Mar. 12th, 2019

QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: In fuga (M1)
Parole: 921
Fandom: Bravely Default
Coppia: RingabelxEdea


Ringabel sapeva che c'erano molte cose che dei comuni mortali non erano in grado di fare.
Ad esempio, quasi nessuno era in grado di essere perfettamente equilibrato nel suo animo, bilanciando perfettamente modestia e narcisismo, difetti e qualità; quasi nessuno era in grado di essere così tanto sicuro di sé da non avere neanche un punto debole; quasi nessuno era così perfetto da riuscire a rimorchiare qualsiasi ragazza su cui mettesse gli occhi.
E, nonostante il ragazzo fosse fermamente convinto di far parte della categoria dei pochi eletti che aveva tutte le caratteristiche sopra elencate, lui era a conoscenza del fatto che, anche per persone così elevate e superiori come lui, c'erano ostacoli impossibili da superare.
«Ringabel, vieni fuori se ne hai il coraggio!»
... E una di quelle cose era sicuramente riuscire a sopravvivere ai una Edea Lee alquanto arrabbiata.
Il ragazzo lanciò un'occhiata veloce alla strada principale di Florem, rimanendo il più nascosto possibile dietro ad uno dei grandi edifici che la incorniciava ai lati.
Ed eccola lì.
Non che fosse difficile identificarla in quel momento.
Nonostante si trovasse in mezzo alla folla di turisti e abitanti del luogo che riempiva completamente la strada principale, era impossibile che anche una sola persona non potesse essere in grado di identificare Edea in quel momento.
Era così tanto furiosa che, anche se Ringabel si chiedesse come fosse possibile, era come se fossero ben visibili le nuvole di fumo che uscivano dalla sua testa.
I suoi capelli – biondi, luminosi e stupendi come sempre – erano sicuramente più elettrizzati del solito, soprattutto il suo ciuffo biondo che ritto, sull'attenti, era paragonabile quasi ad una temibile antenna pronta a localizzarlo ovunque lui si fosse nascosto.
Senza considerare il suo sguardo.
Quello sì che la rendeva fin troppo visibile in mezzo a quella folla.
Gli occhi azzurri di Edea erano adesso freddi, ghiacciati, e la ragazza non faceva che muoverli a destra e a sinistra, in alto e in basso, lanciando occhiatacce alle persone che passavano, cercando di localizzare il suo obiettivo.
Ringabel sentì un fortissimo brivido corrergli lungo la schiena quando notò che, anche se solo per un momento, lo sguardo della ragazza fu puntato nella sua direzione.
Odiava quello sguardo.
Cioè, ovviamente lo amava, così come amava tutto di quella ragazza.
Ma, allo stesso tempo, non poteva far altro che sentire il suo sangue gelarsi completamente nelle sue vene ogni volta che lei gli lanciava una di quelle occhiate che tanto la contraddistinguevano dalle altre ragazze con cui lui era uscito.
Non sapeva come fosse possibile una cosa del genere, ma Ringabel era convinto che, quando lei utilizzava quello sguardo così tanto letale e assassino, Edea riusciva perfettamente a localizzare la sua preda, ovunque essa fosse.
Niente poteva fermarla. Persone, mura, case, colline, montagne, oceani. Qualsiasi nascondiglio era vano.
Eppure, nonostante tutta la pericolosità che la ragazza trasmetteva in quel momento, Ringabel non poteva fare a meno che trovarla bellissima.
Avrebbe potuto passare ore ad osservarla in quello stato.
La smorfia arrabbiata che si era formata sul suo volto; le guance leggermente rosse; le spalle che le tremavano leggermente; i pugni che teneva così stretti da conficcare le sue unghie nella sua stessa carne; le gambe piantate al suolo, pronte a scattare non appena avrebbe avvistato la sua preda–
«Ringabel!»
Cazzo.
Quando vide che Edea si stava avvicinando ad una velocità quasi sovrumana, il ragazzo riprese a correre, cercando in tutti i modi una via di fuga che gli permettesse di seminare il mostro che continuava a inseguirlo.
Sapeva che lei era dietro di lui.
Sapeva fin troppo bene che oramai era stato agganciato.
E, soprattutto, sapeva che se lo avesse raggiunto, sarebbe stato davvero difficile sopravvivere.
Con quel pensiero in testa, il ragazzo continuò a correre lungo le vie di Florem, scansando qualsiasi persona gli capitasse sulla sua strada e cercando di confondere il suo inseguitore, cambiando continuamente la via che stava prendendo.
Poteva sentire i passi della ragazza dietro di lui farsi sempre più lontani.
Che la stesse seminando...?
Preso da un coraggio che neanche lui sapeva di avere, Ringabel lanciò uno sguardo alle sue spalle.
Un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra. Edea non c'era più. Era riuscito a scappare.
Beh, questo lo rivalutava ulteriormente, no?
Se era riuscito a fuggire ad una bestia del genere, doveva assolutamente appartenere ad un'élite ancora più elevata e superiore di quella che credeva–
Il ragazzo andò a sbattere contro qualcuno e perse l'equilibrio, cadendo a terra all'indietro e ritrovandosi a sedere sul freddo pavimento in pietra.
Merda.
Sarebbe dovuto tornare a guardare davanti a sé.
«Mi scusi, non l'ho vista...» si scusò, alzando lo sguardo.
E fu in quel momento che il sangue gli si gelò nelle vene.
Edea Lee era lì, davanti a lui, le braccia incrociate al petto.
«Ringabel.»
«E-Edea.– il ragazzo poteva sentire il sudore scivolargli lungo la fronte –C-Che coincidenza, t-ti stavo giusto cercando.»
Prima che potesse aggiungere altro, lei si abbassò e lo afferrò per il colletto della camicia, portandolo a due centimetri dal suo viso.
«Questa me la paghi cara. Hai anche cercato di scappare.»
Ringabel deglutì.
Era spacciato.
«E-Edea ti posso spiegare!» cercò di salvarsi, invano.
«Risparmiati le tue scuse, so che sei stato tu a mangiare tutta la scorta di biscotti che mi ero portata da Eternia. Ripeto: questa me la paghi cara.»
Così, mentre Edea lo trascinava via, il ragazzo si rese conto che nessuno, ma proprio nessuno, sarebbe potuto appartenere a quell'élite tanto elevata da riuscire a fuggire da quella ragazza.
QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
Prompt: Solitudine
Fandom: Nier:Automata
Personaggi: 9S
Note: canon del romanzo ufficiale "Long Story Short"


"Un robot non può morire di solitudine."
Chiunque leggendo questa frase, dicendola, sentendola o anche solo pensandola, crederebbe immediatamente nella sua veridicità.
Dopotutto, come poteva un essere senza cuore, incapace di provare qualsiasi emozione, sentirsi anche minimamente solo al mondo? Come poteva un involucro contenente solo un gran numero di ingranaggi e chip soffrire un qualcosa come la mancanza di affetto di altri? Come poteva un androide, seppur con sembianze umane, provare un sentimento che era unico per quella razza che era così simile in aspetto ma tanto lontana emotivamente da lui?
Già, quel pensiero era più che logico.
Ed era anche quello che 9S aveva sempre pensato.
Un robot non può morire di solitudine.
Questa era stata una delle frasi che 21O gli aveva detto in passato, quando lui aveva azzardato porle quella domanda durante una delle sue missioni.
