo quando Naoto finì di parlare che si rese conto che Kanji non le stava mostrando più quell’espressione neutra che gli aveva sempre visto sul suo volto.
Adesso teneva il gomito sul tavolo e aveva poggiato il mento sulla mano.
E stava sorridendo.
Kanji Tatsumi le stava sorridendo.
La ragazza sentì le guance iniziare ad arrossire, senza capirne realmente la ragione.
«P-Perché mi guardi in quel modo?» domandò, distogliendo lo sguardo.
«Perché questa è la vera Naoto Shirogane. Non quella che si fa mettere i piedi in testa da qualcuno.»
Naoto non sapeva davvero come rispondere di fronte a quel commento.
Come faceva quel ragazzo a conoscerla così bene?
Possibile che l’avesse osservata davvero di nascosto per tutto quel tempo?
La ragazza sentì il suo cuore iniziare a battere con più forza nel suo petto.
Perché?
Perché provava sempre quella strana sensazione quando lo aveva intorno…?
«Questo comunque non ci aiuta.– disse, cercando di cambiare discorso –Anzi, ci complica le cose. Non riusciremo minimamente a capire chi è l’assassino stanotte e lui adesso è lì fuori, chissà dove, a cercare una persona da uccidere.»
Questa volta, Kanji non ebbe niente da ribattere.
Annuì solamente, distogliendo lo sguardo dalla ragazza e iniziando a guardarsi intorno.
Naoto lo aveva notato solo in quel momento, ma il ragazzo doveva averlo fatto spesso in quella mezzora che avevano passato a sedere a quel tavolo.
Nonostante le probabilità che l’assassino li colpisse erano molto basse, infatti, conveniva sempre stare all’erta.
«Non preoccuparti.– gli disse lei, iniziando a battere le dita sul tavolo –Abbiamo un poliziotto di guardia che ci sta osservando. Spara a vista se ce n’è bisogno.»
Kanji si voltò verso di lei, mostrandole uno sguardo leggermente sorpreso.
«Avete sparso poliziotti per tutta la città?»
«Aha.» rispose lei, continuando a tamburellare con le dita.
«E lo avete fatto anche le altre volte?» domandò ancora lui.
«Sì, certo.– rispose Naoto, sorridendogli debolmente –Ogni singola notte di pioggia da quando Satonaka è morta per un mio stupido errore; ma nonostante questo l’assassino ce l’ha sempre fatta sotto il naso. Capisci perché penso che sia impossibile che cada in questa pagliacciata?»
Da quanto è che non parlava così tanto?
La gola iniziava a farle quasi male.
Fu solo in quel momento che Naoto si rese conto che, da quando Satonaka era morta, aveva praticamente smesso di parlare.
Le parole erano come se le si fossero bloccate in gola fino a quel momento, nonostante Tohru avesse provato più volte a portare avanti delle conversazioni con lei.
Alla fine era evidentemente arrivata ad un punto tale da non volere neanche più pensare e si era affidata completamente al suo fidanzato.
Ma allora perché…?
Perché quel ragazzo era in grado di tirarle fuori tutte quelle parole che fino a poche ore prima le rimanevano bloccate in fondo alla gola?
«Certo però che deve avere un’auto davvero comune.»
Quando Kanji parlò, Naoto si riscosse dai suoi pensieri (oddio, quanto tempo era passato dall’ultima volte che le era successo?) e si voltò nuovamente verso di lui.
Non sapeva perché, ma quell’affermazione aveva come acceso una lampadina all’interno del suo cervello.
«Cosa?» domandò, mentre sentiva quel suo sesto senso che lei aveva segregato per settimane iniziare a tornare a scorrere in lei.
Il ragazzo arrossì, distogliendo lo sguardo.
«S-stavo solo pensando ad alta voce.» balbettò, a disagio.
«Kanji.– il ragazzo avvampò quando lei lo chiamò per nome –Ho bisogno che tu mi ripeta cosa hai appena detto.»
Lui si voltò a guardarla.
«Ho solo detto che deve avere una macchina molto comune.– ripetè, ancora rosso in viso –Cioè, è strano che con tutti i poliziotti che ci sono a giro la sua auto passi così inosserv-»
Il ragazzo sussultò quando Naoto si alzò in piedi e sbatté con forza le mani sul tavolo.
Gli ingranaggi nel suo cervello, che erano stati fermi fino a quel momento, ricominciarono a funzionare.
Come poteva essere stata così idiota?!
Aveva avuto la risposta davanti agli occhi fino a quel momento! 
Una persona che avrebbe potuto usare un mezzo senza essere ritenuta sospetta.
Una una persona di cui delle donne e ragazze si sarebbero potute fidare, nonostante i casi di omicidio che continuavano ad aumentare ogni volta che pioveva.
E persona che avrebbe potuto conoscere i piani della polizia.
Dannazione.
Il nemico era stato tra di loro per tutto quel tempo.
«E-ehm… N-Naoto?»
Naoto afferrò il cellulare, ignorando il ragazzo che adesso la guardava con occhi spaesati, pronta a chiamare Dojima, ma si fermò.
Cosa la rassicurava che non fosse proprio lui l'assassino? Cosa poteva garantirle che una volta chiamato l'uomo, lui non le avrebbe tagliato la gola?
Non poteva condividere con nessuno questa teoria.
Non era consigliabile neanche chiamare Tohru. Se il suo telefono fosse stato in qualche modo hackerato avrebbero potuto ascoltare la conversazione.
Doveva escogitare un piano...
«Naoto stai bene…?»
Gli occhi della ragazza si posarono immediatamente sul ragazzo di fronte a lei.
Fu in quel momento che il sangue le si gelò completamente nelle vene.
Rise.
Rise era stata portata in centrale da Tohru.
Lui l’avrebbe sicuramente lasciata lì, da sola, pensando che lei fosse al sicuro.
Ma se l’assassino poteva essere qualunque poliziotto...
«Kanji.– disse, tornando a sedere al suo posto e avvicinandosi a lui –Ora ascoltami, ho bisogno che tu faccia una cosa per me.»
Kanji la guardò interdetto, come se non comprendesse a pieno ciò che la ragazza gli stesse dicendo.
Ma Naoto non aveva tempo per pensarci.
Doveva muoversi in fretta e, forse, questa volta avrebbe catturato l’assassino e salvato Rise.
No. L’avrebbe catturato di sicuro.
Quanto era vero che il suo nome era Naoto Shirogane.
 
«Quindi… cosa è che dobbiamo fare?»
Naoto si passò una mano sul volto, esasperata.
Non sapeva quante volte aveva spiegato il piano.
Sicuramente troppe per contarle.
La ragazza indicò la mappa che aveva steso sul tavolo. Gliel’aveva data Tohru quando erano usciti di casa quella sera, per far sì che lei potesse osservare i luoghi coperti dalla polizia e non andare in luoghi troppo pericolosi.
«Come ti ho già detto,– iniziò la detective, indicando una delle x disegnate sulla mappa –Questi sono i punti in cui sono nascosti i poliziotti. Noi dobbiamo riuscire a raggiungere il telefono pubblico più vicino, quello all’entrata del distretto commerciale, e da lì dobbiamo avvertire Tohru.»
Kanji si grattò la testa, confuso.
«So che forse lo hai già detto, ma perché non usiamo un cellulare?»
«Perché il mio potrebbe essere controllato dalla polizia e il tuo da quel che mi hai detto è scarico.»
«Sì, ma non potremmo chiedere al poliziotto che ci sta sorvegliando?»
«Il nostro obiettivo è proprio quello di non farci trovare da nessun poliziotto.»
Il ragazzo non sembrava molto convinto.
«Ok, ma noi dove è che siamo?»
Naoto avrebbe voluto sbattere la testa contro il tavolo.
«Ascolta.– disse, maledicendo se stessa per aver tentato di spiegargli tutto fino a quel momento –Non abbiamo tempo per queste cose. Tu seguimi e basta, ok?»
Kanji sembrava avere anche altre domande da farle ma, dopo aver visto lo sguardo con cui la detective lo stava osservando, decise di tacere.
Naoto dette un’ultima occhiata alla mappa, per poi ripiegarla e nasconderla nuovamente nella cintura del vestito.
Poi, salì sul tavolo di legno.
Kanji avvampò, quando lei si sedette esattamente davanti a lui.
«C-che stai facend-»
«Su, attaccami.» disse lei, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Il ragazzo cercò un punto in cui guardare senza che sentisse ogni centimetro del suo corpo impazzire completamente e, non trovandolo, distolse lo sguardo.
«N-non capisco c-cosa tu stia facendo.»
Naoto non ne poteva più.
Ma almeno l’aveva ascoltata?
«Kanji,– spiegò, cercando di mantenere la voce calma –abbiamo un poliziotto vicino a noi al momento. Non sappiamo se è lui l’assassino e, allo stesso tempo, non possiamo lasciarlo parlare con i suoi colleghi. Di conseguenza non possiamo andarcene come se niente fosse. Dobbiamo metterlo k.o.»
Il ragazzo annuì.
Bene, la stava ascoltando.
«E-e quindi…?»
«Quindi ora faremo finta che tu voglia farmi del male e lui sarà costretto a intervenire.– continuò la ragazza, tenendo la voce bassa –La mia pistola nascosta nella cintura, afferrala e puntamela alla testa. Non preoccuparti, ho la sicura attivata. Poi urla al poliziotto di mettere giù la pistola e qualsiasi ricevitore abbia e di avvicinarsi lentamente per essere perquisito e essere sicuri non abbia qualcosa con lui e manda me a controllare.»
Kanji stette in silenzio, le guance in fiamme.
«Kanji, dobbiamo salvare Rise.– Naoto non sapeva più come fare a convincerlo –Per favore, iniziamo questa recit-»
Non riuscì neanche a finire la frase che un gridolino uscì dalle sue labbra quando il ragazzo la afferrò per le spalle e la fece sdraiare di colpo sul tavolo, dominandola.
Certo che avrebbe potuto avvertire.
Però, quando la ragazza sentì il poliziotto avvicinarsi, capì che quell’urlo che aveva appena lanciato era stato la mossa migliore che poteva fare per attirare la sua attenzione.
«Mani in alto!» urlò l’uomo, puntando la pistola.
Naoto rimase quasi stupita dalla forza e dalla velocità con cui Kanji la tirò su, le mise un braccio intorno alla gola e afferrò la sua pistola, puntandola alla sua testa.
Era bravo.
E forte.
Tanto forte.
«Metta giù la pistola o la ammazzo.»
La voce con cui aveva detto quelle parole era davvero terrificante.
Naoto portò le sue mani al braccio che la teneva bloccata al petto del ragazzo, per far finta di stare cercando di liberarsi e non riuscirci.
Non che dovesse fingere più di tanto.
Le sarebbe stato sicuramente impossibile liberarsi davvero da una stretta del genere.
L’uomo guardò verso di lei, come se aspettasse un suo ordine.
«F-fa come dice.» disse la ragazza, utilizzando la voce più spaventata che riuscisse.
Il poliziotto iniziò ad abbassarsi.
«Lentamente.» aggiunse Kanji, la stessa voce di prima.
Cavolo se era bravo.
Naoto poteva sentire il battito del suo cuore aumentare, mentre il ragazzo la stringeva di più contro il suo petto.
Si vergognava ad ammetterlo, ma sentire tutti quei muscoli a contatto con la sua schiena non era una sensazione per niente sgradevole. Anzi.
Senza contare quel braccio così forte che la stava tenendo-
«Metta giù anche il cellulare e la ricetrasmittente. Se chiama qualcuno uccido entrambi.»
Giusto, il piano.
Doveva pensare al piano.
L’uomo fece come richiesto, tremando leggermente.
«Ora si avvicini. Mani dietro la testa.» ordinò il ragazzo, con una voce ancora più minacciosa di prima.
Evidentemente ci stava prendendo gusto.
Quando l’uomo fu sotto il gazebo, Kanji lasciò andare Naoto, spingendola verso di lui.
La ragazza si voltò verso il “rapitore”.
«Perquisiscilo.– disse, puntandole la pistola contro e, nonostante la ragazza sapesse che fosse tutta una recita, non poté trattenere un brivido quando notò lo sguardo serio con cui la stava guardando –Un solo giochetto che non mi piace e ti faccio saltare la testa.»
La detective annuì, avvicinandosi al suo collega.
L’uomo era rimasto fermo, le mani sempre bloccate dietro la testa.
«Mi dispiace, Shirogane.– disse, abbassando lo sguardo –Non pensavo che potesse essere lui l’assassino.»
Naoto si sentì quasi in colpa di fronte a quel tono.
Il poliziotto doveva essere davvero spaventato e preoccupato per lei…
Ma non poteva farci niente.
Era per una buona causa.
«Dispiace anche a me.» rispose, mentre iniziava a “perquisirlo”.
«Sta tranquilla.– sussurrò lui, quando lei si avvicinò di più –Stanno arrivando i rinforzi.»
Cazzo.
Senza neanche ragionare più, Naoto colpì con forza il poliziotto dietro al collo.
L’uomo cadde in avanti e la ragazza lo afferrò, facendolo poi sedere sulla panchina del tavolo da picnic.
«Beh sono stato bravo, no?» 
La ragazza si voltò verso Kanji, riprendendo la sua pistola e afferrando il ragazzo per la mano.
«C-cosa?»
«Dobbiamo correre, ha chiamato gli altri prima di consegnare tutto quanto.– disse la ragazza, uscendo da sotto il gazebo e iniziando a correre sotto la pioggia, trascinando il ragazzo –Seguimi e non fiatare!»
Poi, i due scomparvero nel buio del sentiero, pochi secondi prima che le volanti della polizia si fermassero lì vicino.
 
Naoto non aveva idea di come fossero riusciti ad arrivare fino a lì.
La fortuna doveva necessariamente girare dalla loro parte.
La ragazza afferrò la cornetta del telefono pubblico, componendo velocemente il numero di Tohru.
«Naoto, fa veloce.»
Kanji era dietro di lei e continuava a guardarsi intorno, per individuare l’arrivo di qualsiasi poliziotto che avrebbe potuto trovarli.
Certo che avrebbe fatto alla svelta.
Non erano proprio nelle condizioni di perdere tempo visto che ora tutti credevano che Kanji fosse l’assassino e lei la prossima vittima. Se fossero stati catturati avrebbe dovuto spiegare tutto quanto, rischiando così di mettere davvero in pericolo Rise…
La ragazza ascoltò gli squilli del telefono.
Poteva sentire il suo intero corpo tremare dal freddo e Naoto dovette stringere la cornetta con due mani pur di non farla scivolare.
“Rispondi, rispondi, rispo-”
«Pronto?»
Quando la voce di Tohru arrivò dall’altro lato del telefono, la ragazza fece un sospiro di sollievo.
«Tohru!– esclamò, stringendo con più forza la cornetta –Ascoltami, ho capito una cosa importante.»
Per un attimo, l’uomo non rispose, come se non l’avesse riconosciuta.
«Naoto?– domandò poi, con un tono di voce che lei non aveva mai sentito prima –Perché stai chiamando da un telefono pubblico? Non ti avevo detto di aspettare sotto il gazebo?»
Per un attimo, la ragazza sentì un senso di colpa invaderla.
Aveva ragione.
Le aveva detto di aspettare sotto il gazebo.
Perché lei si era mossa da lì-
Kanji le posò una mano sulla spalla, facendola sussultare.
«Dobbiamo fare veloce.»
Giusto. Non aveva tempo da perdere.
«Tohru ascolta, non è il momento di parlare di questo adesso.– Naoto aveva riacquistato la fiducia che pochi secondi prima aveva perso –Ci sono arrivata. L’assassino è tra di noi, Tohru. È tra i poliziotti.»
L’uomo non rispose nuovamente.
Era come se stesse cercando di valutare la situazione.
«Lo so anche io Naoto.– disse poi, tornando a utilizzare il suo solito tono di sempre –Per questo avevo ideato questo piano stasera.»
Lo aveva capito…?
E allora perché non gliel’aveva detto…?
«Dov’è Rise?» chiese la ragazza, stringendo con più forza la cornetta.
C’era qualcosa che non le tornava.
«L’ho nascosta in un luogo sicuro, dove l’assassino non può trovarla.– disse l’uomo, con tranquillità –Non l’ho portata in centrale se è questo che ti preoccupava. Ora, per favore, torna al ga-»
«Dimmi dov’è.»
Qualcosa non andava.
Nonostante sapesse che Tohru aveva ragione e doveva tornare al gazebo, la ragazza non riusciva più a reprimere la vocina nella sua testa che le urlava di andare dalla sua amica.
L’uomo non rispose.
Per un attimo, Naoto ebbe quasi paura che avesse riagganciato.
«Va bene, va bene.– disse poi, ridacchiando –Se ci tieni tanto ad andare da lei vai, magari riesci a tranquillizzarla visto era abbastanza spaventata di restare lì da sola. È nel capanno in cima alla collina; quella dalla quale si vedono i fuochi d’artificio, presente?»
Sì.
Naoto sapeva qual era.
«Grazie Tohru.– disse –Ci vediamo più tardi.»
«A più tardi Naoto.»
L’uomo riattaccò.
«Allora? Dov’è Rise?»
Kanji le pose quella domanda non appena la ragazza mise la cornetta al suo posto.
«Fortunatamente non è in centrale. È nel capanno sulla collina.»
Nonostante avesse detto “fortunatamente”, Naoto non era poi così sicura che fosse il termine esatto da usare.
Qualcosa continuava a dirle che Rise era in pericolo.
In grave pericolo.
E che se voleva aiutarla avrebbe dovuto sbrigarsi.
«Ok ma,– la ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena quando Kanji stava per porle l’ennesima domanda quella sera –come ci arriviamo?»
Cavolo.
Aveva ragione.
Ci avrebbero messo almeno tre ore ad andare a piedi e, sotto quella pioggia, non era poi così consigliabile.
«Hai una moto, Kanji?» domandò lei, speranzosa.
Quale razza di teppista non avrebbe una moto dopotutto?
Il ragazzo arrossì leggermente.
«Sono troppo piccolo per averla.– rispose, grattandosi la testa –Ho solo quindici anni.»
Era più piccolo di lei?!
«Questo può essere un problema.– commentò la ragazza, passandosi una mano tra i capelli bagnati –Neanche io la ho, nonostante abbia sedici anni. L’unica cosa che so guidare è una bicicletta.»
Gli occhi di Kanji si illuminarono.
«Quella la ho.»
 
Non poteva stare succedendo davvero.
Naoto si trovava attaccata alla schiena di Kanji, che, pedalando ad una velocità quasi inumana, stava risalendo velocemente la collina.
«N-Non puoi andare un po’ più piano?!» gli chiese, stringendolo con più forza.
Era quasi impossibile tenere l’equilibrio in quelle condizioni.
Oltre alla pendenza estrema della collina si aggiungeva anche la pioggia che li aveva completamente inzuppati e rendeva ogni appiglio che Naoto trovava terribilmente scivoloso.
«Se vado più piano cadiamo di sicuro.– le rispose il ragazzo, lasciando il manubrio con una mano e afferrandole il braccio e spingendolo di più contro il suo petto –Stringi di più.»
Come se fosse facile.
La detective si aggrappò con più forza a Kanji che, senza battere ciglio, continuava a pedalare verso la cima della collina.
Quando il ragazzo aveva proposto di usare la sua bicicletta, Naoto aveva davvero creduto che fosse completamente impazzito.
Ora invece, mentre stavano raggiungendo la cima ad una velocità che neanche nei suoi sogni si sarebbe immaginata, pensava che fosse pazzo fin dall’inizio.
Una folata di vento la prese in pieno e la ragazza si rannicchiò maggiormente contro la schiena di lui, attratta dal calore che Kanji emanava nonostante i vestiti fradici.
Si sarebbero sicuramente ammalati entrambi, con tutta l’acqua che avevano preso quella sera.
Ma alla detective quello non importava.
L’unica cosa che le interessava al momento era trovare Rise e tenerla al sicuro.
Sperava con tutta se stessa che l’assassino non l’avesse trovata fino a quel momento, che non avesse in realtà idea di dove potesse trovarsi.
In lontananza, poteva sentire le sirene della polizia che continuavano a suonare.
La stavano cercando per tutta Inaba.
Forse, questo avrebbe reso le cose più difficili anche all’uomo.
Quando arrivò nello spiazzo poco sotto la cima, Kanji si fermò, accostando con la bicicletta alla ringhiera di legno.
Naoto scese immediatamente dalla bici, voltandosi verso il ragazzo.
«Non posso andare oltre con la bici, lì il terreno è troppo fangoso. Tu va da Rise, Naoto.– le disse, sorridendole leggermente –Io nascondo questa e controllo che nessuno sbirro ci abbia seguiti. Se succede qualcosa, urla.»
La ragazza annuì.
«Kanji, ti ringrazio.»
«Hm?»
«Nessuno ha mai fatto tanto per una mia teoria.– spiegò lei, le guance che le si tingevano di rosso –Fino ad ora nessuno le ha quasi mai prese sul serio, soprattutto dopo che scoprivano che ero una ragazza.»
Kanji le sorrise, posandole una mano sulla testa.
«Io mi fido di te, Naoto.– rispose, accarezzandole i capelli –Sono sicuro che troverai l’assassino. Adesso va.»
La ragazza sorrise, mentre sentiva un forte calore sprigionarsi dal suo petto.
Non sapeva perché si sentiva così.
Era completamente irrazionale che provasse quelle sensazioni in quel momento.
Nonostante avesse passato più di un mese con la sua anima gemella, non si era mai sentita così capita e apprezzata come invece si era sentita quella sera.
Certo, non sempre Kanji capiva le istruzioni alla prima volta che gli venivano spiegate (anzi, quasi mai), ma non per questo lei non aveva notato come lui l’ascoltasse e cercasse di capirla.
Si era sentita bene.
Libera, dopo tanto tempo.
E sperava che si sarebbe sentita così anche in futuro.
Dopo aver lanciato un ultimo sguardo al ragazzo, Naoto iniziò a correre verso il capanno, ben visibile dalla posizione in cui si trovava.
Il terreno era completamente fangoso e i tacchi che stava indossando non la stavano minimamente agevolando nella sua impresa.
Forse, Tohru non aveva sbagliato completamente a portare Rise in quel luogo.
L’assassino avrebbe dovuto essersi proprio accanito con lei per decidere di arrivare fino a lassù.
Eppure, c’era quel brutto presentimento che continuava a torturarla.
Dopo qualche minuto, Naoto era riuscita finalmente ad arrivare di fronte al capanno.
Riprese fiato, aprendo lentamente la porta e entrando all’interno.
«Rise?»
Nessuna risposta.
La ragazza chiuse la porta alle sue spalle, iniziando a camminare nel buio.
Gli unici rumore che riusciva a sentire erano i suoi passi, il suo respiro e il battito del suo cuore, che andava sempre più veloce, mano mano che continuava a camminare.
«Rise?» chiamò nuovamente, cercando di vedere qualcosa nel buio.
Era strano che la sua amica non le rispondesse.
Naoto non sapeva quante stanze ci fossero in quel capanno, ma non sembrava così grande da poterne contenere poi chissà quante.
Una luce.
Doveva trovare una luce.
La detective iniziò a tastare il muro, cercando quello che poteva essere un interruttore.
L’ansia stava prendendo quasi il sopravvento.
Perché Rise non le rispondeva?
Che se ne fosse andata?
Che avesse lasciato quel posto?
Oppure… l’assassino era lì con lei?
I movimenti di Naoto si bloccarono, quando quel pensiero le sfiorò la mente.
La ragazza drizzò le orecchie, pronta a captare qualunque suono potesse indicarle che c’era qualcuno.
E fu in quel momento che sentì un singhiozzo strozzato provenire da dietro di lei.
«Rise?!»
La ragazza si voltò, cercando di individuare la sua amica nel buio.
«Rise dimmi dove sei.»
«N-N...N-Na...»
La detective riprese a tastare il muro, in cerca di un benedetto interruttore.
Stava faticando a parlare.
Ma poteva sentirla, lei era lì.
La sua mano finalmente trovò quello che stava cercando e Naoto accese la luce, voltandosi poi di scatto.
Il sangue le si gelò nelle vene.
Rise era lì, a terra, sdraiata su quel gelido e bagnato pavimento di legno.
«Rise!»
La detective si precipitò al suo fianco, buttandosi in ginocchio con una tale forza da sentire male alle ginocchia.
Fu in quel momento che si rese conto che la sua amica non aveva niente addosso.
Tutti i suoi vestiti erano stati gettati poco lontano.
La sua pelle pallida era ricoperta di lividi e escoriazioni.
Naoto si tolse immediatamente il giubbotto zuppo, coprendo la sua amica.
«Rise, cosa è successo?!»
La detective poteva sentire tutto il suo corpo tremare.
Era arrivata tardi.
L’assassino aveva già…
«S-sc...»
Naoto stava andando completamente nel panico.
Sollevò delicatamente il corpo della ragazza da terra.
Era come un peso morto.
«S-sca...»
«Rise non sforzarti. Non parlare.»
La ragazza alzò lo sguardo, osservando la distanza che la separava dall’uscita del capanno.
Doveva assolutamente portarla via di lì.
Non sapeva perché l’assassino avesse lasciato quel luogo prima di ucciderla, ma non aveva il tempo per pensarci.
Doveva prendere Rise, chiamare un’ambulanza e andarsene.
Fu in quel momento che sentì la mano tremante della sua amica posarsi sul sul petto, stringendole il vestito.
La detective si voltò verso di lei.
«S-scappa...»
La porta del capanno si aprì, facendola sussultare.
L’assassino.
L’assassino era tornato.
Con uno scatto, Naoto afferrò la pistola con la mano sinistra e, sostenendo Rise con il braccio destro, si voltò verso l’entrata puntando l’arma che aveva verso l’uomo.
Un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra.
«Tohru!» esclamò.
Tohru era appena entrato nel capanno e le stava osservando.
La detective abbassò la pistola.
Erano salve.
Erano salve!
«Dobbiamo assolutamente chiamare un’ambulanza, Rise è gravemente ferit-»
«Sei arrivata prima del previsto, Naoto.»
Tohru le lanciò uno sguardo annoiato.
Naoto sentì un fortissimo brivido correrle lungo la schiena.
«Cosa intendi dire…?» sussurrò, mentre il suo corpo iniziare a tremare.
Solo in quel momento si rese conto che l’uomo teneva una corda nella mano destra e un bastone nella sinistra.
«Esattamente quello che ho detto.– rispose lui con un tono che la ragazza non aveva mai sentito prima e mentre un sorrisetto si formava sul suo volto –Volevo farti trovare la tua amichetta appesa all’albero qua fuori. Non pensavo che facessi così in fretta.»
No.
No no no no!
Doveva essere un incubo.
Tohru non poteva…
«E poi, portarsi dietro quel Tatsumi… volevi tradirmi per caso, Naoto?»
L’uomo lasciò cadere il bastone al suolo.
Solo in quel momento la ragazza si accorse che era macchiato di sangue.
Poteva sentire Rise singhiozzare contro il suo petto, mentre cercava ancora di dirle di scappare.
«C-cosa stai dicendo, Tohru…?»
Non doveva piangere.
Sapeva che mettersi a piangere avrebbe solo peggiorato le cose.
«Sei così dura di comprendonio, Naoto?– disse, facendo un passo avanti –Perché non chiedi a Kujikawa? Sai, prima abbiamo avuto una bella chiacchierata.»
Quando Tohru la nominò, Rise strinse con più forza il vestito di Naoto, continuando a singhiozzare.
La detective era completamente nel pallone.
Sapeva di dover chiamare aiuto, di dover scappare con Rise, ma non aveva la forza di muoversi.
Poteva solo osservare l’uomo che si avvicinava.
«Sai Naoto, io neanche me la volevo fare quella lì.– continuò, indicando Rise con la testa –Ma tu mi hai disubbidito, e quindi dovevo sfogare la mia rabbia con qualcuno. Sbaglio o ti avevo detto di aspettarmi sotto al gazebo?»
Naoto poteva sentire l’aria mancarle.
Era colpa sua se Rise era in quelle condizioni.
Era stata lei a metterla in pericolo…
«La stessa cosa vale per Satonaka, sai?– Tohru era ormai a pochi passi da lei –Quella sera dovevi essere tu la fortunata, Naoto. Ma sei scappata proprio sul più bello.»
La tazza di cioccolata di quella sera le tornò alla mente.
Un fortissimo brivido le corse lungo la schiena quando capì che l’uomo aveva tentato di drogarla.
«T-Tohru, per favore,– la voce della ragazza era flebile –smettila di scherzare.»
L’uomo scoppiò a ridere.
«Ti pare che io stia scherzando, Naoto?»
Naoto aveva paura.
Aveva tanta paura.
«Non sai quanto è stato divertente vederti perdere il controllo, ogni volta che un’altra vittima veniva uccisa sotto il tuo naso.»
La stava terrorizzando.
La ragazza poteva sentire tutto il suo corpo tremare.
«Oh, ma non preoccuparti. Stavolta farò in modo che tu veda tutto quanto. Taglierò la gola alla tua amichetta proprio davanti ai tuoi occhi.»
Quando l’uomo fece un altro passo, la detective alzò nuovamente la pistola, puntandola contro di lui.
«Oh, vuoi spararmi Naoto?»
Tohru si era fermato e adesso la stava guardando divertito.
La ragazza non rispose.
«Fallo, ti sfido.»
Doveva sparare.
Doveva salvare Rise.
Ma allora perché non riusciva a premere il grilletto?
«Cosa aspetti? Te lo devo ordinare io? Come ho fatto per tutto questo tempo?»
La mano iniziò a tremarle con più forza, mentre la prima lacrima usciva dai suoi occhi.
«Sai è stato così divertente.– l’uomo aveva ripreso a camminare verso di lei –Bastava schioccare le dita e tu eri subito al mio servizio. Chi avrebbe mai pensato che bastava così poco per controllare la grande Naoto Shirogane, vero?»
Il suo campo visivo si era fatto appannato, mentre le lacrime avevano ormai iniziato a rigarle le guance.
Tohru la afferrò dal braccio con cui teneva la pistola, tirandola su, in piedi, e facendole perdere la presa su Rise.
«E adesso neanche lotti per la tua vita, sei patetica. Chi mai vorrebbe un’anima gemella come te?»
La pistola le cadde sul pavimento.
Era finita.
Non poteva continuare così.
«L-Lasc… l-lascial...»
Naoto vide che la sua amica, nuovamente distesa sul pavimento, cercava di alzarsi.
«Tu devi stare zitta.»
Tohru la colpi con forza con un calcio allo stomaco e Rise lasciò andare un rantolo, rannicchiandosi nuovamente a terra.
«No!»
La detective provò a colpire l’uomo, ma si ritrovò contro il pavimento, la mano di lui attorno al collo.
«Non essere gelosa,– le disse, tenendola bloccata a terra –ora penso a te.»
Perché?
Perché lui le stava facendo questo?
Perché l’uomo che le aveva detto di amarla le stava facendo del male?
Tohru continuò a tenerla ferma, con la mano intorno al suo collo.
«Facciamo vedere alla tua amica che non deve intromettersi nei fatti nostri, Naoto.– le disse, mettendo una gamba tra le sue e costringendola ad aprirle –Facciamole vedere quanto ti piace.»
Naoto portò le mani al collo, cercando di liberarsi da quella presa che la stava uccidendo.
Non riusciva a respirare.
Aveva la gola completamente bloccata.
Tohru continuava a guardarla, dominandola completamente.
La detective non poteva far altro che tentare di liberarsi, mentre l’uomo le strappava il sopra del vestito con una forza che Naoto non pensava potesse avere.
Non poteva crederci.
Non poteva credere che la sua anima gemella, l’uomo che lei amava, le stesse facendo questo.
Non poteva credere di essere stata così tanto stupida da non rendersi conto di quanto Tohru fosse pazzo.
L’aveva usata fino a quel momento e lei, come una stupida, era caduta in trappola.
E questo solo perché chissà quale dio, lassù, aveva scelto che loro due dovevano stare insieme.
La detective chiuse gli occhi, mentre Tohru continuava a stringerle con forza il collo e, con l’altra mano, le apriva il reggiseno.
Era finita.
Nessuno avrebbe potuto salvarl-
Un colpo secco, seguito da un lamento, le arrivò alle orecchie.
Il peso che aveva sopra di lei si tolse di colpo e la ragazza sentì l’aria tornare finalmente nei suoi polmoni.
Si portò una mano alla gola, rendendosi conto che quella dell’uomo non c’era più…
«Naoto, prendi Rise e scappa!»
La ragazza si voltò verso il punto da cui veniva la voce.
«K-Kanji...»
Alla sua destra, a pochi centimetri da lei, Kanji aveva atterrato Tohru e cercava di tenerlo fermo, mentre l’uomo, sotto di lui, cercava di liberarsi.
«Scappa!»
La detective non se lo fece ripetere due volte.
Si alzò, correndo verso la sua amica e caricandola come poteva in spalla, mentre afferrava la sua pistola, rimasta sul pavimento.
Nel frattempo poteva sentire i due lottare dietro di lei, anche se non aveva il coraggio di scoprire chi stesse avendo la meglio.
Doveva correre.
Doveva correre fuori da lì e chiamare Dojima.
«Naoto, attenta!»
La detective si abbassò di colpo e un proiettile passò esattamente sopra di lei, nel punto in cui poco prima c’era la sua testa.
Giusto.
Anche Tohru aveva una pistola.
Un altro colpo esplose, ma Kanji dovette riuscire a deviarlo perché questa volta Naoto fu solo colpita di striscio alla gamba.
«Metti giù quella cosa!»
La detective sentì il ragazzo urlare quelle parole e un rumore metallico arrivò dalle sue spalle, come se la pistola fosse caduta al suolo.
Ma non aveva tempo di voltarsi.
Era finalmente arrivata alla porta del capanno e ora stava correndo all’esterno, mentre la pioggia di poco prima tornava a bagnarle ciò che rimaneva dei suoi vestiti.
Naoto continuò a correre, stando attenta a non lasciare andare Rise che, rannicchiata contro la sua schiena, continuava a piangere e a tremare per il freddo che doveva starle congelando le ossa.
«K...K-Ka...K-Kanji...»
Il cuore della detective perse un colpo quando sentì la sua amica chiamare quel nome.
Era come se la stesse implorando di non lasciarlo lì, di tornare dentro, di aiutarlo contro Tohru.
«D-dobbiamo chiamare la polizia, Rise.– le disse Naoto, continuando a scendere lungo il pendio fangoso, stando attenta a non cadere –Non possiamo fare niente da sole. Kanji starà bene, te lo prometto.»
Non era minimamente sicura di quello che aveva appena detto.
Ma non poteva fare altro, doveva assolutamente chiamare Dojima e chiedergli aiuto.
La ragazza si maledì di non aver chiamato subito quell’uomo che era da sempre stato così tanto gentile e che lei non aveva avvertito per paura che fosse l’assassino…
No, non doveva pensarci in quel momento.
Sapeva che sulla collina non c’era campo, non c’era mai stato, e inoltre non aveva neanche idea di dove avesse lasciato il suo cellulare in quel momento.
Doveva assolutamente raggiungere il telefono pubblico che si trovava nello spiazzo dove si era lasciata con Kanji, pochi minuti prima-
Fu in quel momento che il tacco della sua scarpa si ruppe e Naoto scivolò, cadendo in avanti.
«Rise!»
Con uno scatto felino, afferrò il braccio di Rise e portò la ragazza davanti a sé, stringendola tra le sue braccia mentre lei cadeva al suolo.
Sentì la sua amica lasciare andare un gridolino strozzato quando le due toccarono terra e iniziarono a rotolare nel fango.
Naoto continuava a tenere stretta la sua amica, cercando di farle prendere meno colpi possibili, mentre lei sentiva ogni centimetro del suo corpo iniziare a farle male.
Rotolarono giù dal pendio, sbattendo ogni parte del loro corpo contro il suolo e i ciottoli che formavano il sentiero.
Quando finalmente si fermarono, la detective si rese conto che oramai si trovava nello spiazzo prima della cima della collina, il luogo in cui sarebbe dovuta arrivare.
Aprì le braccia, per controllare se Rise stesse bene.
«R-Rise, stai bene?!»
La sua amica non rispose.
«R-Rise…?»
Naoto sentì il sangue gelarsi nelle vene quando notò che la mano con cui le stava parando la testa era sporca di sangue.
Doveva assolutamente chiamare aiuto.
La detective strinse Rise a sé e si alzò, ignorando il dolore lancinante che le lanciavano le sue gambe e la sua schiena.
Il telefono era lì, poco lontano.
Doveva solo raggiungerlo e tutto sarebbe finito.
Naoto iniziò a camminare, incurante della pioggia che si era fatta più pesante su di lei e che stava quasi cercando di schiacciarla al suolo.
Quando sentì uno sparo in lontananza, la ragazza aumentò il passo.
Non poteva permettere che Tohru uccidesse Kanji.
Non poteva lasciare che quello accadesse…
Arrivò finalmente alla cabina e vi entrò, poggiando Rise a terra.
La ragazza afferrò la cornetta, digitando velocemente il numero del suo superiore.
«Pronto?»
Quando la voce di Dojima le arrivò dall’altro capo della linea, le gambe di Naoto cedettero e lei cadde al suolo.
«D-Dojima.»
«Shirogane! Sei ferita?! Mi hanno detto che Tatsumi-» la voce dell’uomo era chiaramente preoccupata.
«Tohru. È Tohru l’assassino.»
Quelle parole scivolarono fuori dalle sue labbra e la ragazza sentì tutta l’ansia che aveva accumulato fino a quel momento esplodere dentro di lei.
«Adachi? Cosa stai dicend-»
«L-la prego ci aiuti.– Naoto poteva sentire le lacrime iniziare a riempire nuovamente i suoi occhi, mentre continuava a parlare, non riuscendo a fermarsi –Rise è gravemente ferita, ha anche sbattuto la testa e non risponde. Kanji sta fermando Tohru, ma non so quanto a lungo ci riuscirà e non voglio ch-»
«Arriviamo subito, Shirogane.– la detective poteva sentire l’uomo mettere in moto la sua auto –Dimmi solo dove vi trovate.»
Naoto aprì la bocca, quando una fortissima fitta di dolore la colse completamente alla sprovvista.
Un fortissimo ronzio si propagò nelle sue orecchie e la ragazza lasciò andare la cornetta del telefono, portando le mani ai lati della testa e chiudendo gli occhi.
«Shirogane? Shirogane?!»
Quando la voce di Dojima arrivò dal telefono, la ragazza aprì nuovamente gli occhi e allungò la mano per recuperare la cornetta che ora penzolava nel vuoto.
I suoi movimenti si fermarono e il suo respiro si fece più pesante quando notò che il rosa pallido della sua pelle era adesso grigio.
«Shirogane, cosa sta succedendo?!»
La detective sbatté le palpebre e la scala di grigi, che un secondo prima aveva preso possesso del suo mondo, scomparve nuovamente.
Una strana sensazione la avvolse.
Se i colori stavano per andarsene, voleva dire che Tohru stava-
«Naoto?!»
La ragazza afferrò la cornetta del telefono, riportandola all’orecchio.
«S-Siamo al capanno sulla collina.» disse, mentre la voce le tremava.
«Arrivo.»
Poi, Dojima mise giù.
Naoto lasciò andare la cornetta, rilassandosi completamente contro la parete della cabina.
Afferrò Rise accanto a lei, stringendola a sé e cercando di riscaldarla per quanto fosse possibile.
Poteva sentire la sua amica respirare contro il suo petto.
Era viva.
Doveva solo mantenerla al caldo fino all’arrivo dei soccorsi.
La detective lanciò un ultimo sguardo al capanno, che si trovava poco più su rispetto al luogo in cui erano nascoste loro due.
Se quello che aveva visto poco prima non era un’allucinazione, la sua anima gemella aveva appena ricevuto un colpo al limite del fatale.
Tohru doveva essere ferito gravemente.
Naoto credeva che in una situazione del genere sarebbe corsa immediatamente sul posto, cercando in tutti i modi di salvare la vita all’uomo che amava.
E invece non fu così.
Anzi, poco prima, quando quella scala di grigi era tornata nel suo mondo, le sue lacrime si erano completamente fermate.
 