E anche lui pensava che lei avesse sicuramente ragione.
Per questo, inizialmente, non ci aveva dato poi così tanto peso.
9S aveva sempre portato avanti la sua vita in solitaria, svolgendo le sue missioni da Scanner così come gli era stato assegnato e ignorando la fitta di gelosia che provava ogni volta che vedeva i vari androidi di tipo B fare squadra per portare avanti missioni insieme.
Sempre se quella poteva essere chiamata “gelosia”.
Se un androide non poteva provare emozioni come la solitudine, non poteva neanche essere geloso, no?
Era un qualcosa di completamente irrazionale anche il solo pensare che quel sentimento fosse minimamente possibile per uno come lui.
Nonostante avesse accettato la sua condizione, però, 9S non era ancora del tutto convinto di quella terribile sensazione che lo coglieva ogni volta che, portata a termine una missione, si guardava intorno, cercando qualcuno con cui congratularsi... invano.
Certo, aveva sempre il suo fedele Pod con sé, ma non era esattamente la stessa cosa.
Il Pod era programmato per seguirlo, per combattere al suo fianco e non lasciarlo mai solo.
Non poteva valere come un "amico", utilizzando uno dei termini che aveva letto in uno dei tanti libri scritti dagli umani presenti nell’Archivio.
Per questo, quando anche a lui fu assegnata una compagna, 9S non potè far a meno di essere al settimo cielo.
Insomma, nonostante sapesse che gli androidi di modello Battaglia non fossero poi così amichevoli, a lui bastava avere qualcuno con cui passare del tempo.
E 2B era perfetta per questo suo scopo.
Anche se inizialmente lo aveva trattato in modo freddo, 9S si era reso conto del modo in cui l'androide si era mano mano aperta a lui.
Adesso aveva qualcuno che lo ascoltasse ogni volta che scovava qualcosa.
Adesso aveva qualcuno che parlasse con lui.
Adesso aveva qualcuno che lo camminasse al suo fianco, combattendo con lui.
Adesso aveva finalmente qualcuno che lo capisse e che impedisse che lui si sentisse, anche se solo per poco, solo...
...o almeno così credeva.
9S sapeva benissimo che quella era tutta una messinscena, messa in atto dal loro Comandante.
Sapeva fin troppo bene che 2B era in realtà un tipo di androide completamente diverso da quello di Battaglia.
Lei era un tipo E.
Un Esecutore.
Un tipo di androide nascosto, che era designato solo ed unicamente per diventare alleato con un androide che poteva diventare problematico, per poterlo uccidere e resettare nel caso in cui ci fosse qualcosa che non andasse.
E il tutto aveva perfettamente senso.
Lui era un tipo Scanner di ultima generazione.
Molto probabilmente, anche se con l'ausilio del tempo, non gli ci sarebbe voluto niente per arrivare a capire qualcosa che il Comandante e il Consiglio dell'Umanità volevano nascondere.
E per questo lo avevano affidato ad un altro androide che lo tenesse d'occhio e gli impedisse di scoprire qualcosa di troppo.
E, in tutto questo, 9S non era neanche sicuro di quante volte quel ciclo si stesse ormai ripetendo.
Se era stato già ucciso da 2B in passato, se alcuni delle missioni e dei ricordi che aveva con lei fossero in realtà repliche di ciò che era già successo, se lui avesse capito altre volte la sua identità... tutte queste restavano incognite che gli impedivano di avere un quadro completo della situazione.
Ad essere sinceri, quando aveva capito cosa si stava nascondendo dietro quel suo volto impassibile e freddo, 9S non aveva escluso la possibilità di fuggire.
Aveva pensato sul serio di uccidere quell'androide che era diventato il suo boia e che avrebbe prima o poi calato la sua falce su di lui, resettandolo.
Ci aveva anche provato a dire la verità.
Non gli ci sarebbe voluto molto; essendo lui un tipo Scanner di ultima generazione, era in grado di hackerare qualsiasi essere robotico si trovasse davanti, mandandolo completamente in corto circuito.
Se ne erano presentate tante di occasioni in cui lui avrebbe potuto farlo.
Bastava solo che lei abbassasse la guardia per un momento e lui avrebbe agito.
Si era sempre ripetuto quelle parole, convinto sul da farsi...
Eppure, ogni volta che ne aveva l'occasione, 9S si tirava indietro.
"Ancora un po'." pensava "Voglio stare con qualcuno per ancora un po'."
"Non voglio restare solo di nuovo."
E questo lo aveva portato in quella condizione.
In quella spirale infinita di vita e morte che continuava a tornare sui suoi passi, facendo ripetere eventi che già erano accaduti e aggiungendone di nuovi ogni volta che lui veniva resettato.
Ma a 9S questo non importava.
L'unica cosa che per lui era importante era poter ancora stare al fianco di quell'androide che era la sua più temibile nemica ma, allo stesso tempo, anche la sua più fedele amica.
Per questo aveva stretto i denti e aveva accettato quella situazione.
Per questo aveva fatto finta di non rendersene conto.
Per questo aveva continuato a comportarsi come niente fosse, continuando a stare al fianco di 2B.
Se quello voleva dire che non sarebbe stato più solo, gli sarebbe bastato.
Di questo era certo.
Però...
...non immaginava certo che le cose potessero prendere una tale piega.
Era successo tutto così in fretta, che neanche gli sembrava un qualcosa di reale.
Il Quartier Generale era crollato.
2B era morta.
E lui era di nuovo solo; completamente solo.
E, per quanto finalmente si sentisse libero da quel controllo continuo a cui era stato sottoposto per un tempo che lui non era in grado di calcolare, 9S non riusciva più ad andare avanti in quel modo.
In un istante aveva perso tutto quello a cui più teneva.
In un solo, singolo, secondo tutto quello su cui aveva fatto affidamento in quei mesi, se non in quegli anni, era scomparso.
Non sapeva quante volte gli era capitato di svegliarsi e pensare che tutto quello era un incubo, che, quando avrebbe aperto gli occhi, 2B sarebbe stata nuovamente al suo fianco, pronta per un'altra missione.
Non sapeva quante volte si era voltato alla sua destra, per parlarle, per poi ricordarsi che lei non c'era più.
Non sapeva più neanche quante volte si era ritrovato al buio, rannicchiato in qualche angolo della stanza che la Resistenza aveva preparato per lui.
E, mentre lacrime che non sentiva neanche appartenere più a lui gli rigavano il viso, bagnandogli la pelle sintetica, 9S non poteva far altro che pensare a quelle dure parole che continuavano a ronzargli in testa.
"Un robot non può morire di solitudine."
Lo sapeva.
Lo sapeva fin troppo bene.
Ma, nonostante questo, non poteva far altro che desiderare che potesse accadere, così da poter finalmente porre fine a quel dolore incessante che continuava a logorargli quel cuore che non possedeva.
 QUESTA STORIA PARTECIPA AL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Scontro (M1)
NUMERO PAROLE: 10000
PERSONAGGI: Naoto Shirogane, Kanji Tatsumi, Tohru Adachi, Rise Kujikawa, Ryotaro Dojima, altri
COPPIE: NaotoxAdachi, NaotoxKanji
AVVERTIMENTI: Soulmate!AU dove non si vedono i colori prima di incontrare la propria anima gemella; UnderAge.