La polizia arrivò solo cinque minuti dopo.
Naoto non avrebbe mai pensato che ci fosse anche solo la possibilità che lei si potesse trovare un giorno dalla parte delle vittime e non di chi stava indagando.
Dojima era entrato personalmente nella cabina telefonica quando le aveva viste e aveva preso sia lei che Rise in braccio, portandole immediatamente dai paramedici che erano arrivati sul posto.
La sua amica era stata caricata in una delle ambulanze che avevano chiamato ed era stata portata via, all’ospedale più vicino, ma i paramedici avevano comunque rassicurato la detective e i poliziotti, dicendo che la idol non era fortunatamente in pericolo di vita.
Naoto sarebbe voluta andare con lei, stringerle la mano per tutto il tragitto e stare al suo fianco per tutto il tempo, ma, nonostante le proteste di Dojima, aveva deciso che era meglio restare.
Doveva assolutamente vedere come stava Kanji.
Per questo in quel momento si trovava lì, seduta dentro ad una delle macchine che si trovavano dietro al capanno, con la giacca del suo superiore addosso.
Non poteva far altro che osservare le sue gambe, completamente bendate, sbucare da quell’indumento così enorme per lei.
Era strano che ci mettessero tanto in realtà.
Lei era lì da già trenta minuti e i colori intorno a lei erano diventati così instabili che continuavano ad andare e venire, ogni volta che lei sbatteva le palpebre.
Tohru doveva essere ferito.
Gravemente ferito.
Allora perché ci mettevano tutto quel tempo per catturarlo?
Non aveva senso…
Un brivido le corse lungo la schiena.
Qualcosa non andava. C’era decisamente qualcosa che non andava.
Non sapeva perché, ma una fortissima sensazione di angoscia si era trasmessa dentro di lei dal momento in cui Dojima le aveva detto di aspettare lì.
Che Tohru fosse riuscito a ferire Kanji in qualche modo…?
Naoto uscì dall’auto, stringendosi nella giacca del suo superiore quando la pioggia tornò a colpirla.
Le facevano male i piedi. Le facevano incredibilmente male.
Abbassò lo sguardo, osservando come erano stati completamente fasciati dai paramedici e come ora non stesse indossando delle scarpe.
«Shirogane, cosa sta facendo?– un agente di polizia si era avvicinato a lei e l’aveva immediatamente coperta con il suo ombrello –Ha bisogno di qualcosa?»
Naoto scosse la testa.
«Voglio solo sapere cosa sta succedendo. Perché Dojima non ha ancora catturato Tohru?» domandò, alzando lo sguardo.
L’agente la guardò, leggermente a disagio.
«Adachi è comunque un poliziotto, è allenato.– le spiegò, grattandosi la testa –È normale che non si faccia catturare tanto facilmente.»
Sì, aveva ragione.
Era una cosa normale.
Se solo lei non continuasse a vedere i colori che non facevano che cambiare.
«Posso andare da loro?»
Doveva vedere la situazione con i suoi occhi.
Doveva assolutamente riuscire a capire cosa stesse succedendo.
L’agente non sembrava del tutto convinto.
«Potrebbe farsi male.» le disse, cercando di farla ragionare.
Naoto si guardò un attimo.
Tanto oramai, peggio di così.
«Sono la sua anima gemella. Posso provare a calmarlo.– tentò –Devo parlare con lui.»
Sapeva che in realtà non era quello il suo scopo.
L’unico motivo per cui Naoto voleva andare da Tohru, era per capire cosa stesse succedendo, e agire di conseguenza.
L’agente si guardò intorno.
Poi, sbuffò.
«Non sono nessuno per fermarla, Shirogane.– le disse, facendo un passo indietro –Vada pure, ma non dica a Dojima che sono stato io a lasciarla andare.»
Naoto annuì, riprendendo a camminare lungo la parete del capanno per raggiungere l’entrata dall’altro lato.
Fu solo quando era ormai a metà strada, che la ragazza li sentì.
«Adachi, ti ho detto di mettere giù la pistola!»
La voce di Dojima era più alta del solito.
Non l’aveva mai sentito così, come se ci fosse un pericolo imminente.
La detective accelerò il passo, nonostante tutto il suo corpo le lanciasse fitte di dolore.
Svoltò l’angolo e fu in quel momento che vide che il suo superiore si trovava davanti all’entrata del capanno, insieme ad altri agenti.
Tutti puntavano le pistole verso l’interno.
«Io ho detto che lo uccido se pensate di fare qualche gioco strano.»
Naoto sussultò leggermente, quando sentì Tohru pronunciare quelle parole dall’interno del capanno.
I suoi dubbi erano fondati.
Dalla voce non sembrava in pena, né che fosse particolarmente dolorante.
Allora perché la sua visione continuava a cambiare…?
«Libera l’ostaggio. Adesso.»
Dojima continuava ad urlare verso l’interno del capanno.
Un ostaggio?
Chi stava usando come ostaggio?
Come poteva star minacciando qualcuno se doveva essere ferito?
«Ho detto che voglio parlare con quella sgualdrina. Fatemela vedere.»
La detective sentì un brivido lungo la schiena.
Stava parlando di lei…?
Improvvisamente le sue gambe iniziarono a tremare.
Possibile che volesse ancora farle del male? Nonostante i poliziotti avessero ormai circondato il capanno…?
«Shirogane è ferita, la stiamo cur-»
Uno sparo esplose e la visione di Naoto si fece nuovamente grigia per un secondo.
«Adachi!»
«Questa volta l’ho mancato.– disse Tohru, la voce calma come al solito –Ma se non vedo Naoto entro 3 minuti nel punto in cui sei tu, a Tatsumi salta la testa.»
Fu come se una doccia d’acqua fredda la colpisse in pieno.
Kanji.
Kanji era ancora là dentro.
Kanji era l’ostaggio.
Una fortissima sensazione di rabbia la pervase.
Doveva aiutarlo. Doveva fare di tutto per salvarlo.
Le sue gambe iniziarono a muoversi senza che lei potesse farci niente.
«Vai a prenderla Dojim-.»
«Non ce n’è bisogno, sono già qui.»
Dojima si voltò immediatamente verso di lei quando la ragazza pronunciò quelle parole, raggiungendoli e piazzandosi davanti all’entrata del capanno.
«Shirogane!»
«Ecco vedi, Dojima? Lei a differenza tua sa che deve obbedire.»
Naoto non lo stava ascoltando.
Continuava ad esaminare la scena di fronte a lei, cercando di ottenere più informazioni possibili per capire come era meglio agire.
Tohru era in piedi, nel bel mezzo del capanno.
Era ferito, certo; ma niente di così grave in fondo.
Quello messo male era Kanji.
Il ragazzo era seduto contro il muro, aveva il respiro pesante e teneva il braccio intorno allo stomaco, come se fosse stato colpito con forza.
Una pozza di sangue si era espansa da sotto la sua gamba sinistra e la detective notò con orrore che Tohru doveva avergli sparato.
Due volte a giudicare dai due buchi ben visibili dal punto in cui lei si trovava.
Rischiava di morire dissanguato se non si sbrigava.
«Su Naoto, entra.»
Naoto riportò nuovamente lo sguardo all’uomo davanti a lei e vide solo in quel momento che Tohru teneva il braccio teso, la pistola puntata dritta alla testa di Kanji.
«Shirogane, non farlo.» Dojima le sussurrò quelle parole, visibilmente preoccupato.
Ma la ragazza non poteva stare ferma.
Doveva intervenire.
Doveva assolutamente mettere fine a quella storia.
«Naoto,– la voce di Tohru si era fatta più impaziente, il dito sul grilletto si stava muovendo –entra. Adesso.»
«N-Naoto, n-non farlo.»
Questa volta fu Kanji a parlare.
«Sbrigati o lo ammazzo.»
La ragazza si voltò verso Dojima.
«Mi dispiace.» disse, togliendosi la giacca che lui le aveva prestato e restituendola all’uomo.
Poi, sotto lo sguardo terrorizzato del suo supervisore, la ragazza entrò all’interno del capanno.
«Chiudi la porta.» le ordinò Tohru, sorridendo.
Naoto annuì.
In quel mese in cui erano stati insieme, la ragazza aveva notato quanto lui si sentisse appagato quando lei annuiva e basta, senza dire una parola.
Non sapeva perché le era sembrata una cosa normale fino a quel momento.
Non riusciva a spiegarselo.
«N-Naoto, s-scappa, p-per favore.»
Poteva sentire la voce di Kanji provenire dalla sua sinistra, ma la ragazza non si voltò.
Sapeva che, se lo avrebbe fatto, Tohru non avrebbe esitato a sparargli.
«La porta, Naoto. Senza voltarti.»
«Shirogane non farlo!»
La detective ignorò Dojima e portò una mano dietro la schiena, chiudendo la porta alle sue spalle.
Poteva sentire le urla del poliziotto dall’altro lato, ma sapeva che, se gli avrebbe risposto, la situazione avrebbe preso una piega ben peggiore.
«Vedo che sei obbediente come al solito.– le disse l’uomo, sorridendole –Eppure prima sei scappata. Non mi è piaciuto poi così tanto quel tuo comportamento, sai?»
Naoto non disse nulla.
Doveva assolutamente tirare fuori Kanji da quella situazione.
Doveva in tutti i costi salvare quel ragazzo.
«Su, adesso fa la brava e inizia a spogliarti.– le ordinò Tohru –Facciamo vedere a Kanji quanto ci amiamo, ti va?»
Naoto poteva sentire lo sguardo di Kanji posato su di lei.
Era come se cercasse di implorarla di scappare, di non fare niente di quello che l’uomo le stava chiedendo, di salvarsi e lasciarlo lì se necessario.
La ragazza portò una mano alla sua cintura, afferrando la sua pistola.
«Naoto, cosa stai facendo?»
«Mi dispiace, Tohru.»
No, non era vero. Non le dispiaceva affatto. 
Naoto puntò la pistola contro l'uomo di fronte a lei, il braccio fermo, mentre lo osservava con uno sguardo di ghiaccio.
Tohru scoppiò a ridere.
«Oh andiamo, Naoto.– disse, incredulo –Pensi davvero che io ci cada? Non prendermi in giro, sappiamo entrambi che tu non vuoi uccidermi.»
La detective non si mosse.
Era strano.
Era molto strano.
Ma era come se tutto in quel momento avesse riacquistato un senso.
«Perché non dovrei?» rispose lei, continuando a puntare la pistola contro l'uomo.
Tohru scosse la testa, con il suo solito fare teatrale.
«Perché siamo anime gemelle, no?– le disse, alzando le spalle –Vuoi davvero distruggere ciò che il destino ha creato, Naoto?»
Quante volte le aveva detto quella frase durante quel mese?
Tante, troppe per contarle.
Ogni volta che lei vacillava, lui le ricordava quel fatto, come se quello lo autorizzasse a farle fare tutto quello che lui voleva.
«Siamo fatti l'uno per l'altra,– Tohru aveva ancora quel sorriso stampato in volto –lo hai detto tu stessa, ricordi?»
Sì, ricordava; ricordava perfettamente.
E ora si sentiva anche fin troppo stupida per averlo anche solo pensato.
«Dai su, metti giù la pistola e inizia a fare la brava.»
«Scordatelo.»
Quella situazione le sembrava quasi irreale.
Normalmente si sarebbe aspettata di avere paura, di non riuscire neanche a parlare, come era successo solo un’ora prima, in quello stesso capanno.
Invece adesso non provava alcun tipo di terrore.
Non provava neanche rabbia, a dire la verità.
Solo puro odio.
«Ehi.– la voce di Tohru era dura, il sorriso era scomparso dal suo volto –Vedi di non farmi arrabbiare.»
La ragazza incrociò il suo sguardo.
E fu in quel momento che vide gli occhi di Tohr- Adachi spalancarsi.
Come se solo in quel momento avesse capito che lei non gli avrebbe più dato ascolto, che lei non era più il suo pupazzo; che non era più la sua “bambola”, così come aveva detto Rise quella sera.
«Naoto...? Cosa stai...?»
La ragazza ripensò a tutto quello che aveva subito in quel mese.
Ad ogni volta in cui l'aveva costretta a fare qualcosa che lei non voleva.
Ad ogni volta che lei aveva compiaciuto quell’uomo.
Ad ogni fottutissima volta in cui lei aveva nascosto la vera se stessa, in cui aveva rinchiuso il suo istinto da detective in un angolino del suo cervello, in cui si era lasciata comandare da quello sporco assassino.
«Va' al diavolo.» sussurrò, mentre tutte le emozioni che aveva tenuto rinchiuse dentro di lei fino a quel momento esplodevano.
Adachi portò immediatamente il dito al grilletto, pronto ad uccidere il ragazzo.
Ma Naoto si mosse per prima.
L'uomo urlò dal dolore quando il colpo della detective arrivò alla sua spalla, facendogli perdere l'equilibrio.
Sparò anche lui, ma il proiettile non raggiunse Kanji: si conficcò nel pavimento, almeno a 20 cm dalla gamba del ragazzo.
«N-Naoto...»
La voce che Adachi aveva usato in quel momento era un sibilo.
La ragazza  si preparò a esplodere il colpo successivo, puntando stavolta la pistola alla sua testa.
«Questa volta è il tuo braccio.– disse, ripetendo le stesse parole che l'uomo aveva detto poco prima, modificandole leggermente –Ma se non metti giù la pistola entro 3 secondi, la tua testa salta.»
L’uomo la guardò, incredulo.
«Shirogane!»
Quando Dojima entrò nel capanno, urlando il suo nome, Adachi aveva già lasciato cadere l’arma e si era messo in ginocchio.
La ragazza non si voltò verso il suo superiore.
Tenendo sempre la pistola ferma verso il suo obiettivo, corse verso Kanji, inginocchiandosi accanto a lui e abbassando l’arma solo quando vide Dojima e gli altri poliziotti andare a catturare l’uomo che era ormai a terra.
«N-Naoto…»
La sua voce era dolorante.
Doveva star provando dolore.
«Non parlare.– gli disse lei, strappando il bordo inferiore del suo vestito e fasciandogli la gamba come meglio poteva –Adesso andrà tutto bene. È tutto finito.»
Kanji la guardava, preoccupato.
«S-sicura di stare bene?» le chiese, mentre i poliziotti portavano via Adachi e chiamavano i paramedici.
Naoto lo guardò, sentendo una sensazione che mai aveva sentito prima invaderle il petto.
Non era lei quella che era gravemente ferita.
Non era lei quella che aveva rischiato di morire.
Non era lei quella che aveva fatto a pugni e si era presa due proiettili nella gamba.
Eppure lui si preoccupava per lei.
«Sì, sto bene.– rispose, quando notò che lo sguardo del ragazzo si era fatto più preoccupato, vedendo che lei non accennava a rispondere  –Sei tu quello che è messo male adesso, non io. Dobbiamo pensare a te.»
Fortunatamente la ferita che gli era stata inflitta non era mortale e non era neanche poi così tanto grave come le era sembrata alla prima occhiata.
Fu in quel momento che Kanji le mise un braccio intorno alla schiena e la tirò a sé, stringendola contro il suo petto.
Naoto sapeva fin troppo che, normalmente, se quella fosse stata una qualsiasi altra persona, si sarebbe immediatamente staccata da quell’abbraccio.
Ma quella sensazione di sicurezza, che mai aveva provato prima di allora, la travolse, la detective eliminò immediatamente qualsiasi minimo tentativo di resistenza.
Si lasciò abbracciare, mentre sentiva un calore che mai aveva sentito prima invaderla completamente.
Poi, lentamente, portò anche lei le braccia intorno al suo busto, stringendolo con più forza, mentre il suo corpo iniziava a tremare.
Fu in quel momento che lo notò.
Gli occhi di Naoto si spalancarono quando quel piccolo dettaglio, che fino a quel momento le era sfuggito, si faceva così evidente davanti ai suoi occhi. 
Il sangue.
Il colore del sangue che era a terra era adesso molto più vivido di prima, come se stesse brillando.
La ragazza alzò immediatamente lo sguardo, guardandosi intorno.
E rimase senza fiato.
Tutti i colori della stanza erano come se fossero molto più intensi del solito.
Erano così brillanti e luminosi che Naoto pensò che fosse come se in realtà, fino a quel momento, ne avesse visto solo una versione spenta e smorta di quelle stesse sfumature, come se il mondo fosse ancora più bello di come lei lo avesse visto fino ad allora, come se…
...come se stesse venendo i colori per la prima, vera, volta.
E fu in quel momento che tutti i pezzi andarono al suo posto.
Ricordò come i colori continuassero a sparire dalla sua visione e venissero soppiantati da quell’odiosa scala di grigi, nonostante Adachi non fosse ferito.
Ricordò cosa aveva passato quella sera.
Ricordò come Kanji era riuscito a farla sentire viva dopo tanto, troppo tempo.
Ricordò come le sue sole parole fossero state in grado di riattivare il suo cervello, completamente spento a causa di Adachi e il modo in cui quell’uomo la aveva manipolata.
Ricordò il giorno in cui aveva incontrato il ragazzo a scuola, il modo in cui il suo cuore aveva reagito quando aveva incrociato il suo sguardo, ciò che lei aveva provato quando lo aveva visto seduto al banco dietro al suo, a pochi centimetri da sé.
Ricordò l’espressione sconvolta e triste che Rise aveva fatto sul tetto della scuola, mentre osservava la reazione del ragazzo quando lui aveva sentito che lei pensava fosse Adachi la sua anima gemella.
Ricordò il momento in cui lui era uscito dall’ufficio di Adachi e lo sguardo triste che le aveva lanciato, prima di tornare a osservarla con quella sua solita freddezza e inespressività.
Ricordò il suo primo giorno ad Inaba.
Ricordò quando aveva visto lui e Adachi per la strada.
E, soprattutto, ricordò il mondo che si era colorato intorno a lei, quando aveva incrociato il suo sguardo.
Per la prima volta da quando era entrata in quel capanno, Naoto sentì tutta la paura che aveva provato sparire completamente e venire sostituita da una forte sensazione di calma e di tranquillità.
Una prima lacrima le rigò il viso e lei nascose il volto nell’incavo del collo del ragazzo, mentre le sue spalle iniziavano ad essere scosse dai singhiozzi.
Kanji la strinse di più a sé, posandole il mento sulla testa.
E anche dopo l’arrivo dei paramedici loro restarono così, in silenzio, fino a quando Naoto non verso tutte le lacrime accumulate in quell’inferno che era, finalmente, finito.
 

QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Ricevere avances indesiderate (M2)
NUMERO PAROLE: 18085
PERSONAGGI: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi, Tohru Adachi, Rise Kujikawa, Ryotaro Dojima, altri
COPPIE: NaotoxAdachi, NaotoxKanji
AVVERTIMENTI: Soulmate!AU dove non si vedono i colori prima di incontrare la propria anima gemella; UnderAge. 

Un irrisolvibile caso di omicidi.

Ecco cosa aveva spinto Naoto Shirogane a salire sul primo treno disponibile per Inaba, una piccola cittadina sperduta nella campagna.

Non aveva mai sentito parlare di quel luogo prima di allora, ma era bastata una telefonata dal suo segretario per farle accettare immediatamente l’incarico. Dopotutto non le capitava da mesi un caso così intrigante, senza considerare il fatto che se fosse riuscita a risolverlo la sua fama da “Principe Detective” sarebbe aumentata. Doveva far di tutto per scalare la vetta.

Certo, però, non si sarebbe minimamente aspettata di ritrovarsi in difficoltà fin dal momento del suo arrivo.

La ragazza si passò una mano tra i capelli, sospirando.

A chi poteva mai venire in mente di creare una mappa dove si utilizzavano i colori come punto di riferimento?

Naoto osservò nuovamente i vari punti indicati sulla cartina che aveva nella mano destra, cercando di distinguere le diverse tonalità di grigio che riusciva a intravedere, ma anche in questo modo le era impossibile capire quali di quelli fosse rosso, verde o giallo… come del resto era impossibile per la maggior parte della popolazione mondiale. Ma evidentemente la polizia di Inaba non aveva pensato a questo piccolo inconveniente quando le avevano spedito quella mappa per orientarsi. Oppure, come era molto probabile, era solo un modo per metterla in difficoltà, così come facevano molti adulti nel suo lavoro ogni volta che venivano a conoscenza della sua età.

“Mantieni la calma, Shirogane.”

Naoto ripiegò la mappa e la ripose nuovamente nel bagaglio, decidendo che forse era molto più facile un approccio diretto.

Da quel poco che era riuscita a capire osservando la cartina, la stazione di polizia non doveva essere molto lontano da lì e quindi sarebbe riuscita ad arrivarci in tempo e, magari, per strada avrebbe trovato qualcuno con informazioni più precise da darle.

Con questo pensiero in testa, uscì dalla stazione, trascinando dietro di sé il pesante bagaglio, così grande da farla sembrare ancora più piccola di quel che era, nonostante i tacchi che indossava.

Il vento freddo che la salutò non appena superò i tornelli, la costrinse a portare una mano al suo cappello per impedire che questo volasse via e la ragazza si fermò un attimo ad osservare il paesaggio che si era aperto all’orizzonte, rimanendo leggermente stupita di come le montagne e gli edifici della cittadina si amalgamassero alla perfezione. Il cielo era incredibilmente limpido e sereno, con neanche una nuvola che minacciava di coprire quello che suo nonno aveva da sempre definito “il blu che gli aveva cambiato la vita”.

Certo, questo Naoto non poteva capirlo, o almeno non ancora.

L’unica cosa che vedeva era quella triste e monocroma tonalità di grigi che, fin dalla sua nascita, era il limitatissimo spettro di colori che la ragazza (così come il resto della popolazione) poteva distinguere.

“«Un giorno riuscirai anche tu a capire cosa vuol dire rimanere incantati di fronte ad un paesaggio Naoto.–“ le aveva detto suo nonno, quando lei aveva circa quattro anni “–Devi solo trovare la persona giusta.»”

Cercare la persona che le avrebbe fatto capire come era davvero il mondo.

Quello era stato il suo obiettivo da quel momento, e non c’era giorno che non passasse a pensare a come sarebbe stato.

Poi, col tempo, quell’idea si era come cancellata dalla sua mente.

Suo nonno era morto, lei aveva ereditato tutta la fortuna degli Shirogane e il peso di dover portare avanti il lavoro di famiglia.

Aveva dieci anni quando iniziò a vestirsi da ragazzo, indossando (facendosi aiutare dal signor Yakushiji, il suo fedele segretario) il colore che suo nonno amava tanto.

Doveva in tutti i modi riuscire a fare carriera.

Ed era per quello che ora si trovava lì, a guardarsi intorno in quella piccola cittadina, pronta a risolvere il caso che finalmente le avrebbe dato lo slancio giusto per sentirsi chiamare una vera Shirogane…

Fu solo quando urtò leggermente contro un lampione che la ragazza si rese conto di aver continuato a camminare fino ad allora senza una meta, vagando per quella cittadina senza osservare minimamente il suo percorso.

Riscossasi dai suoi pensieri, si guardò velocemente intorno, cercando di capire dove si potesse trovare.

Una fermata dell’autobus, una stazione di servizio, un negozio di tofu...

Dannazione, si era completamente persa. 

Frustata tirò nuovamente fuori la cartina dalla propria valigia, sperando di poter individuare il luogo in cui si trovasse, ma non ebbe per niente fortuna.

Forse avrebbe davvero dovuto chiedere aiuto a qualcuno…

«Tatsumi, è già la quarta volta questo mese.»

La voce di un uomo le fece alzare la testa e la ragazza fu tentata di tirare un sospiro di sollievo.

Due persone si trovavano poco più avanti, di fronte all’entrata di quello che doveva essere il tempio della città.

«Non ho fatto niente. Ora se ne vada.» rispose il più giovane tra i due.

Naoto lo guardò per un secondo, trattenendo l’impulso di roteare gli occhi al cielo. Capelli di un grigio fin troppo chiaro per non essere tinti, tatuaggio di un teschio su un braccio, piercing che ricoprivano qualsiasi punto del suo viso… chiunque poteva capire che tipo di persona fosse il ragazzo che stava parlando con quell’uomo.

«Mandare all’ospedale cinque uomini è niente, eh?– sbuffò l’altro, portando una mano dietro al collo –Andiamo Tatsumi, stavolta l’hai fatta grossa...»

L’uomo che aveva pronunciato queste parole era invece vestito con una giacca elegante e una cravatta di un grigio acceso al collo.

«Ti ho detto di andartene.– disse il ragazzo, chiaramente irritato –Non ho niente a che fare con voi sbirri.»

Alla parola “sbirri” Naoto si riscosse.

Osservò con più attenzione l’uomo, distogliendo lo sguardo da quella cravatta che spiccava fin troppo tra il resto del grigio 

della sua persona, e notò che teneva qualcosa nella mano destra. Un distintivo.

Evidentemente alla fine la fortuna girava dalla sua parte.

Afferrò con più forza il manico della propria valigia e iniziò a camminare verso i due che nel frattempo continuavano a litigare.

Il rumore delle ruote del suo bagaglio doveva aver attirato l’attenzione su di lei, perché i due si voltarono nella sua direzione.

I loro sguardi, anche se per un solo momento, si incrociarono.

E fu in quel momento che accadde.

Un’enorme scossa la attraversò da parte a parte e Naoto dovette appellarsi a tutte le sue forze per non cadere in ginocchio, mentre la sua testa iniziava a girare e a lanciarle forti fitte di dolore.

Abbassò lo sguardo e si portò le mani alle orecchie, lasciando andare il manico della propria valigia, chiudendo gli occhi e cercando di eliminare quel rumoroso ronzio che diventava sempre più forte e la stava facendo impazzire.