Silenzio.
Questa era l’unica cosa che c’era in quel momento.
Naoto si era completamente lasciata andare sul tavolo, le braccia incrociate sul legno e la testa poggiata su queste, diretta nella stessa direzione in cui Tohru se ne era andato qualche minuto prima.
Kanji continuava a guardarla, con un’espressione che lei non gli aveva mai visto prima in volto.
Che anche lui fosse preoccupato per la sua salute? Così come lo erano gli altri?
Ma lei stava benissimo.
Non aveva senso che avessero tutti così tanta ansia per lei.
Così come non aveva avuto minimamente senso la scenata che Rise aveva fatto poco prima.
Eppure… anche lei sentiva che qualcosa era cambiato.
La detective si era resa conto che ogni volta che Tohru le era accanto, lei non riusciva più a ragionare in maniera corretta.
Ma non era colpa dell’uomo.
Era lei che continuava ad aggrapparsi a lui, da quando Satonaka era morta.
Ma se questo era il caso… perché Rise si era accanita in quel modo?
Giusto, Rise. Forse avrebbe dovuto ringraziarla, prima; era venuta lì solo per lei, nonostante fosse molto pericoloso uscire quella sera. Invece la aveva solo ignorata…
Con la coda dell’occhio, la detective lanciò uno sguardo a Kanji.
Il ragazzo era seduto davanti a lei e si stava guardando intorno, esaminando con attenzione l’oscurità che li circondava. Beh, almeno lui poteva ringraziarlo.
«Grazie.» sussurrò, non appena quel pensiero attraversò la sua mente.
Kanji si riscosse, sussultando visivamente.
«D-di cosa?» le chiese, interdetto.
Naoto non si alzò.
Non si voltò nemmeno per guardarlo in volto.
Rimase lì, semi-distesa su quel tavolo, come un burattino a cui avevano tagliato i fili.
«Per aver accompagnato Rise e non averla mandata da sola.– disse, rannicchiandosi maggiormente quando una folata di vento le fece scorrere un brivido lungo la schiena –Se fosse stata da sola sarebbe stato un disastro. L’assassino l’avrebbe sicuramente presa di mira.»
Silenzio.
«Perché “sicuramente”?»
La ragazza si bloccò.
Cosa voleva dire…?
Non c’era un motivo per cui l’aveva detto.
«L’ho usato a caso.»
«Tu non fai mai niente a caso Naoto.»
Quando Kanji disse quelle parole con quella decisione, la ragazza sentì come un fortissimo calore sprigionarsi dal suo petto.
Aveva ragione.
Lei non faceva mai niente a caso.
Allora perché aveva risposto in quel modo…?
«Sai Naoto,– il ragazzo aveva continuato a parlare, le parole che erano un sussurro appena udibile nel fruscio della pioggia –mi vergogno un po’ a dirtelo, ma io ti ho osservato molto. Non fraintendermi, non sono un maniaco o qualcosa del genere; ma tu sei molto amica di Rise e quindi vi ho visto spesso insieme e, allo stesso tempo, lei mi ha parlato molto di te.»
La ragazza non si muoveva.
Continuava ad ascoltare le parole di quello che per lei era praticamente alla stregua di uno sconosciuto, ma che ora comunque stava riuscendo a darle una sicurezza che non sentiva da settimane.
«Tutte le volte che vi ho visto parlare, ho pensato che tu fossi davvero una tipa… tosta, ecco. Sicuramente non una ragazza che va in giro in minigonna e ascolta ciecamente ciò che qualcun altro le ordina di fare.»
Perché sentiva come se avesse ragione?
Perché non riusciva a ribattere?
«Solo che ultimamente sei cambiata; tanto. Non so come vanno le cose con Adachi e so che non sono fatti miei, ma mi sembra strano che tu ancora non abbia esposto una tua teoria su questo caso. Rise è molto preoccupata per te, l’altro giorno è anche venuta a parlarmi, ma non sono riuscito a capire molto visto che non faceva che piangere...»
L’altro giorno…
Che si riferisse a quando avevano litigato sul tetto?
Aspetta.
Avevano litigato? Perché se ne rendeva conto solo in quel momento? Fino ad allora non ci aveva neanche pensato…
«Sono convinto che hai le tue ragioni per comportarti così, solo vorrei vedere Rise sorridere nuovamente. E vedere anche il tuo di sorriso...»
Quando le ultime parole uscirono dalle labbra del ragazzo, Naoto sentì le sue guance arrossire leggermente.
Cosa vorrebbe dire che voleva vedere il suo di sorriso?!
E… perché lei si sentiva così felice per quelle parole?
«Questo sì che è un discorso da maniaco, però.» sussurrò la ragazza, trattenendo una risata.
Perché si sentiva così… tranquilla?
Tohru non era con lei.
Fino ad allora quando l’uomo la lasciava sola, sentiva sempre l’aria iniziare a mancarle...
«E-ehi!– esclamò Kanji e, dal modo in cui balbettava, Naoto capì che doveva essere arrossito –H-ho… ti ho detto all’inizio che non lo sono!»
La ragazza ridacchiò leggermente.
Perché si sentiva così bene quando sentiva la sua voce?
Non era strano?
Erano come due sconosciuti, non ci aveva mai parlato tanto fino ad allora.
Anzi, lo aveva sempre evitato.
Perché lo aveva fatto…? C’era un motivo particolare per cui si era comportata in quel modo?
«Scusami...»
Il ragazzo, che era nuovamente rimasto in silenzio fino a quel momento, sussultò quando la ragazza pronunciò quella parola.
«E-eh? Perché?»
Neanche Naoto sapeva perché lo stesse facendo.
Sentiva solo che non era giusto far finta di niente.
«Ti ho giudicato male.– disse, rimanendo sempre nella solita posizione, senza guardarlo –Ti  ho sempre evitato perché pensavo che fossi solo un teppista, soprattutto dopo averti visto discutere con Tohru. Invece sei una persona per bene. Mi dispiace, non avrei dovuto.»
Quelle parole erano scivolate fuori dalle sue labbra, come se fossero la cosa più normale da dire.
Naoto non ricordava che fosse così facile parlare con le persone.
Perché si era chiusa in quel modo per tutto quel tempo?
«F-Figurati, non è un problema.»
«Invece sì.– continuò lei, rannicchiandosi maggiormente –Mi sarebbe piaciuto diventare tua amica.»
...
Le guance le andarono a fuoco, quando si rese conto di ciò che aveva detto.
Ma cosa sta facendo?!
«B-beh...– le parole di Kanji erano un sussurro –Non è mica t-troppo tardi...»
Naoto sentì il suo cuore accelerare, mentre un sorriso si formava sulle sue labbra, dopo tanto tempo.
Perché?
Perché era così felice che quel ragazzo le stesse dando quella possibilità che lei stessa aveva distrutto per tutto quel tempo?
Perché continuava a sentire l’impulso di alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi…?
«T-tornando al discorso di prima,– disse lui, cercando evidentemente di salvare la situazione in calcio d’angolo –c’è qualcosa che non ti convince in questo piano? Sembravi abbastanza seria quando hai detto che Rise sarebbe stata sicuramente presa di mira.»
Naoto deglutì, mentre il sorriso di poco prima svaniva lentamente.
«Tohru ha detto che questo piano era una buona idea.» disse, mentre la voce le si faceva più fievole.