Poteva sentire il cuore battere all’impazzata nel suo petto, come se stesse cercando di forare la gabbia toracica e uscire all’esterno.

Il respiro le mancò, il ronzio si fece di colpo più forte e la ragazza sentì la testa continuare a girare, sempre più forte.

Una fortissima sensazione di nausea la travolse e si accorse che le sue gambe avevano ceduto solo quando sentì una fitta di dolore arrivare dalle sue ginocchia... 

Poi, tutto finì come era iniziato.

Ancora scossa da quello che era appena accaduto, Naoto ansimò e cercò di tornare a respirare nuovamente, con il cuore che ancora continuava a pulsarle con forza nel petto.

Poi, con lentezza, aprì gli occhi, iniziando ad allontanare le mani dalla sua testa. E si fermò.

C’era qualcosa di diverso.

Qualcosa di incredibilmente diverso.

Sull’asfalto, grigio scuro come al solito, vi erano adesso due piccole macchie di un colore che non aveva mai visto prima e la ragazza assottigliò lo sguardo e allungò una mano di fronte a sé, per analizzare quell’oggetto tanto strano.

I suoi movimenti si bloccarono nuovamente quando notò che anche la sua pelle non era più come prima.

Non si trattava minimamente del grigio chiaro che era abituata a vedere fino a quel momento. No, a dire la verità, non si trattava di alcun tipo di grigio che aveva mai visto prima di allora.

Il suo cuore, che solo in quel momento aveva ripreso un battito minimamente regolare, si bloccò quando si rese conto che quello non doveva essere grigio.

Quando quella verità la colpì, Naoto alzò di scatto la testa.

E fu come se vedesse il mondo per la prima volta.

Tutto era così luminoso e così colorato che la ragazza sentì il fiato bloccarsi nella sua gola.

Il grigio non c’era più.

Quell’odiosa monocromia che l’aveva seguita fin da quando era nata era adesso completamente scomparsa e ad un primo sguardo Naoto neanche pensò di trovarsi nello stesso posto di prima.

La strada era ancora desolata e chiaramente fatiscente, ma allo stesso tempo i numerosi colori che la popolavano la rendevano venti, no trenta, anzi cento volte più bella e affascinante di prima.

E il cielo?

C’era davvero bisogno di parlare del cielo?

Ora capiva cosa le aveva da sempre detto suo nonno, cosa volesse dire che niente era più blu del cielo sopra di loro.

E Naoto poteva constatarlo in quel momento: era così blu che quando alzò lo sguardo pensò di poter annegare in quel meraviglioso colore che mai aveva visto prima ma di cui già era diventata dipendente.

«Tutto bene?»

La voce preoccupata dell’uomo la colse alla sprovvista.

La ragazza abbassò il viso immediatamente, incrociando nuovamente lo sguardo con quegli occhi così profondi e adesso anche così pieni di sfumature diverse di colore del poliziotto davanti a lei che la stava guardando preoccupato, tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi.

E in quel momento capì di aver trovato la sua anima gemella.

Tutto ciò che Naoto aveva costruito fino a quel momento e tutto ciò che aveva cercato di perseguire le apparve improvvisamente senza alcun senso.

Sentì il suo corpo tremare leggermente quando l’uomo si avvicinò di più, visibilmente preoccupato per la sua salute.

«Ehy, vuoi che chiami qualcuno?»

«No, sto bene.– rispose, sentendo il suo cuore cominciare nuovamente a battere nel petto –La ringrazio per essersi preoccupato.» aggiunse poi, afferrando la sua mano e alzandosi da terra.

Non poteva crederci.

Lo aveva trovato.

Lo aveva trovato davvero.

Naoto poteva sentire la sua mano continuare a tremare, mentre il calore di quella dell’uomo continuava a riscaldarla.

Abbassò lo sguardo, osservando la differenza delle loro mani.

La sua era così piccola in confronto che sembrava quasi scomparire stretta in quella dell’altro.

Chissà quanti anni di differenza avevano.

Non che importasse in fondo, anche i suoi genitori da quel che le aveva detto suo nonno avevano molti anni di differenza l’uno dall’altra…

«Ehm… sicuro davvero di stare bene?»

Fu solo quando l’uomo le parlò nuovamente che Naoto si rese conto di stare ancora stringendo la sua mano, nonostante fossero passati sicuramente più di 40 secondi da quando si era alzata.

Imbarazzata la lasciò andare, trattenendo una risatina nervosa.

“Ma che cavolo stai facendo Shirogane?!”

«Sì, mi scusi.» rispose e si maledì interiormente quando sentì come la sua voce fosse ridotta a quasi uno squittio.

L’uomo la guardò interdetto per un attimo, come se non stesse capendo minimamente quello che stava succedendo.

Naoto dal canto suo non stava ragionando abbastanza per pensare ad una spiegazione a questo fatto.

Stava andando nel panico. Completamente nel panico.

Erano anni che non pensava più a trovare la sua anima gemella e, adesso che l’aveva davanti, non sapeva davvero come comportarsi.

«Beh allora buona giornata...»

«Sono Naoto Shirogane.– disse la ragazza, in un disperato tentativo di non farlo allontanare –Sono arrivato poco fa col treno da Tokyo, ma non so come raggiungere la stazione della polizia.»

L’uomo la guardò nuovamente, squadrandola da capo a piedi.

«Quindi saresti tu il detective che ci hanno mandato?»

La ragazza annuii, ignorando completamente il tono quasi dispregiativo che era stato usato nei suoi confronti.

«Sì, sono io.– rispose lei, cercando di tornare a indossare la sua solita maschera fredda e di mostrarsi più alta, tenendo dritte le spalle –Se non le dispiace accompagnarmi, potrebbe farmi strada?»

Le parole le uscivano da sole dalle labbra, in un chiaramente tentativo disperato di rimanere con lui il più possibile.

In effetti, il fatto che lui non accennasse minimamente a quello che era appena accaduto era strano, molto strano. Il problema era la loro differenza di età? O forse il fatto che lui fosse in servizio e quindi non poteva farsi vedere in una situazione del genere dai civili. Forse se si fossero trovati soli, lui avrebbe accennato a quello che era successo…

L’uomo si voltò leggermente, puntando lo sguardo dove prima si trovava l’altro ragazzo. Poi sbuffò e si passò una mano dietro il collo.

Naoto registrò immediatamente quel movimento che gli aveva visto già fare in precedenza, mentre parlava con il ragazzo di poco prima che, nel trambusto che si era creato, se ne era andato. Sembrava lo facesse in modo involontario quando si trovava in difficoltà.

«Io sono Tohru Adachi.– disse poi, rompendo finalmente il silenzio che aveva iniziato a mettere ancora più ansia a Naoto –Vieni, ti accompagno.»

Naoto sorrise leggermente, ringraziandolo.

Poi, seguì l’uomo verso la sua auto, cercando con tutta se stessa di fermare il cuore che continuava, imperterrito, a martellarle nel petto.

~

La prima cosa che Naoto fece, quando quella sera entrò nell’appartamento che aveva affittato ad Inaba, fu lanciarsi sul letto, affondando completamente il volto nel cuscino.

Era stata una giornata pesante. Destabilizzante per l’esattezza.

Non solo chiunque a lavoro l’aveva trattata come se fosse una bambina (cosa a cui oramai era fin troppo abituata), chiedendole più volte di rimanere buona in quello che doveva essere l’ufficio che le avevano preparato; non solo questo fantomatico ufficio era pressoché inesistente, visto che era una semplicissima scrivania accatastata in un angolo, con una marea di fogli e fascicoli che si trovavano su di essa; non solo aveva scoperto fin troppo poco del caso, come se la polizia di Inaba stesse cercando di tenerla fuori dai giochi il più possibile; ma Adachi non aveva fatto minimamente niente per parlare con lei: non l’aveva cercata, non l’aveva neanche salutata quando era uscita e, in alcuni casi in cui era lei ad aver provato a parlarci, l’aveva anche ignorata!

Naoto ripensò a come si era sentita tesa quando era salita in macchina con quell’uomo, come aveva sentito il cuore battergli nel petto mentre si trovava lì, a soli pochi centimetri da quella che il destino aveva scelto come sua anima gemella… e a come si fosse sentita quando aveva notato che lo stesso fantomatico destino la stava prendendo solamente in giro.

La ragazza lasciò andare un lungo sospiro, tirandosi su a sedere e stringendo il cuscino tra le braccia.

C’era qualcosa di strano, qualcosa che continuava a bussarle il cranio dall’interno come per dirle che ci doveva essere un errore, un dettaglio che le stava sfuggendo.

Non era la prima volta che Naoto provava quella sensazione, le era capitato fin troppo spesso nella sua vita da detective.

Che il problema fosse la sua età?

Dopotutto questo le aveva sempre causato molti grattacapi a lavoro… e forse ora glieli poteva causare anche nella sua vita sentimentale.

Un tuono interruppe i suoi pensieri e la ragazza si voltò verso la finestra, accorgendosi solo in quel momento che aveva iniziato a piovere.

Non potè che rimanere affascinata di fronte alle piccole gocce che scivolavano lungo il vetro e che riflettevano la luce del lampione vicino, emanando piccoli luccichii.

Ancora non si era abituata al cambiamento drastico che il suo mondo aveva subito poche ore prima.

Tutti i colori che aveva incontrato in quella giornata e che continuava a trovare la incantavano completamente, affascinandola sempre di più.

Visto che i suoi colleghi non l’avevano presa molto in considerazione, aveva anche passato gran parte del suo orario lavorativo a cercare immagini e nomi dei diversi colori e delle varie sfumature che ora poteva vedere al mondo. Ed era solo grazie ad Adachi se questo era possibile.

Un piccolo sorriso le piegò le labbra e Naoto sentì la sua solita sicurezza tornare a fluire nel suo corpo.

Non doveva perdersi d’animo.

Ogni volta che la sua vita le aveva posto davanti un ostacolo, lei era sempre riuscita a superarlo, dimostrando al mondo intero chi era davvero Naoto Shirogane.

E questa volta non sarebbe stata da meno.

Avrebbe parlato con Adachi, gli avrebbe fatto capire che lei non era solo una bambina, così come lui credeva. Che lei era in grado di risolvere anche questo terribile caso di omicidi che continuava a invadere la tranquillità di quella cittadina.

Naoto si alzò, si sedette sulla sedia di fronte alla piccola scrivania e afferrò uno dei pochi fascicoli che era riuscita ad ottenere in centrale, iniziandolo a sfogliare e osservando per l’ennesima volta le due vittime che vi erano state fino ad allora.

La prima era stata un’annunciatrice televisiva: Mayumi Yamano. Era arrivata a Inaba da appena tre giorni e stava alloggiando nella locanda della città, quando è improvvisamente sparita durante la notte tra l’undici e il dodici aprile; la mattina dopo era stata ritrovata uccisa, appesa  ad un’antenna.

La seconda vittima invece era Saki Konishi, una liceale.

Naoto sentì un brivido correrle lungo la schiena quando si rese conto che avevano la stessa età.

Il modus operandi con cui l’assassino aveva trattato Konishi era identico a quello della Yamano: la ragazza era stata drogata, stuprata e uccisa con un coltello. Infine era stata appesa anche lei a testa in giù, in questo caso ad un palo della luce.

I coltelli utilizzati per uccidere le due donne erano stati ritrovati entrambi con i loro corpi: per Yamano il coltello era stato riposto sotto la sua cintura, per Konishi invece era stato legato al fiocco giallo che faceva parte della divisa scolastica della Yasogami High School, che ancora stava indossando quando era avvenuto il rapimento.

Se non fosse stato per il fatto che il metodo era lo stesso, nessuno avrebbe mai pensato che l’assassino di Yamano e quello di Konishi fossero la stessa persona.

Non vi era nessuna correlazione tra le due.

Yamano non risiedeva ad Inaba, mentre Konishi viveva lì da sempre. Yamano era una donna adulta, Konishi solo una liceale.

Anche da un punto di vista fisico le due vittime erano profondamente diverse e si poteva quindi escludere che l’assassino avesse sviluppato una sorta di avversione per alcune caratteristiche fisiche, così come spesso accadeva: Yamano aveva i capelli corvini e corti, era una donna abbastanza alta e aveva gli occhi grandi e scuri; Konishi invece era una ragazzina minuta, aveva i capelli lunghi e di un castano chiarissimo e gli occhi a mandorla. 

Inoltre le due non avevano alcun tipo di rapporto e, mentre Konishi conosceva praticamente ogni cittadino di Inaba, Yamano non conosceva nessuno se non i gestori della locanda dove alloggiava.

Solo una cosa le collegava l’una all’altra, facendo sì che la seconda vittima non fosse proprio completamente stata scelta a caso dopo la prima: Konishi era colei che aveva trovato il corpo di Yamano.

Che avesse visto qualcosa che l’assassino non voleva…?

Un altro fulmine cadde al suolo e Naoto si riscosse, uscendo dal suo momento di pura concentrazione.

Lanciò uno sguardo all’orologio sulla parete e notò solo in quel momento quanto fosse tardi.

Era meglio andare a dormire.

Poteva pensare il giorno dopo al caso. Aveva tempo dopotutto.

La ragazza chiuse il fascicolo e lo poggiò sulla scrivania, per poi cambiarsi e tornare nuovamente sul letto.

Avrebbe risolto quel caso.

Avrebbe dimostrato di non essere la bambina che tutti la accusavano di essere.

Avrebbe fatto vedere ad Adachi chi era sul serio e gli avrebbe fatto cambiare idea sul suo conto, portandolo finalmente a parlarle.

L’assassino non avrebbe fatto in tempo neanche ad uccidere una terza persona.

Con questa convinzione in testa, la ragazza spense la luce della camera e lanciò un ultimo sguardo alle gocce d’acqua che scivolavano lungo il vetro, per poi chiudere gli occhi e mettersi a dormire.

 

Forse aveva parlato troppo presto.

Naoto cercava di non congelare mentre si stringeva nel suo cappotto blu, tenendo le braccia incrociate e lo sguardo fisso in alto, puntato sull’albero.

Lì, era appeso un altro corpo.

Yukiko Amagi non era mai tornata a casa il giorno prima, dopo la scuola. I genitori avevano chiamato immediatamente le autorità, ma visto che non erano passate neanche 24 ore, quella segnalazione era passata in secondo piano.

E ora il suo corpo era lì, completamente bagnata dalla pioggia, la divisa scolastica ancora indosso, il coltello utilizzato per tagliarle la gola ben visibile nonostante l’altezza, in quanto era stato legato ai lunghi capelli neri della ragazza e ora penzolava, mosso dal vento.

A dare l’allarme era stata un’altra studentessa della Yasogami.

Chie Satonaka, 17 anni, colei che si era scoperto essere l’anima gemella di Amagi.

Da quel che erano riusciti a ricostruire dalla testimonianza frammentata di Satonaka, all’inizio la ragazza non era in pensiero. Amagi era solita non rispondere alle sue chiamate quando aveva da fare alla locanda di famiglia.

Poi però, qualcosa era cambiato.

Aveva sentito un forte ronzio alla testa e, quando aveva sbattuto le palpebre, i colori che conosceva oramai da anni erano spariti completamente, cosa che accadeva quando la tua anima gemella non c’era più.

Di fronte a ciò, Satonaka era corsa fuori casa, sperando che tutto quello fosse solo un incubo. Aveva vagato tutta la notte sotto la pioggia, fino a quando non aveva trovato il corpo di Amagi alle 4 del mattino.

«Non dovremmo tirarla giù?» azzardò Naoto, non smettendo di osservare quella scena, con un groppo che le si stava formando in gola.

Nella realtà non era per niente così calma come stava cercando di mostrare. La situazione le stava mettendo paura. Molta paura.

Non si era mai ritrovata davanti ad un caso di omicidi del genere e, ogni volta che il suo sguardo incontrava gli occhi semiaperti di Amagi, sentiva il sangue che le si gelava nelle vene.

Dojima, il capo del dipartimento di polizia che aveva conosciuto il giorno prima, si riscosse alle sue parole, come se anche lui fosse stato colto dalle sue stesse angosce che gli avevano impedito di pensare lucidamente. Poi annuì, dando ordine agli altri poliziotti sul posto di tirare giù la ragazza.

Mentre gli agenti si arrampicavano sull’albero, Naoto si guardò intorno, cercando di individuare qualsiasi dettaglio che potesse sfuggire ad una prima occhiata e che magari poteva adesso portarla ad identificare l’assassino.

Poco lontano, Adachi stava cercando di parlare con Satonaka che era caduta in ginocchio e stava piangendo e urlando, battendo i pugni contro l’asfalto bagnato, mentre una coperta era stata poggiata sulle sue spalle per non farle prendere freddo.

Naoto non riusciva neanche ad immaginare cosa si provasse.

Vedere la propria anima gemella venirti strappata via doveva essere una delle sensazioni più dolorose che si potesse provare in tutta la vita.

Senza che neanche se ne rendesse conto, la ragazza posò il suo sguardo su Adachi...

«Portate il coltello alla scientifica. Forse questa volta ci sono delle impronte che possono aiutarci.»

Dojima aveva iniziato nuovamente a dare ordini e Naoto si voltò, notando solo in quel momento che il corpo di Amagi era adesso a terra, sopra il telo verde.

Si avvicinò, indossando con i guanti in lattice che le avevano dato quando era stata chiamata sul posto quella mattina.

Mai aveva visto uno spettacolo più orribile.

L’intero corpo di Amagi era ricoperto dal suo stesso sangue, che era schizzato all’esterno attraverso i numerosissimi tagli che le attraversavano il corpo, il più grande dei quali era alla gola e doveva essere ciò che l’aveva uccisa.

La divisa era strappata e tagliata in più punti, la gonna era scomposta ed era stata chiaramente rimessa a posto alla meglio, dopo che l’assassino doveva averla violentata.

Le sue mani in compenso erano perfettamente pulite e, almeno ad una prima occhiata, non sembrava che la ragazza avesse lottato per la propria vita. Evidentemente era stata drogata anche lei, anche se ciò non si poteva ancora dire con certezza prima di una più accurata autopsia.

Quell’assassino era scaltro.

Terribilmente scaltro.

Un urlo acuto arrivò dalle sue spalle e Naoto si voltò, vedendo solo in quel momento che Satonaka si era avvicinata.

«Adachi! Dovevi tenerla lontana!» Dojima sgridò Adachi che, nel frattempo, cercava di tenere ferma la ragazza.

«Non è facile Dojima! E’ molto più forte di quel che sembra!» ribatté lui, afferrando la ragazza al volo quando le ginocchia di lei cedettero.

Satonaka ora era completamente priva di forze e l’unica cosa che continuava a fare era singhiozzare, sussurrando a malapena il nome di Amagi, come se questo potesse in qualche modo riportare in vita la sua anima gemella.

Naoto sentì il suo cuore frammentarsi completamente di fronte a quella scena.

«Portala in centrale Shirogane.– le disse Dojima, cogliendola completamente di sorpresa –Questo non è un posto per dei ragazzini.»

Stava succedendo di nuovo.

Stavano cercando di escluderla dalle indagini, di far sì che lei potesse esaminare al minimo il cadavere di Amagi così da avere meno prove su cui lavorare.

Ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di Dojima capì che forse non era quello il caso. L’uomo le stava mostrando uno sguardo preoccupato, che a lei ricordava molto quello che le lanciava suo nonno ogni volta che da bambina rimaneva ad ascoltare quando lui e i suoi colleghi parlavano dei casi che stavano risolvendo.

Aveva ragione: quello non era un posto per ragazzini. E, anche se forse in quel momento le stava dando della bambina, un professionista non poteva lasciare che Satonaka rimanesse lì, di fronte al corpo martoriato della sua amata.

Avrebbe dimostrato molta più maturità ad accettare quell’ordine, invece di insistere per rimanere a indagare.

«Va bene Dojima.– rispose, alzandosi e voltandosi verso la ragazza –Ci vediamo dopo in centrale. Voglio tutti i dettagli che trovate sulla mia scrivania.» continuò poi, portando un braccio intorno alla vita di Satonaka per sorreggerla.

Come se quello fosse facile.

Satonaka era almeno 20 centimetri più alta di lei…

«Sarà fatto Shirogane. Anche se non penso troveremo altro. L’assassino ha agito esattamente come le altre volte e non penso che questa volta abbia lasciato delle impronte.»

«Vorrà dire che faremo un’ipotesi col poco che abbiamo. Dobbiamo muoverci, prima che altre ragazze facciano la stessa fine.»

Dopo aver detto ciò, Naoto si voltò e, aiutando Satonaka a camminare, si diresse verso l’auto della polizia che le avrebbe portate in centrale.

 

Mayumi Yamano, Saki Konishi e ora anche Yukiko Amagi.

Naoto osservava le foto scattate dai poliziotti sulle diverse scene del crimine.

Erano tutte disposte sul tavolo di fronte a lei e c'era qualcosa che le accumunava, anche se non capiva bene cosa.

Prese tra le mani la prima, quella di Yamano.

Come si poteva vedere, la donna aveva ricevuto diverse pugnalate allo stomaco e al torace e il sangue si era riversato sui suoi vestiti bianchi, arrivando a macchiarli in maniera indelebile. Oltre a ciò, era ben visibile l'enorme taglio che la donna si trovava alla gola, e che doveva essere stato l'ultimo colpo inferto, quello mortale.

Ciò che maggiormente attirò l’attenzione della detective, fu comunque il fatto che il sangue non si trovasse solo sul corpo della donna. Questo era infatti anche riverso sull'antenna su cui lei era stata appesa e, inoltre, si trovava anche a terra, diluito in una pozzanghera d'acqua.

Naoto arricciò il naso, così come faceva ogni volta che il suo istinto le diceva che qualcosa era vitale nel dettaglio che aveva appena scoperto. Nonostante questa sensazione però, non aveva alcun indizio utile che l’aiutasse a capire cosa ci fosse di così importante.

Ripose la foto sulla scrivania e afferrò quella di Konishi, iniziando ad osservarla con la stessa attenzione che aveva riservato a quella precedente.