«Mh… io ho chiesto a te. Non a lui.»
Lui voleva la sua opinione…?
«Io...– la ragazza fece un respiro profondo –io penso che sia strano che l’assassino cada in questa trappola tanto assurda, di conseguenza avrebbe rivolto la sua attenzione nei confronti di qualcun altro.– sussurrò, non muovendosi di un millimetro –E se avesse trovato Rise da sola, sarebbe stata la fine.»
E’ vero. Aveva pensato che quel piano era stupido fin dall’inizio.
Perché non lo aveva detto prima allora?
«E perché? A me sembra un buon piano invece.» commentò il ragazzo, incredulo.
Per la prima volta da quando erano lì, la ragazza si tirò su, incrociando il suo sguardo.
«Oh andiamo. Davvero pensi che vestirmi in questo modo– disse, indicando il vestitino attillato che stava indossando –e mettermi come un cartello a led in testa con su scritto “sono una preda facile” possa far cadere in trappola quell’uomo? Non penso che abbia così poco QI se è riuscito a uccidere ben sette persone sotto il nostro naso.»
Fu solo quando Naoto finì di parlare che si rese conto che Kanji non le stava mostrando più quell’espressione neutra che gli aveva sempre visto sul suo volto.
Adesso teneva il gomito sul tavolo e aveva poggiato il mento sulla mano.
E stava sorridendo.
Kanji Tatsumi le stava sorridendo.
La ragazza sentì le guance iniziare ad arrossire, senza capirne realmente la ragione.
«P-Perché mi guardi in quel modo?» domandò, distogliendo lo sguardo.
«Perché questa è la vera Naoto Shirogane. Non quella che si fa mettere i piedi in testa da qualcuno.»
Naoto non sapeva davvero come rispondere di fronte a quel commento.
Come faceva quel ragazzo a conoscerla così bene?
Possibile che l’avesse osservata davvero di nascosto per tutto quel tempo?
La ragazza sentì il suo cuore iniziare a battere con più forza nel suo petto.
Perché?
Perché provava sempre quella strana sensazione quando lo aveva intorno…?
«Questo comunque non ci aiuta.– disse, cercando di cambiare discorso –Anzi, ci complica le cose. Non riusciremo minimamente a capire chi è l’assassino stanotte e lui adesso è lì fuori, chissà dove, a cercare una persona da uccidere.»
Questa volta, Kanji non ebbe niente da ribattere.
Annuì solamente, distogliendo lo sguardo dalla ragazza e iniziando a guardarsi intorno.
Naoto lo aveva notato solo in quel momento, ma il ragazzo doveva averlo fatto spesso in quella mezzora che avevano passato a sedere a quel tavolo.
Nonostante le probabilità che l’assassino li colpisse erano molto basse, infatti, conveniva sempre stare all’erta.
«Non preoccuparti.– gli disse lei, iniziando a battere le dita sul tavolo –Abbiamo un poliziotto di guardia che ci sta osservando. Spara a vista se ce n’è bisogno.»
Kanji si voltò verso di lei, mostrandole uno sguardo leggermente sorpreso.
«Avete sparso poliziotti per tutta la città?»
«Aha.» rispose lei, continuando a tamburellare con le dita.
«E lo avete fatto anche le altre volte?» domandò ancora lui.
«Sì, certo.– rispose Naoto, sorridendogli debolmente –Ogni singola notte di pioggia da quando Satonaka è morta per un mio stupido errore; ma nonostante questo l’assassino ce l’ha sempre fatta sotto il naso. Capisci perché penso che sia impossibile che cada in questa pagliacciata?»
Da quanto è che non parlava così tanto?
La gola iniziava a farle quasi male.
Fu solo in quel momento che Naoto si rese conto che, da quando Satonaka era morta, aveva praticamente smesso di parlare.
Le parole erano come se le si fossero bloccate in gola fino a quel momento, nonostante Tohru avesse provato più volte a portare avanti delle conversazioni con lei.
Alla fine era evidentemente arrivata ad un punto tale da non volere neanche più pensare e si era affidata completamente al suo fidanzato.
Ma allora perché…?
Perché quel ragazzo era in grado di tirarle fuori tutte quelle parole che fino a poche ore prima le rimanevano bloccate in fondo alla gola?
«Certo però che deve avere un’auto davvero comune.»
Quando Kanji parlò, Naoto si riscosse dai suoi pensieri (oddio, quanto tempo era passato dall’ultima volte che le era successo?) e si voltò nuovamente verso di lui.
Non sapeva perché, ma quell’affermazione aveva come acceso una lampadina all’interno del suo cervello.
«Cosa?» domandò, mentre sentiva quel suo sesto senso che lei aveva segregato per settimane iniziare a tornare a scorrere in lei.
Il ragazzo arrossì, distogliendo lo sguardo.
«S-stavo solo pensando ad alta voce.» balbettò, a disagio.
«Kanji.– il ragazzo avvampò quando lei lo chiamò per nome –Ho bisogno che tu mi ripeta cosa hai appena detto.»
Lui si voltò a guardarla.
«Ho solo detto che deve avere una macchina molto comune.– ripetè, ancora rosso in viso –Cioè, è strano che con tutti i poliziotti che ci sono a giro la sua auto passi così inosserv-»
Il ragazzo sussultò quando Naoto si alzò in piedi e sbatté con forza le mani sul tavolo.
Gli ingranaggi nel suo cervello, che erano stati fermi fino a quel momento, ricominciarono a funzionare.
Come poteva essere stata così idiota?!
Aveva avuto la risposta davanti agli occhi fino a quel momento! 
Una persona che avrebbe potuto usare un mezzo senza essere ritenuta sospetta.
Una una persona di cui delle donne e ragazze si sarebbero potute fidare, nonostante i casi di omicidio che continuavano ad aumentare ogni volta che pioveva.
E persona che avrebbe potuto conoscere i piani della polizia.
Dannazione.
Il nemico era stato tra di loro per tutto quel tempo.
«E-ehm… N-Naoto?»
Naoto afferrò il cellulare, ignorando il ragazzo che adesso la guardava con occhi spaesati, pronta a chiamare Dojima, ma si fermò.
Cosa la rassicurava che non fosse proprio lui l'assassino? Cosa poteva garantirle che una volta chiamato l'uomo, lui non le avrebbe tagliato la gola?
Non poteva condividere con nessuno questa teoria.
Non era consigliabile neanche chiamare Tohru. Se il suo telefono fosse stato in qualche modo hackerato avrebbero potuto ascoltare la conversazione.
Doveva escogitare un piano...
«Naoto stai bene…?»
Gli occhi della ragazza si posarono immediatamente sul ragazzo di fronte a lei.
Fu in quel momento che il sangue le si gelò completamente nelle vene.
Rise.
Rise era stata portata in centrale da Tohru.
Lui l’avrebbe sicuramente lasciata lì, da sola, pensando che lei fosse al sicuro.
Ma se l’assassino poteva essere qualunque poliziotto...
«Kanji.– disse, tornando a sedere al suo posto e avvicinandosi a lui –Ora ascoltami, ho bisogno che tu faccia una cosa per me.»
Kanji la guardò interdetto, come se non comprendesse a pieno ciò che la ragazza gli stesse dicendo.
Ma Naoto non aveva tempo per pensarci.