Così come la Yamano, Konishi presentava diversi tagli anche se, diversamente dalla donna, questi si trovavano sia sul petto che sulla parte esterna delle braccia, come se la ragazza in un barlume di coscienza avesse tentato di difendersi portando i propri arti davanti al suo corpo. Questa ipotesi poteva essere accertata anche osservando il taglio che la ragazza presentava alla gola: era molto più impreciso di quello che Naoto aveva visto sui colli di Yamano e di Amagi, come se l'assassino fosse stato colto alla sprovvista dal risveglio della ragazza e avesse dovuto ucciderla velocemente.

La detective osservò con più attenzione la foto che aveva tra le mani, cercando anche qui qualche dettaglio che le poteva essere sfuggito e che magari le avrebbe fatto finalmente avere un quadro completo sul modus operandi dell'assassino.

Ma non c'era poi così tanto da osservare in più.

L'unica cosa che quell’immagine mostrava, dopotutto, era la sola Konishi, appesa a quel palo della luce, con i vestiti zuppi e imbrattati di sangue.

Non vedendo via di uscita, Naoto passò all’ultima delle tre foto che aveva disposto sulla sua scrivania: quella di Amagi.

Non c'era poi molto da osservare in quell'ultima foto che le era stata consegnata da Dojima, due minuti prima.

Dopotutto, aveva vissuto lei stessa il ritrovamento di quel corpo solo poche ore prima, quando Satonaka aveva chiamato la polizia.

Naoto sospirò, lasciandosi completamente andare contro la sedia.

Poi si portò il dorso della mano sulla fronte, esattamente sotto la visiera del suo cappello, e chiuse gli occhi, come faceva ogni volta che cercava una risposta ad una domanda che sembrava non averne.

Sapeva che c’era qualcosa di importante in quelle tre foto.

Qualcosa che li avrebbe aiutati a individuare un comportamento caratteristico del loro assassino e che magari li avrebbe anche portati a scoprirne l’identità.

Ma cosa…?

«Satonaka, sei assolutamente certa di non aver visto nessun tipo sospetto aggirarsi intorno a Amagi?»

La voce di Dojima le arrivò alle orecchie e Naoto aprì leggermente gli occhi, puntando poi il suo sguardo sulla porta dell’ufficio dell’uomo, a pochi metri da lei.

Erano ore che quell’interrogatorio andava avanti.

Lui e Adachi erano entrati là dentro non appena erano tornati dalla scena del crimine e continuavano a fare domande a Satonaka, chiaramente cercando di trovare anche il minimo indizio utile. 

Ma Naoto sapeva che quella tortura era inutile.

Chie Satonaka non aveva assistito all'omicidio, aveva solo trovato il corpo di Amagi.

Non aveva neanche senso che continuassero a torchiarla in quel modo, come se fossero quasi sicuri che quella ragazzina indifesa potesse dare loro una rivelazione così grande da dare una svolta all’intero caso. 

Pensavano che fosse qualcuno che lei e Amagi conoscevano? Qualcuno che aveva magari pedinato la ragazza e che loro due potevano avere notato?

Quell'ipotesi non era impossibile, ma allo stesso tempo era fin troppo vaga per poter trovare il colpevole.

Alla fine dei conti, Inaba era solo una cittadina dispersa nella campagna: qui tutti si conoscevano, tutti si parlavano, tutti si incontravano.

Senza considerare il fatto che Yukiko Amagi era la figlia della proprietaria dell'Amagi Inn, l’unica locanda della cittadina.

Questo portava a due semplici conclusioni; primo: era più che normale che la ragazza conoscesse tutti gli abitanti di Inaba e che quindi potesse avere diversi potenziali nemici, anche senza che lei lo sapesse; e secondo: era la stessa locanda in cui aveva alloggiato Yamano.

E questo particolare era, secondo Naoto, l'unico motivo per cui Amagi era stata notata dall'assassino, così come allo stesso tempo era stata presa di mira Konishi.

Ma se quell’uomo prendeva di mira chiunque avesse avuto un minimo di contatto con i suoi omicidi…

Naoto si alzò, dirigendosi velocemente verso la stanza dove si stava volgendo l'interrogatorio.

Non c’erano dubbi.

Il prossimo target sarebbe sicuramente stata Chie Satonaka.

Bussò con insistenza alla porta e, quando sentì la voce di Dojima invitarla ad entrare, la aprì.

«Cosa c'è Shirogane?» le chiese l'uomo, puntando i suoi occhi su di lei.

Naoto incrociò il suo sguardo, guardando Satonaka con la coda dell'occhio.

«Sono quattro ore che la state interrogando e non penso che potrà darvi ulteriori informazioni.– gli fece notare lei, continuando a guardare l’uomo negli occhi –In più, se pensate che lei possa sapere chi è l'assassino, siete completamente fuori strada.»

Per un attimo, anche se solo per un attimo, Naoto potè notare una certa luce che fino ad allora non aveva visto negli occhi di Adachi.

Non sapeva bene cosa significasse, ma la ragazza provò una sensazione di felicità quando le sfiorò l'idea che potesse essere un moto di orgoglio che l’uomo aveva provato nei suoi confronti.

«Cosa intendi dire?»

Diversamente da quel che si aspettava, Dojima non la sgridò per aver interrotto il loro interrogatorio, né la cacciò come sempre avevano fatto gli altri poliziotti con cui aveva lavorato.

Anzi, la stava guardando con lo stesso sguardo che le aveva mostrato quella mattina, di fronte al cadavere di Amagi. Uno sguardo che, seppur compassionevole, mostrava fiducia nei suoi confronti.

Naoto fece fatica a trattenere il piccolo sorriso che si stava per formare sulle sue labbra di fronte a quei due agenti che, per la prima volta in vita sua, le stavano dando retta, senza trattarla come una bambina.

«Inizialmente, l’unico obiettivo del nostro assassino era Yamano.– disse lei, sistemandosi il cappello sulla testa, come faceva ogni volta che esponeva una delle sue teorie –Dopotutto è andato a colpire l’unica donna che si trovava qui da poco tempo, invece di iniziare fin da subito con le abitanti di Inaba.»

Dojima annuì leggermente.

Ottimo, la stava ascoltando.

«Ora veniamo ai due omicidi successivi. Sono convinto che, inizialmente, l’assassino abbia preso di mira Konishi e Amagi solo perché erano legate alla prima vittima; dopotutto,  Konishi è stata la ragazza che ha ritrovato il corpo, mentre Amagi colei che ha ospitato Yamano nella propria locanda. Forse entrambe hanno visto qualcosa che l'assassino non voleva che vedessero? Oppure l'assassino crede che sappiano qualcosa sul suo conto? Non lo so ancora. L’unica cosa che risulta chiara è che dopo l’omicidio di Yamano, l’assassino c’ha preso gusto, come dimostra il fatto che abbia ripetuto esattamente lo stesso modus operandi per uccidere le altre due vittime. Il punto è che adesso possiamo almeno ricavare una lista di chi possa essere la prossima persona a essere presa di mira.»

Quando finì di esporre la sua teoria, il silenzio calò completamente nella stanza.

Anche se nessuno parlava, tutti gli sguardi si erano posati su Satonaka che fino a quel momento era stata in silenzio, 

 gli occhi puntati in basso, mentre le lacrime le rigavano lentamente le guance e cadevano al suolo, senza emettere neanche un rumore.

«Volete dire che sarò io la prossima, vero?»

La voce con cui la ragazza pronunciò quelle parole era così rassegnata che Naoto si sentì in colpa per non averla fatta uscire dalla stanza prima di esporre la sua teoria.

«Satonaka...» provò a intervenire Dojima, portando una mano in avanti, come per poggiarla sulla sua spalla.

«Sarò io la prossima o no?» ripetè lei, la voce più tremante di poco prima.

In quel momento, fu Adachi a prendere la parola.

«È molto probabile che tu lo sia.»

Satonaka non rispose.

Continuò a guardare a terra, mentre le spalle continuavano a essere scosse dai singhiozzi.

Naoto potè vedere la gomitata che Dojima tirò ad Adachi, come per intimarlo ad avere un po’ più di tatto in una situazione del genere.

«Allora catturatelo prima che venga da me.»

Tutti e tre si voltarono verso la ragazza, non capendo cosa stesse dicendo.

«È ovvio che il nostro obiettivo sia catturarlo prima che arri-»

«Perché, se me lo ritrovo davanti,– le parole lapidarie di Satonaka bloccarono qualunque cosa Dojima stesse provando a dire –giuro che lo ammazzo.»

Anche Naoto non potè che rimanere sorpresa di fronte ad un’affermazione del genere, fatta all’interno di una centrale di polizia, in mezzo a due agenti e una detective.

Ma fu quando vide lo sguardo carico di odio di Satonaka che capì.

A lei non interessava minimamente quale sarebbe stato il suo destino. Non aveva paura, non le importava quello che le sarebbe successo, non le fregava di quello che quell’uomo avrebbe potuto farle.

Lei voleva ucciderlo.

Voleva vendicare la morte di Amagi con una tale forza che Naoto non aveva idea di cosa dirle. Lei non si era mai sentita così, non aveva mai provato un odio così grande verso una persona.

Lanciò uno sguardo ad Adachi che, nel frattempo, guardava anche lui Satonaka in modo sorpreso.

Chissà se anche lei avrebbe reagito in quel modo se a lui fosse successo qualcosa…?

«Beh, adesso posso andare?»

Vedendo che nessuno le rispondeva, Satonaka si era alzata dalla sua sedia, le lacrime che avevano completamente cessato di rigarle le guance.

Dojima la guardò per un attimo, come se stesse valutando se gli conveniva davvero lasciarla andare in quel modo.

Però, quando incrociò lo sguardo determinato della ragazza, non potè che annuire.

Senza neanche salutare, Satonaka superò Naoto e uscì dalla stanza, dirigendosi poi con passo deciso verso l’uscita della centrale, senza curarsi degli sguardi che i vari agenti di polizia le lanciavano al suo passaggio.

«Beh, speriamo che non lo ammazzi davver- ough.»

Dojima tirò una gomitata ad Adachi quando questo si lasciò sfuggire uno dei suoi commenti sarcastici.

«Non lo ucciderà perché noi lo troveremo prima. Basterà tenere d’occhio Satonaka.» disse l’uomo, continuando a lanciare occhiatacce al collega.

Naoto prese la parola.

«Dovremmo anche mandare degli agenti all’Amagi Inn.– propose –L’assassino potrebbe anche prendere di mira qualcuno che lavora là dentro.»

Dojima annuì.

«Bene, allora io torno alle mie indagini.» disse Naoto, soddisfatta di essere stata presa sul serio.

Prima che potesse uscire però, l’uomo la fermò.

«Shirogane, a proposito di Satonaka… avrei un favore da chiederti.»

La ragazza si voltò nuovamente verso di lui, ignara del fatto che quel “favore” sarebbe stata una delle missioni più difficili a cui lei avesse mai partecipato in tutta la sua vita.

~

“Questa è una pessima idea.”

Quello era stato l’unico pensiero di Naoto quando Dojima le aveva esposto ciò che lui aveva chiamato “favore” e che lei avrebbe invece rinominato volentieri “missione impossibile”.

E, nonostante fossero passati ben quattro giorni, la ragazza continuava a pensare la stessa identica cosa.

Con la divisa maschile della Yasogami High School indosso e la cartella sotto braccio, la detective si trovava ora di fronte al cancello principale del liceo di Inaba, ad osservare l'enorme quantità di studenti che entravano nell'edificio.

Ok, certo; era stata sua la supposizione che Satonaka potesse essere la prossima vittima ed aveva perfettamente senso che la seguissero per poterla proteggere e, nel migliore dei casi, catturare anche l’assassino. Ma non pensava certo che Dojima si mettesse subito in moto. E, soprattutto, non si immaginava di doversi trovare in una situazione simile.

Naoto sbuffò, superando il cancello e entrando nell’edificio, stando attenta ad attirare su di sé meno sguardi possibile.

Alla fine dei conti, veniva sempre tratta come una ragazzina.

Non che in quel caso fosse una brutta cosa però.

Dopotutto, nessun altro agente avrebbe potuto compiere quella missione senza creare scompiglio. Insomma, non è un poliziotto che si piazza davanti ad un ingresso scolastico, per accompagnare Satonaka fino a lì e fare in modo che torni a casa sana e salva non era sicuramente la migliore delle opzioni.

Inoltre questo avrebbe insospettito anche l’assassino, che avrebbe quindi potuto cambiare target…

Sì, alla fine dei conti, l’idea di Dojima non era proprio così terribile.

Era solo il fatto che fosse Naoto e non una qualunque altra sedicenne a doverla mettere in atto a renderla un completo disastro.

Con la coda dell’occhio osservò quello che gli altri ragazzi facevano, raggiungendo anche lei quello che le avevano designato come suo armadietto.

Non era mai stata in una scuola del genere prima di allora.

Aveva smesso di frequentare le scuole pubbliche quando andava in terza elementare e aveva continuato i proprio studi grazie alle lezioni private con i docenti che suo nonno aveva scelto appositamente per lei.

Eppure ora eccola lì, la detective Naoto Shirogane che si ritrovava a fingere di essere un liceale qualsiasi, trasferitosi da poco in quella cittadina.

«Shirogane, giusto?»

Una delle professoresse che si trovava lì vicino la chiamò e Naoto sussultò leggermente, completamente colta alla sprovvista.

Che avesse già fatto qualcosa di sbagliato?

No, era impossibile…

«S-Sì?» domandò, voltandosi verso di lei.

La donna la squadrò da capo a piedi, mostrando uno sguardo per niente gentile.

Naoto nel frattempo era stata fin troppo distratta dal suo abbigliamento.

La donna indossava una camicetta stretta, terribilmente stretta, che mostrava fin troppo il suo seno prosperoso. Certo, non che l’enorme scollatura e il fatto che i primi due bottoni fossero sganciati non aiutasse a quello scopo.

«Sono la professoressa Kashiwagi.– si presentò poi, passandosi una ciocca dei capelli castani tra le dita –Sono la coordinatrice della tua classe. Vieni, ti accompagno.»

Naoto non era molto sicura di voler seguire quella donna.

Tutto quanto nel suo comportamento, dal modo in cui camminava al modo in cui la guardava, la metteva terribilmente in soggezione.

Non avendo altra scelta però, la ragazza iniziò a seguire la sua professoressa, mentre sentiva lo sguardo di tutti gli studenti nel corridoio puntarsi su di lei.

Fortunatamente la sua classe non era lontana dall’ingresso.

Come Naoto aveva visto quando era andata a fare una breve ispezione nella scuola accompagnata da Dojima quella domenica, le aule degli studenti del primo anno si trovavano al piano terra e, la classe 1-3, la sua sezione, si trovava proprio accanto all’ingresso.

Questo era vantaggioso, molto vantaggioso.

Dalla porta della sua aula poteva infatti sorvegliare perfettamente le scale che portavano al primo piano, dove Chie Satonaka doveva dirigersi per andare a lezione, e allo stesso di tenere d’occhio anche gli armadietti e l’uscita.

«La lezione inizierà tra pochi minuti.– la informò Kashiwagi, continuando ad osservarla dall’alto verso il basso –Entra solo quando ti chiamo io, così ti presenti ai tuoi compagni.»

Prima che Naoto potesse anche solo ribattere, la donna era già sparita oltre la porta.

Ora sì che veniva la parte difficile.

Naoto non era mai stata brava in quelle cose.

Socializzare era per lei un qualcosa che l'aveva sempre messa a disagio, da quando aveva l'età di cinque anni.

Non si era mai trovata bene nel parlare con gli altri e, l'incubo di dover chiacchierare con un gran numero di persone, le avevano sempre fatto preferire la continuazione delle sue lezioni private, nonostante il suo segretario avesse provato più volte a iscriverla in una scuola una volta raggiunta l’età per fare le medie.

Eppure ora era lì, di fronte all'aula della classe 1-3 della Yasogami High School, e stava solo aspettando che quella donna le facesse cenno di entrare.

Fu grata del fatto che il codice d'abbigliamento non fosse così rigido e che quindi le avevano dato il permesso di tenere il suo cappello da cui odiava separarsi.

Un gran numero di voci arrivavano alle sue orecchie dalla porta dell’aula e Naoto si domandò se fosse così ogni mattina o se quel chiacchiericcio derivasse dal fatto che un nuovo studente stava per presentarsi alla classe.

Questa era comunque una delle poche domande di cui, sinceramente, sentiva che conveniva non sapere la risposta. 

«Shirogane, ora puoi entrare.»

Quando la professoressa la chiamò, la detective entrò all'interno dell'aula, trattenendo l’ansia ben visibile che si era impadronita di lei.

«Presentati alla classe.»

Oh ci mancava anche questo adesso.

Non poteva mettersi direttamente a sedere? Doveva davvero presentarsi a tutta quella gente…?

Le bastò un'occhiata per capire che le cose non sarebbero andate per niente bene.

Da quando aveva messo piede nell’aula, il chiacchiericcio di poco prima era aumentato e, soprattutto da parte delle ragazze, non stavano mancando occhiate e bisbigli rivolti a lei.

Naoto sentì quasi l’impulso di uscire immediatamente da quella stanza e di tornare in centrale, mettersi a sedere alla scrivania che le avevano assegnato e tornare a indagare per conto suo. Quando il volto contrariato di Dojima le venne in mente, però, capì che forse non era poi una buona idea.

«Sono Naoto Shirogane.– disse, cercando di apparire il più composta e fredda possibile, come al suo solito –Piacere di conoscervi.»

Non appena parlò le ragazze, che per un secondo erano state in silenzio, ricominciarono immediatamente a “sussurrarsi” qualcosa tra di loro.

Qualcosa che, anche se Naoto non voleva sentire, era comunque fin troppo udibile.

«E' carino non trovi??»

«E poi sembra così timido! Ha un'aria così misteriosa!»

«Chissà, magari è lui la mia anima gemella.»

...Forse era meglio ignorarle.

«Puoi sederti lì, Shirogane.»

La professoressa attirò nuovamente la sua attenzione e Naoto seguì il dito della donna, individuando il banco che lei le stava indicando.

Era un posto abbastanza nascosto dal punto in cui lei si trovava in quel momento, il che era un bene visto che sapeva già che avrebbe passato il tempo delle lezioni a studiare per il caso.

Dojima aveva parlato di andare a scuola, non di seguire.

Naoto si diresse al suo posto, continuando ad ignorare le occhiate e i bisbigli che la circondavano.

E fu in quel momento che il tempo fu come se si fosse fermato.

Seduto al banco esattamente dietro al suo  un ragazzo che lei era convinta di aver già visto prima la stava guardando con gli occhi spalancati, la bocca semiaperta come per dirle qualcosa che però non uscì mai dalle sue labbra, mentre le guance erano così rosse che la ragazza temette potessero andargli in fiamme.

Lei lo scrutò velocemente, cercando di capire dove lo avesse già visto.

Osservò con attenzione i capelli, di un biondo così chiaro da essere necessariamente finto, che erano tirati indietro, tenuti fermi dall'enorme quantità di gel. Passò poi a esaminare i numerosi piercing che si trovavano sia sul sopracciglio sia alle labbra che al naso e il suo sguardo fu anche catturato dal suo orecchino.

Ma fu solo quando i loro sguardi si incrociarono che Naoto lo riconobbe.

Era lo stesso ragazzo che aveva incontrato con Adachi qualche giorno prima, quando era arrivata ad Inaba per la prima volta.

Era lo stesso teppista che il poliziotto stava sgridando...

«Shirogane, qualcosa non va?»

Quando la professoressa la richiamò, Naoto si rese conto che dovevano essere passati almeno 60 secondi da quando si era completamente incantata a guardare quel ragazzo.

Imbarazzata, annuì leggermente, per poi sedersi velocemente al suo posto e tirare fuori il libro di testo.

Non aveva minimamente idea di cosa le fosse preso.

Non era la prima volta che incontrava tipi come lui e, sicuramente, non erano certo stati i piercing che indossava o il modo in cui teneva i capelli ad averla completamente fatta incantare a quel modo.

Eppure nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, Naoto aveva sentito come una fortissima scarica attraversarla.

E anche in quel momento poteva sentirla.

Poteva chiaramente percepire la tensione a cui ogni millimetro del suo corpo era sottoposto, mentre il ragazzo dietro di lei continuava a fissarla.

La ragazza poteva sentire lo sguardo di lui fisso sul suo collo, come se non avesse smesso neanche un minuto di osservarla.

Si portò le mani alle guance, rendendosi conto solo in quel momento di quanto il suo viso stesse andando a fuoco.

 

Le ore di lezione passarono così, senza che lei potesse fare molto se non seguire ciò che quella professoressa stava spiegando. 

Nonostante le sembrasse assurdo, poteva sempre sentire lo sguardo del ragazzo dietro di lei fisso sulla sua schiena, come se non avesse mai smesso di osservarla per tutto quel tempo.

Cosa voleva da lei?

Naoto non ne aveva idea, ma, dopo ben quattro ore di lezione, iniziava a sentirsi in soggezione.

La cosa che comunque la stava spaventando di più, non era il fatto che lui continuasse a fissarla, ma il fatto che quello sguardo le stava dando una strana sensazione di tranquillità e calma che mai prima di allora aveva provato.

Possibile che il suo istinto stesse cercando di dirle qualcosa?

Le era capitato molto spesso che il suo sesto senso cercasse di farle notare che qualcosa non andava in quel modo, mettendola a suo agio. Sì, nemmeno lei aveva mai capito il perché di quel paradosso.

Il suono della campanella la riscosse dai suoi pensieri e Naoto si alzò.

Era la pausa pranzo e, visto che non era venuta certo in quella scuola con l’intenzione di socializzare e “farsi nuovi amici” (come le aveva detto Dojima quando le aveva esposto il suo piano), lei era già pronta ad uscire dall'aula e a passare quel tempo a cercare Satonaka.

Non sapeva nemmeno se la ragazza era venuta a scuola quella mattina.

Naoto si era fatta dare l'indirizzo di casa di Satonaka dai suoi colleghi e, prima dell'inizio delle lezioni, si era appostata davanti lì vicino, aspettando che la ragazza uscisse.

Ma Satonaka non si era fatta viva.

Proprio in quel momento le era arrivata una mail da Dojima, che l’avvisava del fatto che i suoi genitori di Satonaka gli avevano appena riferito che ultimamente la ragazza usciva di casa molto presto, per poter passare la mattina ad allenarsi e migliorare il suo kung-fu.

Questa informazione aveva fatto suonare più di un campanellino d’allarme nella testa di Naoto.

Dopotutto non era un segreto che Satonaka volesse affrontare l’assassino...

«Ehy.»

Quando una voce la chiamò alle sue spalle, Naoto sussultò leggermente, voltandosi.

Una ragazza si era avvicinata a lei e ora le stava sorridendo.

«Tu sei Shirogane, giusto? È vero che sei un detective?»

...

Non erano passate neanche cinque ore che la sua copertura era già saltata.

«Non so di cosa tu stia parlando.» le disse lei, stando ben attenta a mantenere la sua voce mascolina.

La ragazza ridacchiò leggermente.

Naoto era abbastanza sicura di averla già vista, solo non ricordava dove.

«Eppure a me dicevi sempre tutto Nao.»

E fu in quel momento che la riconobbe.

Solo una persona avrebbe potuto chiamarla in quel modo.

Nonostante fosse evidentemente cresciuta, la ragazza non aveva perso nessuno dei suoi tratti caratteristici: aveva ancora la pelle candida e liscia, il viso magro con il mento leggermente a punta e portava sempre i capelli legati in quelle code alte che le incorniciavano il viso ed erano esattamente dello stesso colore che Naoto si era sempre immaginata ogni volta che vedeva quella bambina sorridere di fronte a lei.

Anche la voce dolce e melodiosa era la stessa di un tempo.

Colta completamente alla sprovvista, la detective afferrò il braccio della ragazza di fronte a sé, uscendo poi di corsa dalla stanza, sotto gli sguardi attoniti del resto della classe.

«Rise, si può sapere cosa ci fai qui?!»

Rise Kujikawa era stata la migliore amica di Naoto fin da quando lei ne aveva memoria.

La famiglia dei Kujikawa abitava esattamente accanto a casa sua e non era raro che lei e Rise passassero le giornate insieme.

Non che avessero mai avuto tanti interessi in comune.

Naoto ricordava bene anche come finissero spesso a litigare, visto che lei voleva passare il tempo a leggere libri che narravano dei detective che tanto ammirava, mentre l’amica avrebbe preferito giocare ad uno di quei giochini che la detective aveva sempre reputato altamente stupidi, come far finta di essere modelle o truccarsi a vicenda. Alla fine comunque trovavano quasi sempre un compromesso.

Quando i genitori di Naoto morirono, però, la ragazza si trasferì nella villa del nonno e da allora aveva completamente perso tutti i contatti con Rise.

O almeno, fino a quel momento.

«Semmai dovrei essere io a chiedertelo, cosa ci fa qui una detective come te-»

Naoto le tappò immediatamente la bocca, arrossendo.

«Usa il maschile.» le sussurrò, guardandosi intorno con la punta dell'occhio, per essere sicura che nessuno le stesse osservando.

Rise ridacchiò, spostandole la mano.

Doveva essere un incubo. Doveva per forza essere un incubo.

Rise Kujikawa era la persona meno adatta a mantenere segreti.

Non lo faceva con cattiveria, davvero, ma la sua parlantina era tale che, nel momento in cui iniziava a parlare, non si sapeva mai dove il discorso poteva andare a parare.

Con una come lei in classe, Naoto rischiava davvero di mandare a l’aria tutte le indagini.

«Scusami Naoto.– disse, e la detective le fu grata che non la stesse chiamando più con quello stupido nomignolo –Sono solo molto sorpresa di trovarti qui. Stai lavorando a quel caso di omi-»

Con uno scatto, la mano di Naoto tornò sulla bocca dell’altra.

Come volevasi dimostrare Rise era già riuscita a metterla in una situazione precaria tre volte nell’arco di cinque minuti.

Naoto si guardò nuovamente intorno, individuando almeno una decina di studenti che le stavano osservando in maniera alquanto curiosa.

«Possiamo parlarne da un'altra parte?» azzardò, guardando la ragazza negli occhi.

Doveva almeno fare in modo che nessuno la sentisse.

Rise annuì e si tolse, per la seconda volta, la mano di Naoto da sopra la sua bocca.

«Vieni.– le disse, afferrandola per il braccio –Andiamo sul tetto.»

Non che la detective avesse tanta scelta.

Prima ancora che potesse anche solo dire qualcosa infatti, la ragazza aveva già iniziato a trascinarla su per le scale, con la stessa determinazione che aveva sempre avuto, da quando erano piccola.

Un piccolo sorriso si formò sulle labbra di Naoto quando si rese conto che, nonostante tutto il tempo che era passato, Rise era rimasta esattamente la stessa.

La detective sapeva che anche lei aveva fatto carriera nel tempo in cui erano state separate.

Le era capitato più di una volta di trovarsi davanti i poster dove la ragazza veniva raffigurata nei suoi scintillanti, appariscenti e (doveva ammetterlo) a volte imbarazzanti costumi da ballo.

Aveva anche provato ad ascoltare qualcuna delle sue canzoni, ma Naoto non era molto il tipo da seguire una idol.

«Quindi, ora puoi dirmi cosa ci fai qui?»

Rise aveva aperto la porta del tetto della scuola ed era uscita all’esterno, appoggiando la propria schiena contro il recinto che delimitava il perimetro.

Naoto sospirò.

Non aveva minimamente via di scampo.

Si guardò intorno, accertandosi che nessuno fosse nelle vicinanze.

«Sì, sono qui per il caso di omicidi.– rispose, abbassando leggermente la visiera del cappello –Devo frequentare la scuola perché devo tenere d’occhio la prossima vittima.»

Gli occhi di Rise si illuminarono e la ragazza capì immediatamente di aver parlato troppo.

«Qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, è un no.»

«Posso aiutarti anche i-»

«Scordatelo.»

«Ma io-»

«Negativo.»

La idol incrociò le braccia sotto il petto, gonfiando le guance.

Di fronte a quella reazione, Naoto non potè fare a meno di pensare che era esattamente infantile come dieci anni prima.

«E io che ero pronta ad aiutarti.» commentò Rise, utilizzando il suo tono da cagnolino bastonato.

«Rise, non funzionava dieci anni fa, figurati se funziona adesso.» rispose la detective, ridacchiando.

Era strano come tutto non fosse cambiato.

Come quei dieci anni che le avevano separate fossero in realtà come se non fossero mai accaduti.

La idol sbuffò.

«Va bene va bene. Cambiamo argomento.»

Quando Naoto vide il sorriso che si stava formando sul suo volto però, si trovò a pensare che forse sarebbe stato meglio che quegli anni potessero sul serio farsi sentire.

«Hai trovato la tua anima gemella?»

La ragazza avrebbe voluto negare.

Dire ad una persona come Rise che aveva trovato la sua persona destinata, era come dirlo in diretta sulla TV nazionale. Solo che le persone a fare domande in quel caso sarebbero state migliaia, in questo una sola; ma Naoto non era poi tanto sicura quale delle due opzioni fosse la migliore.

In tutto questo, non fece neanche in tempo a dare una risposta, in quanto la idol la precedette.

«Sei arrossita! Ok, chi è il fortunato?» esclamò, allontanandosi dalla ringhiera e afferrandole le mani.

«E-eh? M-ma io-»

«Oh è una lei? Va bene uguale Naoto, ho sempre sospettato che fossi lesbica! Dimmi chi è!»

Ci mancava anche questa adesso.

«Rise aspetta-»

«Da quanto vi conoscete? State insieme da tanto? Come è stato quando l’hai trovata? Oddio, aspetta, tu quindi vedi i colori? Di che colore sono i miei capelli? E il fiocco di questa divisa? Io penso sia un colore chiaro, ma non riesco molto a comprendere quale possa essere.»

E mentre Rise continuava a sommergerla di domande, Naoto si chiese cosa le fosse passato nell’anticamera del cervello quando, pochi minuti prima, non aveva fatto finta di non riconoscerla nemmeno.

 

«Quindi... mi stai dicendo che la tua anima gemella non vuole che tu sia la sua anima gemella?»

«Grazie per l’incoraggiamento, Rise, davvero.»

Naoto si passò una mano sul volto, esasperata.

Erano ormai più di quaranta minuti che si trovavano sul tetto, sedute su una delle tante panchine di pietra che si trovavano in quello spiazzo.

In quell'arco di tempo, aveva raccontato tutto alla sua amica.

Non pensava affatto che ne avrebbe mai parlato con qualcuno e in effetti farlo le era servito molto per sfogarsi.

Le aveva raccontato di come lei e Adachi si fossero conosciuti, di come lei avesse provato (seppur non con molta insistenza) a parlare con lui e di come lui non aveva mai fatto niente per avvicinarla.

Le aveva anche esposto le sue paure, come il fatto che, forse, l'uomo non voleva stare con lei a causa della loro differenza di età.

«Ma è strano Naoto.– Rise inclinò la testa, un gesto che Naoto le aveva visto fare più volte quando erano piccole e di cui evidentemente ancora non aveva perso l'abitudine –Alla fine l'età conta poco in queste cose. Dopotutto se siete stati destinati come anime gemelle non è che lui può scappare da questo fatto, no?»

La detective non aveva mai pensato alle cose da quel punto di vista.

Rise aveva ragione, tremendamente ragione.

Dopotutto, se lei e Adachi erano destinati a stare insieme... perché lui si stava rifiutando con tutto se stesso a quel modo?

«Non è che magari hai sbagliato persona?» azzardò Rise.

«Come posso aver sbagliato persona?– le fece notare la detective, sospirando –I colori sono apparsi quando ho incontrato il suo sguardo! Non quello di qualcun altro!»

La idol la guardò per un attimo.

Poi, portò una mano al mento, come faceva sempre quando da piccole giocavano a fare le detective e facevano finta di risolvere vari casi.

Quel gesto doveva esserle rimasto impresso.

Oppure la stava prendendo in giro.

Naoto non era convinta di voler sapere quale delle due opzioni fosse la risposta.

«Aspetta, ma lui cosa sa di te?»

La domanda che Rise le aveva posto la fece tornare con i piedi per terra.

«In che senso...?» 

«In quale senso dovrei chiedertelo, Naoto? Ci avrai parlato, no? Cosa gli hai detto di te?»

Naoto non sapeva bene come rispondere a quella domanda.

A dire la verità, non erano stati poi così tanti i suoi tentativi di parlare con Adachi.

Certo, ci aveva provato, davvero; ma ogni volta che vedeva che l'uomo le dava poco spago, la ragazza smetteva immediatamente di tentarci e si comportava come se nulla fosse, chiudendosi completamente a riccio.

Le loro "chiacchierate" poi (se così si potevano definire) riguardavano solo il caso e mai i loro fatti personali, i loro hobby, ciò che li riguardava...

«Naoto?»

«Ci sto pensando Rise, non mettermi fretta.»

La idol davanti a lei si lasciò andare una piccola risata quando vide che Naoto era in difficoltà.

Sicuramente doveva trovare divertente il fatto che, per una volta, non era lei quella ad aver bisogno di aiuto, così come accadeva quando erano piccole.

Ma cosa poteva farci? Non era mai stata brava in quelle cose!

«Almeno sa che sei una ragazza?»

«Certo che lo s-»

La detective si bloccò, voltandosi incredula verso l'amica.

Adachi sapeva che lei era femmina?

«Oddio Naoto, sei un caso disperato!»

Non sapeva perché, ma quell'uscita Naoto se l'aspettava.

«Non ci ho pensato! È successo tutto così in fretta che non ci ho fatto poi così tanto caso!»

Ora sì che si stava vergognando.

Non poteva credere di aver commesso un errore del genere, non per un qualcosa di così importante poi.

Rise si stava chiaramente trattenendo dal mettersi a ridere, perché le due piccole fossette che si formavano ogni volta che stava per farlo erano ben visibili sul suo volto.

«Quindi mistero risolto, no? Lui non è gay e quindi non comprende il perché tu sia la sua anima gemella.– le disse la idol, sorridendo –Ma se ora ne parlate insieme sono convinta che le cose andranno per il meglio.»

Naoto avrebbe voluto ribattere, ma per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata, sentiva che non ce n'era il bisogno.

Rise aveva ragione.

La detective sorrise, rendendosi conto che forse, quindi, tutto non era davvero così perduto come se lo era immaginato.

«Rise è questo che volevi?»

Una voce arrivò dalle sue spalle e la ragazza sussultò, completamente colta alla sprovvista.

«Kanji! Ma quanto ci hai messo? Ti ho mandato il messaggio oramai trenta minuti fa!»

Rise si era alzata in piedi e si stava adesso dirigendo verso il ragazzo che era appena apparso dietro di loro.

Naoto sentì il suo cuore perdere un battito non appena notò i piercing e i capelli biondi che aveva osservato poche ore prima.

Era lo stesso ragazzo che stava al banco dietro di lei.

«Ho visto che stavate parlando. Non mi sembrava il caso di disturbarvi.»

Oddio no.

Non poteva aver sentito!

«Kanji, non si origliano i discorsi degli altri!»

Il tono con cui Rise pronunciò era giocoso e chiunque avrebbe sorriso ad un’affermazione del genere.

Il volto del ragazzo, però, rimase completamente impassibile.

Questa cosa doveva aver colto di sorpresa anche Rise, perché Naoto la vide inclinare la testa di lato, come per domandarsi cosa stesse succedendo.

«Non ho origliato niente.– disse lui, passandole il sacchetto in cui teneva il cibo comprato alla mensa scolastica –Vi ho solo visto da lontano e ho capito che stavate facendo un discorso serio. Quindi ho aspettato.»

Non sapeva perché, ma Naoto non era minimamente convinta di quella teoria.

Anzi, il fatto che quel ragazzo fosse stato fino a quel momento dietro alla porta del tetto, le fece pensare che in realtà aveva fatto di tutto per sentire la loro conversazione.

Fu in quel momento che si rese conto che lui la stava osservando, con un’espressione che la ragazza non riusciva a decifrare in volto.

«Adesso me ne vado comunque.»

Il ragazzo che doveva chiamarsi Kanji si voltò dando le spalle alla detective, dopo aver pronunciato quelle parole con un tono di voce neutro, quasi completamente inespressivo.

«Eh?– Rise lo afferrò per un braccio –Ma non mangi con noi? Volevo presentarti il mio amico!»

Naoto fu grata di sentire che la idol stava continuando a usare il maschile quando si riferiva a lei.

Forse poteva sperare che la sua copertura non cadesse così presto come aveva immaginato quella stessa mattina.

«No Rise, ho da fare.» rispose lui, in maniera secca.

La detective vide la sua amica aprire la bocca per ribattere, ma, con sua grande sorpresa, Rise non disse niente e le sue labbra si richiusero lentamente.

Un'espressione preoccupata, quasi malinconica, si dipinse sul suo volto, mentre continuava ad osservare il volto del ragazzo accanto a lei.

Poi, lentamente, lasciò andare il suo braccio, senza smettere di osservarlo.

Naoto non poteva sapere cosa Rise avesse visto nel viso di quel ragazzo per convincerla a lasciarlo andare, senza fare alcuna storia. Ma poteva immaginare che fosse successo qualcosa di serio.

Dopotutto, quello non era minimamente un comportamento “da Rise”.

«Ci vediamo dopo... ok?» gli disse, con un tono che la detective non le aveva mai sentito usare prima.

Il ragazzo non disse nulla.

Annuì semplicemente, dirigendosi poi verso l'uscita del tetto, senza che Naoto riuscisse a vedere il suo volto.

Rise rimase per un attimo a osservare il punto dal quale il ragazzo era uscito, senza dire una parola.

«Rise è tutto ok?»

Quando Naoto la chiamò, la ragazza si voltò verso di lei.

Per un attimo, anche se solo per un attimo, le mostro quell’espressione confusa e malinconica di poco prima.

Poi, come se niente fosse successo, tornò a essere la Rise di sempre.

«Sì, va tutto bene– rispose, sorridendo –Ora mangiamo prima che la pausa pranzo finisca!»

Nonostante la cosa fosse sospetta, Naoto decise di non fare più domande.

~

Nonostante Naoto avesse lavorato a casi ben più impegnativi di quello, non aveva mai avuto una così pesante giornata di lavoro prima di allora. 

Dopo aver passato il resto delle ore scolastiche a lezione, la ragazza aveva aspettato Satonaka appostata accanto alla porta della sua aula, osservando le scale che portavano al piano superiore.

Con lei c’era Rise, anche se ovviamente la detective l’aveva lasciata completamente ignara di quello che stesse facendo.

Quello che la ragazza notò in quel periodo di tempo in cui rimasero insieme, fu che la idol continuava a lanciare occhiate preoccupate al banco dietro a quello di Naoto, il posto del ragazzo chiamato Kanji.

In effetti, quando erano tornate dalla pausa pranzo, la sua cartella non c’era più e il ragazzo non si era più fatto vivo a lezione.

Non che questo a Naoto interessasse. Non aveva alcun contatto con quella persona, né ci teneva particolarmente ad averlo.

Comunque, dopo aver aspettato per circa 30 minuti Satonaka e quando stava ormai per andarsene, convinta che forse alla fine la ragazza non era venuta a scuola quella mattina, la detective individuò finalmente il suo obiettivo.

Dopo aver salutato velocemente una Rise alquanto confusa dalla fretta improvvisa della sua amica, Naoto, senza farsi notare, aveva seguito Satonaka per tutto il tragitto verso casa, così come Dojima le aveva ordinato.

Era quasi convinta di aver finito il suo lavoro e di poter finalmente tornare in centrale, quando si rese conto che, evidentemente, la ragazza non aveva alcuna intenzione di tornare a casa subito dopo la scuola, ma aveva decisamente voglia di portare avanti il suo allenamento intensivo di kung fu.

La detective fu infatti costretta a seguirla per quasi tutta Inaba, mentre quella che era diventata una sua senpai continuava a correre e a fermarsi ogni tot metri, per fare i suoi esercizi di arti marziali.

In breve, Naoto riuscì a liberarsi solo quando il sole era ormai quasi del tutto calato e Satonaka era finalmente entrata nella sua abitazione.

«Hai corso per caso Shirogane?»

La detective lanciò uno sguardo arrabbiato a Dojima.

Adesso si trovava a sedere alla sua scrivania, il fiatone che ancora non le era andato via del tutto e un bicchiere d'acqua nella mano sinistra.

«Non si nota, Dojima?» gli rispose, sarcasticamente.

L'uomo ridacchiò, portando la mano dietro il collo.

Naoto ricordò che anche Adachi lo faceva spesso, così come aveva potuto constatare la prima volta che si erano conosciuti.

Che fosse un gesto che aveva assimilato osservando il suo superiore?

«Ti ringrazio per quello che hai fatto.– le disse poi l’uomo, lasciando Naoto leggermente confusa –Nessun altro poteva fare da infiltrato a scuola, spero che almeno ti farai degli amici.»

Sinceramente, quello era proprio l'ultimo dei suoi pensieri al momento.

«Non ho bisogno di così tante attenzioni Dojima.– rispose lei, nonostante non riuscisse a eliminare completamente l'ombra del sorriso che si era formato sulle sue labbra –Non sono un bambino.»

L'uomo la guardò per un attimo.

Naoto non sapeva davvero perché, ma si pentì quasi di aver pensato che quel poliziotto l'avesse trattata come una bambina il primo giorno in cui aveva lavorato lì.

Solo in quel momento forse si era resa conto che lui cercava solo di proteggerla.

«Beh, lo so che non lo sei. Ma vedi di non crescere troppo in fretta, ok?– le disse lui, alzandosi –Ora torniamo a lavoro.»

Naoto rimase leggermente sorpresa da ciò che l'uomo le aveva appena detto.

Erano le stesse identiche parole che le ripeteva sempre suo nonno ogni volta che lei, da bambina, insisteva per prendere parte ad uno dei suoi casi.

Una leggera sensazione di felicità la colse quando si rese conto di quanto Dojima tenesse a lei.

«La ringrazio Dojima.» sussurrò, sorridendo debolmente.

L'uomo le sorrise a sua volta, per poi dirigersi verso il suo ufficio, lasciandola sola.

Naoto si guardò intorno.

La stazione di polizia era quasi del tutto vuota e quasi nessun agente continuava a lavorare a quell'orario.

Forse poteva davvero provarci.

Poteva davvero andare a parlare con Adachi, a spiegargli la situazione...

Dopo la chiacchierata con Rise, Naoto si sentiva molto più sicura su quel fronte, soprattutto dopo che la sua amica le aveva fatto notare il suo madornale errore.

Dopo aver lanciato un’ultima occhiata alle foto e ai fascicoli che aveva sulla scrivania e che fino ad un minuto prima aveva intenzione di riesaminare dall’inizio, per l’ennesima volta, in cerca di quel dettaglio che continuava a sfuggirle, la ragazza decise che a quello poteva pensarci anche più tardi, a casa sua.

Sì alzò quindi dalla sedia, dirigendosi verso quello che aveva capito essere l'ufficio dell'uomo che le interessava.

Quando alzò la mano per bussare sentì il suo cuore iniziare a batterle nel petto, come se quel momento fosse uno dei più importanti della sua vita.

E, in effetti, lo era.

Ciò che si sarebbero detti lei e Adachi di lì a poco avrebbe messo fine a quella storia che continuava da quando lei aveva messo piedi ad Inaba.

Dopotutto, non aveva alcun senso continuare a soffrire e a correre dietro quell'uomo se lui non voleva avere niente a che fare con lei.

Ma, almeno questo, Naoto voleva sentirselo dire di persona.

La ragazza fece un respiro profondo, raccogliendo tutto il coraggio di cui aveva bisogno e cercando allo stesso tempo di mantenere la sua solita compostezza.