Doveva muoversi in fretta e, forse, questa volta avrebbe catturato l’assassino e salvato Rise.
No. L’avrebbe catturato di sicuro.
Quanto era vero che il suo nome era Naoto Shirogane.
 
«Quindi… cosa è che dobbiamo fare?»
Naoto si passò una mano sul volto, esasperata.
Non sapeva quante volte aveva spiegato il piano.
Sicuramente troppe per contarle.
La ragazza indicò la mappa che aveva steso sul tavolo. Gliel’aveva data Tohru quando erano usciti di casa quella sera, per far sì che lei potesse osservare i luoghi coperti dalla polizia e non andare in luoghi troppo pericolosi.
«Come ti ho già detto,– iniziò la detective, indicando una delle x disegnate sulla mappa –Questi sono i punti in cui sono nascosti i poliziotti. Noi dobbiamo riuscire a raggiungere il telefono pubblico più vicino, quello all’entrata del distretto commerciale, e da lì dobbiamo avvertire Tohru.»
Kanji si grattò la testa, confuso.
«So che forse lo hai già detto, ma perché non usiamo un cellulare?»
«Perché il mio potrebbe essere controllato dalla polizia e il tuo da quel che mi hai detto è scarico.»
«Sì, ma non potremmo chiedere al poliziotto che ci sta sorvegliando?»
«Il nostro obiettivo è proprio quello di non farci trovare da nessun poliziotto.»
Il ragazzo non sembrava molto convinto.
«Ok, ma noi dove è che siamo?»
Naoto avrebbe voluto sbattere la testa contro il tavolo.
«Ascolta.– disse, maledicendo se stessa per aver tentato di spiegargli tutto fino a quel momento –Non abbiamo tempo per queste cose. Tu seguimi e basta, ok?»
Kanji sembrava avere anche altre domande da farle ma, dopo aver visto lo sguardo con cui la detective lo stava osservando, decise di tacere.
Naoto dette un’ultima occhiata alla mappa, per poi ripiegarla e nasconderla nuovamente nella cintura del vestito.
Poi, salì sul tavolo di legno.
Kanji avvampò, quando lei si sedette esattamente davanti a lui.
«C-che stai facend-»
«Su, attaccami.» disse lei, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Il ragazzo cercò un punto in cui guardare senza che sentisse ogni centimetro del suo corpo impazzire completamente e, non trovandolo, distolse lo sguardo.
«N-non capisco c-cosa tu stia facendo.»
Naoto non ne poteva più.
Ma almeno l’aveva ascoltata?
«Kanji,– spiegò, cercando di mantenere la voce calma –abbiamo un poliziotto vicino a noi al momento. Non sappiamo se è lui l’assassino e, allo stesso tempo, non possiamo lasciarlo parlare con i suoi colleghi. Di conseguenza non possiamo andarcene come se niente fosse. Dobbiamo metterlo k.o.»
Il ragazzo annuì.
Bene, la stava ascoltando.
«E-e quindi…?»
«Quindi ora faremo finta che tu voglia farmi del male e lui sarà costretto a intervenire.– continuò la ragazza, tenendo la voce bassa –La mia pistola nascosta nella cintura, afferrala e puntamela alla testa. Non preoccuparti, ho la sicura attivata. Poi urla al poliziotto di mettere giù la pistola e qualsiasi ricevitore abbia e di avvicinarsi lentamente per essere perquisito e essere sicuri non abbia qualcosa con lui e manda me a controllare.»
Kanji stette in silenzio, le guance in fiamme.
«Kanji, dobbiamo salvare Rise.– Naoto non sapeva più come fare a convincerlo –Per favore, iniziamo questa recit-»
Non riuscì neanche a finire la frase che un gridolino uscì dalle sue labbra quando il ragazzo la afferrò per le spalle e la fece sdraiare di colpo sul tavolo, dominandola.
Certo che avrebbe potuto avvertire.
Però, quando la ragazza sentì il poliziotto avvicinarsi, capì che quell’urlo che aveva appena lanciato era stato la mossa migliore che poteva fare per attirare la sua attenzione.
«Mani in alto!» urlò l’uomo, puntando la pistola.
Naoto rimase quasi stupita dalla forza e dalla velocità con cui Kanji la tirò su, le mise un braccio intorno alla gola e afferrò la sua pistola, puntandola alla sua testa.
Era bravo.
E forte.
Tanto forte.
«Metta giù la pistola o la ammazzo.»
La voce con cui aveva detto quelle parole era davvero terrificante.
Naoto portò le sue mani al braccio che la teneva bloccata al petto del ragazzo, per far finta di stare cercando di liberarsi e non riuscirci.
Non che dovesse fingere più di tanto.
Le sarebbe stato sicuramente impossibile liberarsi davvero da una stretta del genere.
L’uomo guardò verso di lei, come se aspettasse un suo ordine.
«F-fa come dice.» disse la ragazza, utilizzando la voce più spaventata che riuscisse.
Il poliziotto iniziò ad abbassarsi.
«Lentamente.» aggiunse Kanji, la stessa voce di prima.
Cavolo se era bravo.
Naoto poteva sentire il battito del suo cuore aumentare, mentre il ragazzo la stringeva di più contro il suo petto.
Si vergognava ad ammetterlo, ma sentire tutti quei muscoli a contatto con la sua schiena non era una sensazione per niente sgradevole. Anzi.
Senza contare quel braccio così forte che la stava tenendo-
«Metta giù anche il cellulare e la ricetrasmittente. Se chiama qualcuno uccido entrambi.»
Giusto, il piano.
Doveva pensare al piano.
L’uomo fece come richiesto, tremando leggermente.
«Ora si avvicini. Mani dietro la testa.» ordinò il ragazzo, con una voce ancora più minacciosa di prima.
Evidentemente ci stava prendendo gusto.
Quando l’uomo fu sotto il gazebo, Kanji lasciò andare Naoto, spingendola verso di lui.
La ragazza si voltò verso il “rapitore”.
«Perquisiscilo.– disse, puntandole la pistola contro e, nonostante la ragazza sapesse che fosse tutta una recita, non poté trattenere un brivido quando notò lo sguardo serio con cui la stava guardando –Un solo giochetto che non mi piace e ti faccio saltare la testa.»
La detective annuì, avvicinandosi al suo collega.
L’uomo era rimasto fermo, le mani sempre bloccate dietro la testa.
«Mi dispiace, Shirogane.– disse, abbassando lo sguardo –Non pensavo che potesse essere lui l’assassino.»
Naoto si sentì quasi in colpa di fronte a quel tono.
Il poliziotto doveva essere davvero spaventato e preoccupato per lei…
Ma non poteva farci niente.
Era per una buona causa.
«Dispiace anche a me.» rispose, mentre iniziava a “perquisirlo”.
«Sta tranquilla.– sussurrò lui, quando lei si avvicinò di più –Stanno arrivando i rinforzi.»
Cazzo.
Senza neanche ragionare più, Naoto colpì con forza il poliziotto dietro al collo.
L’uomo cadde in avanti e la ragazza lo afferrò, facendolo poi sedere sulla panchina del tavolo da picnic.
«Beh sono stato bravo, no?» 
La ragazza si voltò verso Kanji, riprendendo la sua pistola e afferrando il ragazzo per la mano.
«C-cosa?»