Ma, quando le sue nocche stavano per toccare la porta di legno, questa si aprì.

E Naoto sentì nuovamente, per la terza volta quel giorno, il suo cuore fermarsi.

Il ragazzo che Rise aveva chiamato Kanji si trovava davanti a lei, con un’espressione triste in volto.

Non sapeva perché, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, come era successo quella mattina, la ragazza sentì una forte fitta al petto, come se lei stessa non potesse sopportare la tristezza che poteva vedere riflessa negli occhi di lui.

Tristezza che, però, durò a malapena un secondo.

Quando la riconobbe, Kanji tornò immediatamente a mostrarle la sua espressione neutra che lei aveva già potuto osservare durante la pausa pranzo, sul tetto della scuola, e, senza neanche salutarla, la superò, dirigendosi velocemente verso l'uscita.

Naoto lo seguì con lo sguardo, continuando ad osservare quella schiena che si allontanava, esattamente come era successo poche ore prima, la forte sensazione di malinconia che l’aveva travolta che ancora non se n’era andata.

Sentì quasi l’impulso di corrergli dietro, di fermarlo, afferrandogli il braccio, e di urlargli qualcosa di cui neanche lei era a conoscenza.

Mosse il primo passo, come in un completo stato di tranche.

«Shirogane, devi dirmi qualcosa?»

Solo quando Adachi la chiamò la ragazza si rese conto di dove si trovava..

Si voltò verso di lui, maledicendosi interiormente per essersi distratta a quel modo.

Cosa cavolo le era preso?!

«Sì, devo parlarti.» riuscì a dire, rendendosi conto solo in quel momento di quanto la sua voce fosse più roca del solito.

Doveva assolutamente ricomporsi.

«Anche io.– rispose lui, sorridendole –Entra pure.»

Naoto entrò nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle, avvicinandosi poi alla scrivania.

Ad ogni passo che muoveva verso l’uomo di fronte a lei poteva sentire tutta la sensazione di malinconia di poco prima svanire, poco a poco, e venire nuovamente sostituita dall’ansia.

«Non essere così teso.– ridacchiò Adachi, indicandole la sedia di fronte a lei –Siediti pure, non mordo mica.»

La ragazza annuì, mentre sentiva il cuore iniziarle a martellarle nuovamente nel petto.

Calma. Doveva stare calma.

Dove era finita tutta la compostezza che era riuscita a recuperare prima di bussare a quella dannata porta?

«Dimmi pure.»

Adachi le fece cenno di parlare e Naoto si chiese se ne poteva essere davvero in grado.

Abbassò lo sguardo, puntando gli occhi sulle sue mani, che teneva congiunte sul suo grembo.

Doveva parlare.

Doveva tirare fuori quelle parole che continuavano a vibrarle nella gola e che non avevano abbastanza forza per uscire.

Doveva mettere fine a quella storia.

«Volevo solo dirle che non comprendo il suo atteggiamento.– quando iniziò a parlare, Naoto non riuscì neanche a capire da dove stesse tirando fuori il coraggio per farlo –È da quando ci siamo incontrati ed è successo quello che è successo che io cerco di attirare la sua attenzione. Ma ogni volta che ci provo lei mi stronca sul nascere. So che è imbarazzante chiederlo, ma c'è qualcosa che non le piace di me? C'è un motivo particolare che  l’ha spinto ad ignorarmi nonostante il fatto che io e lei siamo anime gemelle...?»

Le parole, che inizialmente uscivano dalle sue labbra con una velocità normale, avevano ricevuto un decisivo sprint finale, mentre il loro volume si era abbassato notevolmente, così che l’ultima domanda era stata quasi un sussurro.

Il silenzio era calato nella stanza.

Naoto non aveva neanche il coraggio di alzare lo sguardo e incontrare quello di Adachi.

Forse era arrabbiato?

 Cosa sarebbe successo adesso? L'avrebbe odiata sul serio?

Visto che l’uomo continuava a non risponderle, con la coda dell'occhio, la ragazza provò a osservare la sua espressione.

Il suo cuore perse un battito.

Adachi era arrossito.

«Vedi Naoto... posso chiamarti così vero?– quando Naoto annuì con decisione, lui continuò –Il punto è che io sono sempre stato convinto di essere etero. E tu sei-»

«Sono una ragazza.» 

Il silenzio calò nuovamente tra di loro e Naoto pensò che forse avrebbe dovuto usare un po' più di tatto.

Solo non sapeva davvero come altro dare quell’informazione.

Solo il fatto che Rise avesse ragione le sembrava una pazzia.

Guardò nuovamente l'uomo di fronte a lei.

Ora si che era arrossito.

Dopo un tempo che le sembrava infinito, Adachi si schiarì la voce.

«Scusami, ecco... non lo sembri molto.» commentò, portandosi la mano dietro al collo.

Era a disagio.

E questa cosa Naoto la trovava fin troppo carina.

«Beh, è quello il mio scopo.» ridacchiò leggermente lei, abbassando la visiera del proprio cappello.

Anche lei era a disagio.

E questa cosa a Naoto piaceva decisamente meno.

Stettero in silenzio per un tempo che gli sembrò quasi infinito.

Nessuno dei due osava muovere neanche un muscolo, come se avessero entrambi paura di fare un qualcosa che avrebbe potuto spaventare l'altro.

«Naoto.»

La ragazza sussultò visivamente quando Adachi la chiamò per nome.

«Sì...?» domandò, non avendo neanche il coraggio di alzare lo sguardo.

Cosa le avrebbe detto?

Magari adesso stava prendendo davvero in considerazione l'idea di uscire con lei?

O magari anche adesso non voleva avere niente a che fare con una sedicenne con chiari problemi con la sua femminilità?

«Guardami.»

Naoto deglutì.

Lentamente, alzò lo sguardo, dirigendolo verso di lui.

E fu in quel momento che accadde.

Adachi si sporse lungo la scrivania e le loro labbra si unirono.

Il cuore della ragazza iniziò a martellarle con così tanta forza nel petto che lei pensò che poteva rischiare sul serio di morire lì, in quella stanza. Ma allo stesso tempo pensava che, se era quello il motivo della sua morte, le poteva andare anche bene.

Non avendo minimamente idea di come comportarsi, cercò di lasciarsi andare e fece in modo che Adachi prendesse il controllo della situazione.

Quando lui iniziò a tornare lentamente verso il suo posto, al di là della scrivania, Naoto si alzò e poggiò le mani sul tavolo, non volendo che quel contatto si eliminasse troppo velocemente.

Dopo un tempo che le sembrò infinito, ma che doveva essere in realtà al massimo qualche minuto, Adachi si allontanò da lei, per riprendere fiato.

Naoto poteva sentire tutto il suo corpo tremare.

L'uomo le sorrise, ridacchiando leggermente.

«Sei arrossita tantissimo, Naoto.»

Beh, voleva ben vedere.

Quello era stato il suo primo bacio.

Naoto Shirogane, colei che aveva da sempre creduto di rimanere sola a vita, aveva adesso dato il suo primo bacio ad un uomo.

E non solo questo uomo non sembrava inorridito dal modo in cui lei lo aveva baciato, ma era anche la sua anima gemella. Cosa doveva chiedere di più?

«S-scusam- c-cioè, mi scusi.» rispose, riportando nuovamente la mano alla visiera del suo cappello e abbassandola sul suo volto.

Ora sì che si sentiva in imbarazzo.

«Tranquilla, non devi scusarti.– le rispose lui, passandole il dorso della mano sulla guancia e facendola sussultare –Ti trovo carina, e puoi darmi del “tu”.»

Se voleva ucciderla era sicuramente sulla strada giusta.

Non era minimamente abituata a ricevere quel tipo di complimenti e attenzioni e il fatto che fosse l'uomo che il destino aveva scelto per lei a farlo, le metteva ancora più in ansia.

«Non sono abituata...»

«Tranquilla, nemmeno io.– le rispose lui, continuando a usare il suo tono dolce –Ci faremo l'abitudine insieme.»

Naoto sorrise, alzando finalmente lo sguardo.

Aveva ragione.

Loro erano lì l'uno per l'altra, e lo sarebbero sempre stati.

«Adachi hai guardato il nuovo fascicolo che ti ho mandat-»

Quando la porta dell'ufficio si aprì, sia Naoto che Adachi sussultarono, allontanandosi di scatto e tornando ognuno sulla propria sedia.

La ragazza fu grata di stare dando le spalle a Dojima, perché chiunque guardandola avrebbe potuto capire cosa era appena successo in quella stanza.

«Ho interrotto qualcosa?» domandò Dojima, chiaramente tentennante.

«Assolutamente niente, Dojima.– rispose tranquillamente Adachi e Naoto non poté che rimanere affascinata dal modo calmo in cui stava affrontando quella situazione –Stavo solo dando a Shirogane qualche dritta, visto che ha sempre lavorato in solitaria non è abituato a collaborare con la polizia.  Ho notato che cercava di fare tutto il suo lavoro da solo, quindi volevo solo essergli utile.»

La ragazza sentì un piccolo colpo al petto quando Adachi tornò a chiamarla per cognome.

Non che potessero farci molto.

Non era sicuramente una buona idea iniziare a comportarsi da fidanzatini davanti a Dojima.

Soprattutto perché, agli occhi degli altri, lei era pur sempre un ragazzo.

«Capisco...»

Il tono dell'uomo non era il più convinto che Naoto aveva sentito nella sua vita.

Anzi, a dire la verità, era il meno convinto che avesse mai sentito.

Ma poteva almeno sperare che se la fosse bevuta... no?

«Comunque non è tardi per te, Shirogane? Dovresti tornare a casa.»

Quando Adachi le disse in quel modo, Naoto capì al volo che quella era la sua occasione per salvarsi dalle domande che Dojima avrebbe fatto di lì a poco.

«O-oh.– disse, tossendo poi nel momento in cui sentì che la sua voce era molto più roca di quel che si aspettava –Sì hai- ha ragione. La ringrazio per i consigli.» si corresse immediatamente quando usò il “tu” invece del “lei”, sperando che l’altro poliziotto non se ne fosse reso conto.

La ragazza si alzò, pregando con tutta se stessa che le gambe non ricominciassero a tremarle come poco prima e le facessero perdere l'equilibrio.

«Ci vediamo domani.» disse poi, fiondandosi fuori dalla porta, mentre Adachi la salutava sorridendo e Dojima le lanciava uno sguardo leggermente spaesato.

 

Era successo davvero.

Da quando era tornata al suo appartamento, Naoto non riusciva a pensare ad altro.

Anzi, dire così non era corretto.

Già per strada non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo in quell’ufficio.

E adesso, sdraiata sul suo letto sotto le coperte, la ragazza non sembrava minimamente riuscire a prendere sonno.

E come poteva?

Aveva la mente così occupata da pensieri che fino ad allora non l'avevano mai neanche sfiorata che non ricordava nemmeno cosa aveva mangiato per cena appena un'ora prima!

"Ok Shirogane, datti una calmata."

Non era da lei impazzire in quel modo, anche se nel mezzo c'era una causa del genere.

Doveva in tutti i modi tornare a essere la Shirogane di sempre, quella calma e composta.

Ma come poteva se i suoi pensieri continuavano a tradirla?

Aveva anche provato a rileggere nuovamente i fascicoli riguardante il caso, ma il suo cervello non era proprio in grado di connettere.

Si stava comportando così tanto come Rise in quel momento-

Giusto, Rise!

Magari le sarebbe interessato sapere come era andata no?

Naoto afferrò il suo telefonino, scrivendo immediatamente un messaggio  alla sua amica.

 Naoto Shirogane:

     TTT BN. C SIAMO BACIATI!

...

Sembrava il messaggio scritto da una tredicenne in piena tempesta ormonale.

Non che lei si sentisse tanto diversa da una di loro.

La ragazza lanciò uno sguardo all'orologio sulla parete.

Erano le undici passate.

Chissà se la sua amica stava già dorme-

Il telefonino vibrò tra le sue mani e Naoto tornò ad osservarlo.

 Rise Kujikawa:

     DAVVERO?! Pensavo di morire ad aspettare un tuo mess! Racconta!! (σ`・∀・)σ

Naoto ridacchiò quando vide come Rise le aveva appena risposto.

Poi, scrisse la risposta.

 Naoto Shirogane:

     T L HO DTT, C SIAMO BACIATI. DMN T RCCNT. XXXX

Ogni volta che ripensava a quel fatto, Naoto sentiva il cuore andarle più veloce nel petto.

Era successo davvero.

Ancora non riusciva a crederci.

Lanciò un altro sguardo all'orologio, vedendo che le lancette si erano mosse solo di qualche centimetro.

Chissà cosa stava facendo Adachi in quel momento.

Era ancora a lavoro? Stava pensando a lei?

Il telefono nelle sue mani vibrò e Naoto si voltò nuovamente verso lo schermo, aspettandosi la risposta al suo messaggio da parte di Rise.

Il suo cuore perse un battito e le sue guance presero letteralmente fuoco quando vide che il messaggio che le era appena arrivato era di tutt'altra persona.

 Tohru Adachi:

     Tutto ok?

Naoto rimase qualche secondo ad osservare il messaggio, con le mani che continuavano a tremarle per la felicità.

Non aveva scritto poi niente di che, ma lei non si aspettava di sentirlo fino al giorno dopo.

Non fece neanche in tempo a rispondere che un nuovo messaggio le apparve davanti agli occhi.

 Rise Kujikawa:

     Qst nn è una descrizione Naoto! (TДT)

Dmn voglio tutti i dettagli! ヽ(o♡o)/

Naoto iniziò a scrivere, con le mani che continuavano a tremarle.

 Naoto Shirogane:

     MI HA APPN SCRITTO!!!!!!

 Rise Kujikawa:

     Cs aspetti?! Sbrigati a risp e fammi sapere!

Oh, giusto.

Si stava scordando di fare quella cosa così basilare.

Con le mani ancora tremanti, Naoto tornò al messaggio che Adachi le aveva inviato, premendo su “rispondi”.

Si concentrò, iniziando a scrivere.

 Naoto Shirogane:

     Sì, sto bene. Tu? Sei a casa?

La ragazza rilesse più volte il messaggio, stando attenta a non inserire abbreviazioni o punti esclamativi, che potevano esserle sfuggiti.

Poi, lo inviò.

Dopo neanche un minuto, il suo telefono vibrò di nuovo..

Tohru Adachi:

     Io sto bene, sono tornato ora a casa. Avevo paura che stessi già dormendo, scusami se ti ho svegliata in caso. Ma volevo sentirti.

Naoto nascose il volto nel cuscino.

L'avrebbe uccisa.

L'avrebbe sicuramente uccisa.

Giusto cavolo doveva rispondere.

 Naoto Shirogane:

     Non preoccuparti, non mi hai svegliata. Anche io volevo sentirti.

Ora sì che sentiva il suo cuore esplodere.

Possibile che nel profondo fosse davvero una tredicenne con chiari sbalzi ormonali?!

 Tohru Adachi: 

    Sei libera domani sera?

Oddio.

Oddio l'aveva appena invitata a cena.

Prima ancora che potesse scrivere una risposta, il telefono vibrò nuovamente e la schermata di un “nuovo messaggio” le apparì in sovrimpressione.

 Nuovo messaggio da Rise Kujikawa:

     Allora??????????????? (。ノ・ω・)ノ

Naoto cliccò immediatamente su rispondi, così da avvertire la ragazza e chiederle anche un consiglio su cosa rispondere.

 Naoto Shirogane:

    RISE!!! MI HA INVITATA A CENA!!! DMN!!! DA LUI!!! CS GLI DICO?! RISP!!!!!!!

Naoto aspettò per un po', sperando che Rise si sbrigasse a scrivere.

Quando il suo telefono vibrò, alzò immediatamente lo sguardo.

 Tohru Adachi:

     È un sì...?

...? Di cosa stava parlan-

Naoto sentì il bisogno di sprofondare.

Aveva sbagliato chat.

Lei, Naoto Shirogane, aveva davvero inviato un messaggio del genere nella chat sbagliava.

Voleva morire.

 Naoto Shirogane:

     ...sì, ho sbagliato il destinatario...

Voleva con tutta se stessa che il terreno si aprisse e lei sprofondasse all’inferno.

Adachi stava sicuramente ridendo di lei in quel momento.

Il telefono vibrò nuovamente e lei ebbe quasi paura di guardarlo stavolta.

 Tohru Adachi:

     Tranquilla. Trovo carino il modo in cui scrivi, non me lo aspettavo. Allora domani da me alle otto?

Naoto si sentì nuovamente in paradiso.

Sorrise, cominciando a rispondere.

 Naoto Shirogane:

     Va benissimo, a domani <3

Si accorse troppo tardi di aver inviato anche il cuoricino.

Ma che cavolo le era venuto in mente?!

 Tohru Adachi:

     Ahaha, a domani <3 buona notte.

...

Ora si che dormire sarebbe stato problematico.

 

Il giorno dopo Naoto non si era mai sentita così tesa in tutta la sua vita.

Aveva passato tutte le lezioni a guardare fuori dalla finestra, ignorando completamente ciò che i professori stavano spiegando alla lavagna.

Era come se la sua testa non volesse smettere di girare e fantasticare neanche per un singolo istante.

Non si era mai sentita così prima di allora. Non aveva mai provato quella fortissima sensazione di felicità.

Aveva così tanto la testa tra le nuvole che si stava addirittura scordando di andare a controllare come stesse Satonaka quella mattina.

Se ne era resa conto con "soli" venti minuti di ritardo, quando ancora si trovava sul suo letto, a guardare il soffitto e a fantasticare su come avrebbe passato la serata invece di essere appostata vicino alla casa della ragazza.

Fu in quel momento che si rese conto che quella sua condizione le stava dando più grattacapi di quanto lei stessa pensasse.

Non le era mai capitato di non riuscire a seguire un pensiero logico, nonostante nella sua vita avesse sempre messo davanti il lavoro alla sua vita privata.

Sapeva che presto sarebbe dovuta tornare con i piedi per terra.

L'assassino era ancora in libertà e non si sarebbe certo fermato solo perché lei aveva scoperto cosa fosse l'amore.

Però… poteva non pensare al caso per una giornata, no?

Anche volendo, non avevano trovato altre prove che potessero aiutarli ad individuare l’assassino e rileggere all’infinito quei fascicoli non l’avrebbe certo aiutata.

Nonostante la sua condizione, infatti, la ragazza quella mattina aveva comunque dato un’altra occhiata alle foto e a tutte le prove fino a quel momento raccolte.

C’era qualcosa che continuava a bussare sul fondo della sua testa, come per indicarle che c’era ancora un indizio che non aveva trovato ma che era lì, davanti ai suoi occhi.

Ma più guardava quelle immagini e più le sembrava impossibile...

Solo quando la campanella della pausa pranzo suonò, Naoto si riscosse dai suoi pensieri e si rese conto che il posto dietro di lei era vuoto e che quel ragazzo di nome Kanji non si era presentato nuovamente alle lezioni, così come era successo il pomeriggio del giorno prima.

Non che a lei importasse.

Non aveva intenzione di legare in alcun modo con un ragazzo del genere, soprattutto dopo averlo visto più volte discutere con Adachi.

Ma più pensava di volersi allontanare da lui, più in realtà lo cercava con lo sguardo e sentiva il bisogno di parlargli.

E il fatto che non ne capisse il motivo la stava mandando completamente nel panico.

«Terra chiama Naoto.»

Quando Rise le sventolò la mano davanti agli occhi, la ragazza si riscosse.

Solo in quel momento si rese conto che la sua amica aveva occupato la sedia del posto davanti a lei e aveva poggiato due panini sul banco.

«Sì...?»

«Ho preso da mangiare. Non puoi stare tutto il giorno a stomaco vuoto e visto che tu non ti sei alzata e non sei andata alla mensa, l'ho fatto io.» le disse, afferrando uno dei due panini e iniziando a togliere l’involucro di plastica che aveva intorno.

Naoto annuì, ringraziandola e prendendo l’altro.

La detective guardò la idol mangiare in silenzio, mentre si chiedeva come fosse possibile che ancora non avesse iniziato con il suo interrogatorio.

Era strano che si trattenesse così a lungo.

«Stai pensando a stasera eh?»

Eccola.

Ora sì che era la Rise che conosceva.

Nonostante Naoto si aspettasse quella domanda, le sue guance non poterono fare a meno di andarle a fuoco.

«N-non è vero!» tentò di esclamare, ma la sua voce era quasi un sibilo.

Rise ridacchiò, afferrandole poi il cappello.

«Rise? Restituiscimelo!»

«Oh, così si che sei carino.– commentò l'altra, tenendo il cappello in alto, per far si che la sua amica non potesse raggiungerlo e utilizzando il maschile, così le aveva chiesto il giorno prima –Stasera dovresti andarci senza.»

Naoto arrossì.

Si voltò verso la finestra, osservando il suo riflesso.

La ragazza aveva ragione, era molto più carina senza il cappello indosso.

Ma questo non voleva dire che non si vergognasse.

«E soprattutto,– continuò Rise, mentre un sorriso leggermente inquietante si dipingeva sulle sue labbra –niente bende.»

Il sangue le si gelò nelle vene.

«C-cosa?» sussurrò la ragazza, incredula.

Non usciva di casa senza bende da anni.

Esattamente da quando il suo seno aveva iniziato a svilupparsi.

La idol però non sembrava volerla ascoltare, ma anzi, continuava a parlare, come se non fosse minimamente interessata alle sue lamentele.

«Ah, e dopo la scuola vieni a casa a mia. Così scegliamo dei vestiti adatti.»

«Aspetta Ris-»

«Sì sì, lo so che devi fare il tuo lavoro prima. Non preoccuparti, ti aspetto.»

«Non è questo-»

«Osa dire di “no” Naoto e stai certa che ti trascino con la forza.»

Di fronte alla determinazione della sua amica, la detective non ebbe più il coraggio di ribattere.