«Dobbiamo correre, ha chiamato gli altri prima di consegnare tutto quanto.– disse la ragazza, uscendo da sotto il gazebo e iniziando a correre sotto la pioggia, trascinando il ragazzo –Seguimi e non fiatare!»
Poi, i due scomparvero nel buio del sentiero, pochi secondi prima che le volanti della polizia si fermassero lì vicino.
 
Naoto non aveva idea di come fossero riusciti ad arrivare fino a lì.
La fortuna doveva necessariamente girare dalla loro parte.
La ragazza afferrò la cornetta del telefono pubblico, componendo velocemente il numero di Tohru.
«Naoto, fa veloce.»
Kanji era dietro di lei e continuava a guardarsi intorno, per individuare l’arrivo di qualsiasi poliziotto che avrebbe potuto trovarli.
Certo che avrebbe fatto alla svelta.
Non erano proprio nelle condizioni di perdere tempo visto che ora tutti credevano che Kanji fosse l’assassino e lei la prossima vittima. Se fossero stati catturati avrebbe dovuto spiegare tutto quanto, rischiando così di mettere davvero in pericolo Rise…
La ragazza ascoltò gli squilli del telefono.
Poteva sentire il suo intero corpo tremare dal freddo e Naoto dovette stringere la cornetta con due mani pur di non farla scivolare.
“Rispondi, rispondi, rispo-”
«Pronto?»
Quando la voce di Tohru arrivò dall’altro lato del telefono, la ragazza fece un sospiro di sollievo.
«Tohru!– esclamò, stringendo con più forza la cornetta –Ascoltami, ho capito una cosa importante.»
Per un attimo, l’uomo non rispose, come se non l’avesse riconosciuta.
«Naoto?– domandò poi, con un tono di voce che lei non aveva mai sentito prima –Perché stai chiamando da un telefono pubblico? Non ti avevo detto di aspettare sotto il gazebo?»
Per un attimo, la ragazza sentì un senso di colpa invaderla.
Aveva ragione.
Le aveva detto di aspettare sotto il gazebo.
Perché lei si era mossa da lì-
Kanji le posò una mano sulla spalla, facendola sussultare.
«Dobbiamo fare veloce.»
Giusto. Non aveva tempo da perdere.
«Tohru ascolta, non è il momento di parlare di questo adesso.– Naoto aveva riacquistato la fiducia che pochi secondi prima aveva perso –Ci sono arrivata. L’assassino è tra di noi, Tohru. È tra i poliziotti.»
L’uomo non rispose nuovamente.
Era come se stesse cercando di valutare la situazione.
«Lo so anche io Naoto.– disse poi, tornando a utilizzare il suo solito tono di sempre –Per questo avevo ideato questo piano stasera.»
Lo aveva capito…?
E allora perché non gliel’aveva detto…?
«Dov’è Rise?» chiese la ragazza, stringendo con più forza la cornetta.
C’era qualcosa che non le tornava.
«L’ho nascosta in un luogo sicuro, dove l’assassino non può trovarla.– disse l’uomo, con tranquillità –Non l’ho portata in centrale se è questo che ti preoccupava. Ora, per favore, torna al ga-»
«Dimmi dov’è.»
Qualcosa non andava.
Nonostante sapesse che Tohru aveva ragione e doveva tornare al gazebo, la ragazza non riusciva più a reprimere la vocina nella sua testa che le urlava di andare dalla sua amica.
L’uomo non rispose.
Per un attimo, Naoto ebbe quasi paura che avesse riagganciato.
«Va bene, va bene.– disse poi, ridacchiando –Se ci tieni tanto ad andare da lei vai, magari riesci a tranquillizzarla visto era abbastanza spaventata di restare lì da sola. È nel capanno in cima alla collina; quella dalla quale si vedono i fuochi d’artificio, presente?»
Sì.
Naoto sapeva qual era.
«Grazie Tohru.– disse –Ci vediamo più tardi.»
«A più tardi Naoto.»
L’uomo riattaccò.
«Allora? Dov’è Rise?»
Kanji le pose quella domanda non appena la ragazza mise la cornetta al suo posto.
«Fortunatamente non è in centrale. È nel capanno sulla collina.»
Nonostante avesse detto “fortunatamente”, Naoto non era poi così sicura che fosse il termine esatto da usare.
Qualcosa continuava a dirle che Rise era in pericolo.
In grave pericolo.
E che se voleva aiutarla avrebbe dovuto sbrigarsi.
«Ok ma,– la ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena quando Kanji stava per porle l’ennesima domanda quella sera –come ci arriviamo?»
Cavolo.
Aveva ragione.
Ci avrebbero messo almeno tre ore ad andare a piedi e, sotto quella pioggia, non era poi così consigliabile.
«Hai una moto, Kanji?» domandò lei, speranzosa.
Quale razza di teppista non avrebbe una moto dopotutto?
Il ragazzo arrossì leggermente.
«Sono troppo piccolo per averla.– rispose, grattandosi la testa –Ho solo quindici anni.»
Era più piccolo di lei?!
«Questo può essere un problema.– commentò la ragazza, passandosi una mano tra i capelli bagnati –Neanche io la ho, nonostante abbia sedici anni. L’unica cosa che so guidare è una bicicletta.»
Gli occhi di Kanji si illuminarono.
«Quella la ho.»
 
Non poteva stare succedendo davvero.
Naoto si trovava attaccata alla schiena di Kanji, che, pedalando ad una velocità quasi inumana, stava risalendo velocemente la collina.
«N-Non puoi andare un po’ più piano?!» gli chiese, stringendolo con più forza.
Era quasi impossibile tenere l’equilibrio in quelle condizioni.
Oltre alla pendenza estrema della collina si aggiungeva anche la pioggia che li aveva completamente inzuppati e rendeva ogni appiglio che Naoto trovava terribilmente scivoloso.
«Se vado più piano cadiamo di sicuro.– le rispose il ragazzo, lasciando il manubrio con una mano e afferrandole il braccio e spingendolo di più contro il suo petto –Stringi di più.»
Come se fosse facile.
La detective si aggrappò con più forza a Kanji che, senza battere ciglio, continuava a pedalare verso la cima della collina.
Quando il ragazzo aveva proposto di usare la sua bicicletta, Naoto aveva davvero creduto che fosse completamente impazzito.
Ora invece, mentre stavano raggiungendo la cima ad una velocità che neanche nei suoi sogni si sarebbe immaginata, pensava che fosse pazzo fin dall’inizio.
Una folata di vento la prese in pieno e la ragazza si rannicchiò maggiormente contro la schiena di lui, attratta dal calore che Kanji emanava nonostante i vestiti fradici.
Si sarebbero sicuramente ammalati entrambi, con tutta l’acqua che avevano preso quella sera.
Ma alla detective quello non importava.
L’unica cosa che le interessava al momento era trovare Rise e tenerla al sicuro.
Sperava con tutta se stessa che l’assassino non l’avesse trovata fino a quel momento, che non avesse in realtà idea di dove potesse trovarsi.
In lontananza, poteva sentire le sirene della polizia che continuavano a suonare.
La stavano cercando per tutta Inaba.
Forse, questo avrebbe reso le cose più difficili anche all’uomo.
Quando arrivò nello spiazzo poco sotto la cima, Kanji si fermò, accostando con la bicicletta alla ringhiera di legno.