E mentre Rise continuava a parlare di come avrebbe voluto vestirla e di come lei si sarebbe dovuta comportare, Naoto spostò lo sguardo nuovamente fuori dalla finestra, notando solo in quel momento le grossi nubi nere.

Nonostante non sapesse il perché, sentì un brivido scorrerle lungo la schiena quando pensò che sicuramente, quella sera, sarebbe piovuto.

~

“Io lo sapevo che era una pessima idea.”

Ora si che Naoto si sentiva a disagio.

Di fronte alla porta dell'appartamento di Adachi, la detective guardò per un'ultima volta il suo riflesso nella vetrina del negozio che si trovava lì accanto, incredula che la ragazza riflessa e lei fossero la stessa persona.

Rise le aveva sistemato i capelli in modo che questi assumessero una forma un po' più sbarazzina e non fossero precisamente tutti al loro posto, come invece lei era solita tenerli.

Al collo portava un piccolo pendente dello stesso colore dei suoi occhi, che ricadeva perfettamente sul suo seno, fin troppo messo in mostra per i suoi gusti dalla scollatura a cuore che la idol aveva detto le sarebbe stata divinamente.

Ma non era certo quello il problema.

Cioè, non che quello non lo fosse, solo non era il problema maggiore dell’outfit che Rise aveva scelto per lei.

Il problema più grande è che quello che stava indossando era un vestito.

Un abito. Lei. Naoto Shirogane.

Con una gonna!

Naoto si guardò le gambe snelle che apparivano da sotto il vestito celeste chiaro, la stoffa che le arrivava a malapena sotto il ginocchio.

Che situazione assurda...

Ma oramai non c'era tempo per cambiarsi.

Era davanti alla porta di quell'appartamento dopotutto e il tempo dell'appuntamento era ormai arrivato.

Sospirando, Naoto suonò al campanello.

«Oh Naoto, sei arriva-»

Adachi aprì la porta e, quando lo vide arrossire, la ragazza capì che forse quell'outfit non era poi così male come credeva.

«Sì.– rispose, sorridendo –Scusami, sono leggermente in ritardo.»

L'uomo le sorrise a sua volta, invitandola ad entrare.

«Figurati, ti stavo aspettando.– disse, posandole poi un bacio sulla guancia quando lei entrò –Non vedevo l'ora di vederti.»

Naoto arrossì, togliendosi il cappotto che aveva lasciato aperto e l’uomo glielo prese dalle mani, posandolo sull’attaccapanni.

«Non pensavo che ti avrei mai vista… beh così.» disse lui, ridacchiando.

La ragazza guardò altrove, imbarazzata.

«Neanche io avrei mai pensato di vedermi così, a dire la verità.»

Adachi le passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.

«Sei ancora più carina senza il tuo cappello.» le disse.

Bingo.

Nota mentale: ringraziare Rise.

«Grazie, anche tu stai molto bene.» rispose lei, le guance ancora rosse.

Ed era quello che pensava sul serio.

Prima di allora Naoto non aveva mai immaginato Adachi senza i suoi soliti vestiti da poliziotto.

Certo, non che non lo avesse trovato affascinante con la sua giacca nera e la cravatta che portava al collo; ma vederlo per la prima volta con una normalissima camicia e un paio di jeans addosso la sorprese abbastanza.

«Vieni, la cena è praticamente pronta.– le disse, continuando a sorriderle e prendendola per mano –Volevo anche portarti da qualche parte dopo cena, ma sembra che pioverà.»

La ragazza ci mise un po’ ad elaborare la seconda frase che lui le aveva detto, fin troppo presa dalla mano che aveva afferrato la sua.

Quando si rese conto che le stava osservando per troppo tempo, arrossì nuovamente e distolse lo sguardo.

«Non è un problema per me, possiamo anche stare qua.– rispose, mentre sentiva le guance andare in fiamme –Mi piacerebbe conoscerti meglio, Adachi.»

«Anche a me piacerebbe conoscerti meglio, Naoto. E chiamami per nome.» le disse lui, mentre un sorrisino che la ragazza non gli aveva mai visto prima si formava sulle sue labbra.

“Prima o poi ci prenderò l’abitudine.”

Poi, seguì Adachi in cucina, mentre un tuono si sentiva in lontananza.

 

La cena andò esattamente come Naoto se l’era immaginata.

O meglio, forse andò addirittura meglio.

Non sapeva come Adachi avesse fatto, ma era stato perfettamente in grado di metterla completamente a suo agio, come se si conoscessero da sempre, nonostante la mancanza delle due cose che rendevano la ragazza tranquilla in ogni situazione: il suo cappello e le sue bende.

Forse era perché erano anime gemelle?

Alla fine, Naoto non era stata molto a pensare al motivo.

Dopotutto l’importante era che si stesse divertendo, no…?

Nonostante questo, comunque, c’era qualcosa che per tutta la sera continuava a non convincerla pienamente.

Il suo sesto senso le sussurrava in continuazione che quell’indizio che stava cercando da ormai giorni era lì vicino, proprio davanti a lei.

Seduta sul divano del soggiorno di Adachi, la ragazza si guardò attorno, cercando di individuare cosa le facesse provare quella strana sensazione.

Il suo sguardo fu catturato dal vetro della finestra, dalla quale era ben visibile la pioggia che continuava a scendere ormai da un po’, battendo sul vetro.

«Tutto bene, Naoto?»

Quando Adachi si sedette accanto a lei sul divano, la ragazza si riscosse, voltandosi verso di lui.

L’uomo teneva due tazze di cioccolata calda tra le mani e la stava guardando con fare preoccupato.

Cosa cavolo le stava passando per la testa?

Quella doveva essere la serata in cui non avrebbe pensato al caso, no?

«Sì, scusami.– rispose lei, sorridendogli leggermente –Stavo solo pensando che qui ad Inaba piove spesso, no? Ha piovuto quasi tutti i pomeriggi da quando sono arrivata.»

L’uomo annuì.

«Qui in effetti piove parecchio.– commentò, passandole la tazza che teneva nella mano sinistra –Anche se è raro lo faccia di notte. Solitamente smette sempre prima del tramonto.»

La detective registrò quelle informazioni.

Non sapeva perché, ma come l’uomo le aveva detto in quel modo, aveva sentito un altro dei suoi piccoli brividi avvertirla che quello era un indizio fondamentale.

Ma per cosa?

«Quando piove di notte non smette mai prima dell’alba.– continuò lui, portando la tazza alle labbra –È un qualcosa di insopportabile. Soprattutto se avviene un crimine di notte, sai? Perché si perdono tutte le tracce a causa del fango. Questa città è troppo rurale per i miei gusti.»

Naoto ridacchiò, tenendo la tazza tra le mani.

«Non ti va la cioccolata?» le domandò Adachi, indicando la tazza con la testa.

La ragazza arrossì leggermente.

«Sì, ma ho pensato che se l’avessi bevuta subito, poi sarei dovuta andarmene.» sussurrò, non guardandolo in volto.

Era imbarazzante.

Tanto imbarazzante.

Adachi rimase in silenzio, a guardarla, come se stesse ragionando su qualcosa.

«Non ti manderei via neanche se la bevessi.» disse poi, ridacchiando.

Nonostante il tono fosse giocoso, Naoto sentì un altro dei suoi brividi lungo la schiena, come se qualcosa in ciò che le aveva appena detto fosse di grande importanza.

La ragazza rinchiuse quel piccolo presentimento in un angolino del suo cervello.

Non voleva continuare così per tutta la serata.

Non voleva che ogni cosa che succedesse intorno a lei continuasse a darle segnali di stare più attenta, come se qualcosa non andasse.

Era con Adachi, la sua anima gemella, quello che sicuramente adesso poteva considerare il suo ragazzo.

Perché mai doveva sentirsi inquieta?

«Va bene.» rispose, portando la tazza alle labbra.

Adachi le afferrò la mano, abbassandogliela.

«Hm?»

«Non importa; non berla.» le disse, con un tono deciso.

Naoto avrebbe voluto ribattere, ma le labbra dell’uomo si posarono sulle sue prima che lei potesse dire qualcosa.

Colta completamente alla sprovvista, la ragazza lasciò andare qualsiasi rimostranza che aveva e lasciò che l’uomo le prendesse la tazza ancora piena dalle mani e la poggiasse sul tavolino.

C’era qualcosa di diverso in quel bacio rispetto a quelli di prima.

Fino a quel momento, Adachi si era sempre fermato a darle dei semplici baci a stampo, ma adesso non era più il caso.

La detective sentì tutto il suo corpo tremare quando schiuse le sue labbra, lasciando che l’uomo si spingesse oltre nel bacio.

Sussultò visivamente quando sentì la mano di lui accarezzarle la coscia.

Ok, adesso non si stava correndo un po’ troppo?

«A-Adachi...»

Nel momento in cui le loro labbra si allontanarono la ragazza sussurrò quel nome, rendendosi conto solo in un secondo momento di quanto la sua voce fosse roca.

«Tranquilla Naoto.– il tono che l’uomo stava usando era diverso dal solito e Naoto notò che lui non era più seduto al suo posto, ma la stava praticamente immobilizzando contro lo schienale del divano –Rilassati.»

La ragazza deglutì, portando le sue mani lungo il bordo del divano e stringendolo con forza.

Come poteva rilassarsi?!

«N-non sono sicura che-» tentò di ribattere, mentre il cuore le martellava nel petto.

Aveva paura.

«Andrà tutto bene.– quelle parole le furono sussurrate direttamente all’orecchio –Siamo anime gemelle, no? Potrei mai fare qualcosa che so che tu non vuoi?»

Ora sì che Naoto stava andando nel pallone.

Adachi aveva ragione a dirle in quel modo, ma qualcosa nella sua testa continuava a dirle che stava correndo troppo, che quello che stava facendo era sbagliato, che non avrebbe dovuto concedersi così, dopo appena un'uscita insieme.

Lei non voleva, non le stava minimamente piacendo il modo in cui lui la stava toccando.

Ma lui aveva ragione.

Lui era la sua anima gemella.

Lui avrebbe dovuto sapere tutto di lei, così come lei avrebbe dovuto sapere tutto di lui.

Quando Adachi iniziò a baciarle il collo, Naoto lasciò andare un piccolo gemito, stringendo con più forza il bordo del divano.

«A-Adachi...» sussurrò, cercando di sembrare autoritaria ma quell’unica parola le uscì dalle labbra con una voce così femminile da non sembrare neanche la sua.

«Sbaglio o ti avevo detto di chiamarmi per nome? Chiamami Tohru, Naoto.»

Quelle parole gli furono sussurrate direttamente nell'orecchio e Naoto non potè fare altro che sussultare e arrossire terribilmente.

«Va bene, T-Tohru...»

Stava cedendo.

Naoto non avrebbe mai pensato di essere così facilmente suggestionabile.

Adach- no; Tohru ridacchiò.

«Brava bambina.» le disse, portando una mano ai piccoli bottoni del suo vestito.

Ora si che le guance le stavano andando a fuoco.

Naoto distolse lo sguardo, completamente nel panico.

Non poteva continuare a guardare.

Se avesse continuato ad osservare quello che lui stava facendo anche solo per un altro secondo, avrebbe davvero rischiato di spingerlo e di farlo scendere da sopra di lei.

Ma non doveva farlo.

Per quanto quella situazione non le piacesse minimamente, loro due erano anime gemelle, era normale che qualcosa succedesse.

Era stato stupido da parte sua pensare che un ventisettenne non volesse andare oltre il normale bacio.

Doveva solo trovare qualcos’altro da osservare, qualcosa su cui concentrarsi, così da non pensare più a quelle mani che le avevano ormai sganciato il vestito e le stavano toccando la pelle nuda, facendola rabbrividire.

Fu in quel momento che il suo sguardo fu catturato nuovamente dalla finestra poco lontano da lei.

Naoto assottigliò lo sguardo, riuscendo a vedere le grosse gocce di pioggia che stavano colpendo il vetro e scivolavano lungo di esso, arrivando fino al davanzale.

La pioggia.

Nel momento in cui iniziò a pensarci seriamente, tutto intorno a lei si fece come ovattato.

Il suo sesto senso le stava praticamente gridando qualcosa.

Qualcosa che lei stavolta avrebbe dovuto ascoltare, volente o nolente.

E fu quando vide una piccola goccia scivolare lungo il vetro e cadere sul davanzale che le foto delle diverse scene del crimine le tornarono in mente.

Il sangue diluito nelle pozzanghere in quella di Yamano; i vestiti zuppi di Konishi; le gocce d’acqua che cadevano dai capelli di Amagi.

Aveva trovato la risposta.

«La pioggia.» sussurrò, quando finalmente tutti i pezzi andarono al loro posto.

Tohru si fermò per un attimo, interdetto, la mano sulla spallina del suo reggiseno.

«Di cosa stai parlando Naot-ough.»

Senza neanche rendersene conto, la ragazza lo aveva spinto via ed era corsa verso la finestra, incurante del vestito slacciato, guardando con terrore le gocce di pioggia che continuavano a scendere lungo il vetro.

«E' la pioggia il punto in comune che mi mancava.» esclamò, afferrando poi la borsa che aveva sul divano e aprendola, tirando fuori le tre foto degli omicidi.

Tohru nel frattempo continuava a guardarla, spaesato.

«Guarda!– urlò la ragazza, mostrando le tre foto all'uomo –In tutti e tre i casi quella notte aveva piovuto.»

Come aveva fatto a non pensarci prima?

Aveva passato ormai non sapeva quante ore a osservare quelle tre foto, cercando quel punto in comune che non riusciva a trovare.

Eppure le pozzanghere a terra nelle foto e i vestiti zuppi delle vittime erano un dettaglio ben visibile.

«Naoto non ti sto seguendo...»

Tohru continuava a guardarla, in maniera alquanto infastidita, mentre lei si fiondava verso il computer che si trovava in un'angolo della stanza.

«Posso usare il tuo computer, vero?» chiese, mentre lo accendeva velocemente e iniziava a digitare le prime parole nella barra di ricerca.

«Oramai...»

Naoto non lo stava neanche più ascoltando.

Aprì la pagina web delle previsioni del meteo, osservando con attenzione i vari registri delle settimane precedenti.

Tutto quanto andò al posto giusto.

«Le notti delle tre omicidi... sono le uniche notti in cui ha piovuto qua a Inaba...» sussurrò, continuando ad osservare il resto degli archivi.

Tohru le si sedette accanto, chiaramente annoiato.

«E allora?– chiese –Non pensi che possa essere solo una coincidenza? Dai, torniamo a noi.»

«Lo hai detto anche tu no?– disse lei, voltandosi verso di lui –Se ad Inaba piove di notte, piove fino all’alba. Ed è sempre difficile fare indagini.»

L’uomo la guardò infastidito.

«Naoto,– rispose, con un tono di voce che la ragazza non gli aveva mai sentito prima –torniamo a noi.»

«Devo andare.»

«Cosa?!»

Naoto si alzò, afferrando la sua borsa e fiondandosi all'ingresso.

«Naoto, ma dove stai andando?» le domandò Tohru, incredulo.

Lei si voltò verso di lui.

Possibile che davvero non ci fosse arrivato?

«Mi dispiace interrompere il nostro appuntamento.– disse, richiudendo velocemente i bottoni del vestito e afferrando il suo cappotto –Ma adesso che so quando l'assassino ucciderà di nuovo non posso lasciarlo agire indisturbato.»

«Non ti seguo.»

La voce con cui Tohru le rivolse quelle parole lasciò per un attimo interdetta la ragazza.

Lanciò uno sguardo veloce all'orologio.

Era già l'una di notte.

Non aveva tempo per pensarci.

«Sappiamo che l'assassino ha ucciso le sue vittime sempre tra le due e le quattro del mattino grazie all’autopsia e, da quel che abbiamo appena scoperto, lo ha fatto tutte le volte che di notte ha piovuto.– gli spiegò lei, portando una mano alla sua testa per tirare giù la visiera del suo cappello, accorgendosi troppo tardi di non lo stare indossando –Questo vuol dire che la prossima vittima sarà stanotte. Devo andare da Satonaka. Adesso.»

Quando Naoto si voltò nuovamente a guardare Tohru, per un attimo pensò che ci fosse qualcosa che non andava.

L’uomo la stava guardando con uno sguardo alquanto irritato, come se lei avesse appena mandato all’aria qualcosa a cui lui stava pensando da tempo.

Poi però, la sua espressione cambiò e tornò quella di sempre.

«Devo chiamare Dojima.– disse, afferrando il suo telefono –Tu va da Satonaka, dopo ti raggiungo.»

Naoto annuì, aprendo la porta di casa.

Un leggero senso di colpa di aver rovinato il loro appuntamento la colse mentre stava per uscire e quindi la ragazza si voltò corse verso di lui e gli dette un leggero bacio sulla guancia.

«Grazie per la serata.» sussurrò, sorridendogli.

Tohru le sorrise a sua volta, alzandole il mento con una mano e poggiando le sue labbra su quelle di lei.

«Grazie a te.– disse, mentre le guance di Naoto si tingevano nuovamente di rosso –La prossima volta vediamo di darci appuntamento quando sarà sereno. Così non verremmo interrotti.»

La ragazza ridacchiò.

«Ci vediamo dopo.»

Poi, senza dire altro, la ragazza corse fuori.

 

La pioggia l’aveva inzuppata completamente e Naoto non aveva un solo centimetro del suo corpo che non fosse completamente fradicio quando arrivò finalmente a casa di Satonaka, dopo ben 45 minuti di corsa.

Tremando per il freddo che poteva sentire chiaramente addosso, anche a causa degli abiti poco leggeri che stava indossando, la ragazza suonò il campanello dell’abitazione, sperando che la sua senpai fosse in casa.

Al terzo suono di campanello, la detective notò che le luci dell’abitazione si stavano accendendo.

Questa cosa la rincuorò leggermente.

Se Satonaka e i suoi genitori erano all’interno, forse, si poteva evitare che l’assassino raggiungesse la ragazza.

«Cosa succede?»

Un uomo che Naoto non aveva mai visto prima si affacciò alla porta di casa e lei iniziò a cercare il suo distintivo nella sua borsa, quello che Dojima aveva fatto fare appositamente per lei.

«Sono il detective Naoto Shirogane.– disse, mostrandolo non appena lo trovò –Sto cercando Chie Satonaka. Abbiamo il presentimento che sia in pericolo. Non uscite di casa.»

L’uomo la guardò leggermente interdetto, posando lo sguardo soprattutto sulle sue gambe.

...

Si era scordata di stare indossando una gonna.

Questo sì che poteva essere un problema per essere presa seriamente...

«Chie è al piano di sopra, in camera sua.» disse poi, cercando chiaramente di distogliere lo sguardo.

«Può andare a controllare? Devo essere assolutamente sicura che non sia uscita di casa.» insistette la ragazza, preoccupata.

Non potevano certo escludere che lei fosse uscita di nascosto, in cerca dell’assassino.

In realtà, se questo fosse accaduto, la polizia l’avrebbe dovuto sapere.

Davanti alla casa dei Satonaka infatti era stata piazzata una piccola telecamera, in modo da controllare qualsiasi movimento sospetto.

Ma la detective continuava ad avere un brutto, bruttissimo presentimento…

«Senta,– l’uomo le parlò con fare abbastanza scontroso –mia figlia è in camera. Non può tornare domani?»

«Se ne vada, per favore.»

Naoto non ne poteva più.

Doveva assolutamente accertarsi che Satonaka fosse al sicuro.

Non poteva perdere tempo con quell’uomo.

Stava per metterlo k.o. e entrare all’interno dell’abitazione, quando una donna, molto probabilmente la madre della sua senpai, si affacciò dalla porta.

«Chie non è nella sua stanza. Non è in casa.» disse, mentre uno sguardo carico di preoccupazione si dipingeva sul suo volto.

Naoto sentì il mondo crollarle addosso.

Il suo presentimento era giusto.

«Signora,– disse, superando il padre della ragazza e avvicinandosi alla donna «Sa dove può essere andata sua figlia? È importante.»

Stava perdendo la pazienza.

La donna scosse la testa, mentre le lacrime iniziavano a uscire dai suoi occhi.

«Al cimitero.– sussurrò l’uomo, e la detective si voltò verso di lui –Non torna quasi mai a casa in questo periodo, passa il suo tempo accanto alla tomba di Yukiko...»

Esattamente come aveva immaginato.

Solo in quel momento Naoto si rese conto di quanto era stata stupida.

Satonaka sapeva di essere seguita.

Si aspettava che la polizia la seguisse tutto il giorno, lasciando poi una telecamera fissa di fronte alla porta di casa sua.

Ma se voleva davvero catturare l’assassino e ucciderlo come si era ripromessa, doveva fare in modo di togliersi la polizia di dosso.

«Dannazione.»

La ragazza partì a corsa, ignorando il dolore lancinante che i suoi piedi, rinchiusi in due scomodissime ballerine, le lanciavano e la pioggia che continuava a caderle addosso e rallentava i suoi movimenti.

Il cimitero era dall’altra parte della città.

Per arrivarci a piedi ci avrebbe messo troppo...

Naoto afferrò il telefono nella borsa, cercando velocemente il numero di Dojima in rubrica, senza smettere di correre.

Non fece neanche in tempo a premere il tasto di chiamata che il telefonino iniziò a squillarle tra le mani, il numero del suo superiore che era apparso sullo schermo.

La ragazza rispose immediatamente.

«Shirogane, torna in centrale.»

«Dojima, al cimitero! Chie Satonaka è al cimitero!» urlò la ragazza, con una voce molto più femminile del solito.

«Lo sappiamo Shirogane, l’abbiamo trovata.»

Naoto sospirò, fermando la sua corsa e sentendo la tensione di poco prima scivolarle dalle spalle.

L’avevano trovata, Satonaka era-

«Shirogane,– la ragazza si rese conto solo in quel momento che la voce di Dojima era triste, lapidaria –il corpo di Satonaka è stato ritrovato appeso al cancello di ingresso del cimitero. Siamo arrivati tardi.»

Il telefono le scivolò dalle mani, cadendo al suolo.

Quando toccò l’asfalto emise solo un rumore sordo.

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