Naoto scese immediatamente dalla bici, voltandosi verso il ragazzo.
«Non posso andare oltre con la bici, lì il terreno è troppo fangoso. Tu va da Rise, Naoto.– le disse, sorridendole leggermente –Io nascondo questa e controllo che nessuno sbirro ci abbia seguiti. Se succede qualcosa, urla.»
La ragazza annuì.
«Kanji, ti ringrazio.»
«Hm?»
«Nessuno ha mai fatto tanto per una mia teoria.– spiegò lei, le guance che le si tingevano di rosso –Fino ad ora nessuno le ha quasi mai prese sul serio, soprattutto dopo che scoprivano che ero una ragazza.»
Kanji le sorrise, posandole una mano sulla testa.
«Io mi fido di te, Naoto.– rispose, accarezzandole i capelli –Sono sicuro che troverai l’assassino. Adesso va.»
La ragazza sorrise, mentre sentiva un forte calore sprigionarsi dal suo petto.
Non sapeva perché si sentiva così.
Era completamente irrazionale che provasse quelle sensazioni in quel momento.
Nonostante avesse passato più di un mese con la sua anima gemella, non si era mai sentita così capita e apprezzata come invece si era sentita quella sera.
Certo, non sempre Kanji capiva le istruzioni alla prima volta che gli venivano spiegate (anzi, quasi mai), ma non per questo lei non aveva notato come lui l’ascoltasse e cercasse di capirla.
Si era sentita bene.
Libera, dopo tanto tempo.
E sperava che si sarebbe sentita così anche in futuro.
Dopo aver lanciato un ultimo sguardo al ragazzo, Naoto iniziò a correre verso il capanno, ben visibile dalla posizione in cui si trovava.
Il terreno era completamente fangoso e i tacchi che stava indossando non la stavano minimamente agevolando nella sua impresa.
Forse, Tohru non aveva sbagliato completamente a portare Rise in quel luogo.
L’assassino avrebbe dovuto essersi proprio accanito con lei per decidere di arrivare fino a lassù.
Eppure, c’era quel brutto presentimento che continuava a torturarla.
Dopo qualche minuto, Naoto era riuscita finalmente ad arrivare di fronte al capanno.
Riprese fiato, aprendo lentamente la porta e entrando all’interno.
«Rise?»
Nessuna risposta.
La ragazza chiuse la porta alle sue spalle, iniziando a camminare nel buio.
Gli unici rumore che riusciva a sentire erano i suoi passi, il suo respiro e il battito del suo cuore, che andava sempre più veloce, mano mano che continuava a camminare.
«Rise?» chiamò nuovamente, cercando di vedere qualcosa nel buio.
Era strano che la sua amica non le rispondesse.
Naoto non sapeva quante stanze ci fossero in quel capanno, ma non sembrava così grande da poterne contenere poi chissà quante.
Una luce.
Doveva trovare una luce.
La detective iniziò a tastare il muro, cercando quello che poteva essere un interruttore.
L’ansia stava prendendo quasi il sopravvento.
Perché Rise non le rispondeva?
Che se ne fosse andata?
Che avesse lasciato quel posto?
Oppure… l’assassino era lì con lei?
I movimenti di Naoto si bloccarono, quando quel pensiero le sfiorò la mente.
La ragazza drizzò le orecchie, pronta a captare qualunque suono potesse indicarle che c’era qualcuno.
E fu in quel momento che sentì un singhiozzo strozzato provenire da dietro di lei.
«Rise?!»
La ragazza si voltò, cercando di individuare la sua amica nel buio.
«Rise dimmi dove sei.»
«N-N...N-Na...»
La detective riprese a tastare il muro, in cerca di un benedetto interruttore.
Stava faticando a parlare.
Ma poteva sentirla, lei era lì.
La sua mano finalmente trovò quello che stava cercando e Naoto accese la luce, voltandosi poi di scatto.
Il sangue le si gelò nelle vene.
Rise era lì, a terra, sdraiata su quel gelido e bagnato pavimento di legno.
«Rise!»
La detective si precipitò al suo fianco, buttandosi in ginocchio con una tale forza da sentire male alle ginocchia.
Fu in quel momento che si rese conto che la sua amica non aveva niente addosso.
Tutti i suoi vestiti erano stati gettati poco lontano.
La sua pelle pallida era ricoperta di lividi e escoriazioni.
Naoto si tolse immediatamente il giubbotto zuppo, coprendo la sua amica.
«Rise, cosa è successo?!»
La detective poteva sentire tutto il suo corpo tremare.
Era arrivata tardi.
L’assassino aveva già…
«S-sc...»
Naoto stava andando completamente nel panico.
Sollevò delicatamente il corpo della ragazza da terra.
Era come un peso morto.
«S-sca...»
«Rise non sforzarti. Non parlare.»
La ragazza alzò lo sguardo, osservando la distanza che la separava dall’uscita del capanno.
Doveva assolutamente portarla via di lì.
Non sapeva perché l’assassino avesse lasciato quel luogo prima di ucciderla, ma non aveva il tempo per pensarci.
Doveva prendere Rise, chiamare un’ambulanza e andarsene.
Fu in quel momento che sentì la mano tremante della sua amica posarsi sul sul petto, stringendole il vestito.
La detective si voltò verso di lei.
«S-scappa...»
La porta del capanno si aprì, facendola sussultare.
L’assassino.
L’assassino era tornato.
Con uno scatto, Naoto afferrò la pistola con la mano sinistra e, sostenendo Rise con il braccio destro, si voltò verso l’entrata puntando l’arma che aveva verso l’uomo.
Un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra.
«Tohru!» esclamò.
Tohru era appena entrato nel capanno e le stava osservando.
La detective abbassò la pistola.
Erano salve.
Erano salve!
«Dobbiamo assolutamente chiamare un’ambulanza, Rise è gravemente ferit-»
«Sei arrivata prima del previsto, Naoto.»
Tohru le lanciò uno sguardo annoiato.
Naoto sentì un fortissimo brivido correrle lungo la schiena.
«Cosa intendi dire…?» sussurrò, mentre il suo corpo iniziare a tremare.
Solo in quel momento si rese conto che l’uomo teneva una corda nella mano destra e un bastone nella sinistra.
«Esattamente quello che ho detto.– rispose lui con un tono che la ragazza non aveva mai sentito prima e mentre un sorrisetto si formava sul suo volto –Volevo farti trovare la tua amichetta appesa all’albero qua fuori. Non pensavo che facessi così in fretta.»
No.
No no no no!
Doveva essere un incubo.
Tohru non poteva…
«E poi, portarsi dietro quel Tatsumi… volevi tradirmi per caso, Naoto?»
L’uomo lasciò cadere il bastone al suolo.
Solo in quel momento la ragazza si accorse che era macchiato di sangue.
Poteva sentire Rise singhiozzare contro il suo petto, mentre cercava ancora di dirle di scappare.
«C-cosa stai dicendo, Tohru…?»
Non doveva piangere.
Sapeva che mettersi a piangere avrebbe solo peggiorato le cose.
«Sei così dura di comprendonio, Naoto?– disse, facendo un passo avanti –Perché non chiedi a Kujikawa? Sai, prima abbiamo avuto una bella chiacchierata.»
Quando Tohru la nominò, Rise strinse con più forza il vestito di Naoto, continuando a singhiozzare.
La detective era completamente nel pallone.
Sapeva di dover chiamare aiuto, di dover scappare con Rise, ma non aveva la forza di muoversi.
Poteva solo osservare l’uomo che si avvicinava.
«Sai Naoto, io neanche me la volevo fare quella lì.– continuò, indicando Rise con la testa –Ma tu mi hai disubbidito, e quindi dovevo sfogare la mia rabbia con qualcuno. Sbaglio o ti avevo detto di aspettarmi sotto al gazebo?»
Naoto poteva sentire l’aria mancarle.
Era colpa sua se Rise era in quelle condizioni.
Era stata lei a metterla in pericolo…
«La stessa cosa vale per Satonaka, sai?– Tohru era ormai a pochi passi da lei –Quella sera dovevi essere tu la fortunata, Naoto. Ma sei scappata proprio sul più bello.»
La tazza di cioccolata di quella sera le tornò alla mente.
Un fortissimo brivido le corse lungo la schiena quando capì che l’uomo aveva tentato di drogarla.
«T-Tohru, per favore,– la voce della ragazza era flebile –smettila di scherzare.»
L’uomo scoppiò a ridere.
«Ti pare che io stia scherzando, Naoto?»
Naoto aveva paura.
Aveva tanta paura.
«Non sai quanto è stato divertente vederti perdere il controllo, ogni volta che un’altra vittima veniva uccisa sotto il tuo naso.»
La stava terrorizzando.
La ragazza poteva sentire tutto il suo corpo tremare.
«Oh, ma non preoccuparti. Stavolta farò in modo che tu veda tutto quanto. Taglierò la gola alla tua amichetta proprio davanti ai tuoi occhi.»
Quando l’uomo fece un altro passo, la detective alzò nuovamente la pistola, puntandola contro di lui.
«Oh, vuoi spararmi Naoto?»
Tohru si era fermato e adesso la stava guardando divertito.
La ragazza non rispose.
«Fallo, ti sfido.»
Doveva sparare.
Doveva salvare Rise.
Ma allora perché non riusciva a premere il grilletto?
«Cosa aspetti? Te lo devo ordinare io? Come ho fatto per tutto questo tempo?»
La mano iniziò a tremarle con più forza, mentre la prima lacrima usciva dai suoi occhi.
«Sai è stato così divertente.– l’uomo aveva ripreso a camminare verso di lei –Bastava schioccare le dita e tu eri subito al mio servizio. Chi avrebbe mai pensato che bastava così poco per controllare la grande Naoto Shirogane, vero?»
Il suo campo visivo si era fatto appannato, mentre le lacrime avevano ormai iniziato a rigarle le guance.
Tohru la afferrò dal braccio con cui teneva la pistola, tirandola su, in piedi, e facendole perdere la presa su Rise.
«E adesso neanche lotti per la tua vita, sei patetica. Chi mai vorrebbe un’anima gemella come te?»
La pistola le cadde sul pavimento.
Era finita.
Non poteva continuare così.
«L-Lasc… l-lascial...»
Naoto vide che la sua amica, nuovamente distesa sul pavimento, cercava di alzarsi.
«Tu devi stare zitta.»
Tohru la colpi con forza con un calcio allo stomaco e Rise lasciò andare un rantolo, rannicchiandosi nuovamente a terra.
«No!»
La detective provò a colpire l’uomo, ma si ritrovò contro il pavimento, la mano di lui attorno al collo.
«Non essere gelosa,– le disse, tenendola bloccata a terra –ora penso a te.»
Perché?
Perché lui le stava facendo questo?
Perché l’uomo che le aveva detto di amarla le stava facendo del male?
Tohru continuò a tenerla ferma, con la mano intorno al suo collo.
«Facciamo vedere alla tua amica che non deve intromettersi nei fatti nostri, Naoto.– le disse, mettendo una gamba tra le sue e costringendola ad aprirle –Facciamole vedere quanto ti piace.»
Naoto portò le mani al collo, cercando di liberarsi da quella presa che la stava uccidendo.
Non riusciva a respirare.
Aveva la gola completamente bloccata.
Tohru continuava a guardarla, dominandola completamente.
La detective non poteva far altro che tentare di liberarsi, mentre l’uomo le strappava il sopra del vestito con una forza che Naoto non pensava potesse avere.
Non poteva crederci.
Non poteva credere che la sua anima gemella, l’uomo che lei amava, le stesse facendo questo.
Non poteva credere di essere stata così tanto stupida da non rendersi conto di quanto Tohru fosse pazzo.
L’aveva usata fino a quel momento e lei, come una stupida, era caduta in trappola.
E questo solo perché chissà quale dio, lassù, aveva scelto che loro due dovevano stare insieme.
La detective chiuse gli occhi, mentre Tohru continuava a stringerle con forza il collo e, con l’altra mano, le apriva il reggiseno.
Era finita.
Nessuno avrebbe potuto salvarl-
Un colpo secco, seguito da un lamento, le arrivò alle orecchie.
Il peso che aveva sopra di lei si tolse di colpo e la ragazza sentì l’aria tornare finalmente nei suoi polmoni.
Si portò una mano alla gola, rendendosi conto che quella dell’uomo non c’era più…
«Naoto, prendi Rise e scappa!»
La ragazza si voltò verso il punto da cui veniva la voce.
«K-Kanji...»
Alla sua destra, a pochi centimetri da lei, Kanji aveva atterrato Tohru e cercava di tenerlo fermo, mentre l’uomo, sotto di lui, cercava di liberarsi.
«Scappa!»
La detective non se lo fece ripetere due volte.
Si alzò, correndo verso la sua amica e caricandola come poteva in spalla, mentre afferrava la sua pistola, rimasta sul pavimento.
Nel frattempo poteva sentire i due lottare dietro di lei, anche se non aveva il coraggio di scoprire chi stesse avendo la meglio.
Doveva correre.
Doveva correre fuori da lì e chiamare Dojima.
«Naoto, attenta!»
La detective si abbassò di colpo e un proiettile passò esattamente sopra di lei, nel punto in cui poco prima c’era la sua testa.
Giusto.
Anche Tohru aveva una pistola.
Un altro colpo esplose, ma Kanji dovette riuscire a deviarlo perché questa volta Naoto fu solo colpita di striscio alla gamba.
«Metti giù quella cosa!»
La detective sentì il ragazzo urlare quelle parole e un rumore metallico arrivò dalle sue spalle, come se la pistola fosse caduta al suolo.
Ma non aveva tempo di voltarsi.
Era finalmente arrivata alla porta del capanno e ora stava correndo all’esterno, mentre la pioggia di poco prima tornava a bagnarle ciò che rimaneva dei suoi vestiti.
Naoto continuò a correre, stando attenta a non lasciare andare Rise che, rannicchiata contro la sua schiena, continuava a piangere e a tremare per il freddo che doveva starle congelando le ossa.
«K...K-Ka...K-Kanji...»
Il cuore della detective perse un colpo quando sentì la sua amica chiamare quel nome.
Era come se la stesse implorando di non lasciarlo lì, di tornare dentro, di aiutarlo contro Tohru.
«D-dobbiamo chiamare la polizia, Rise.– le disse Naoto, continuando a scendere lungo il pendio fangoso, stando attenta a non cadere –Non possiamo fare niente da sole. Kanji starà bene, te lo prometto.»
Non era minimamente sicura di quello che aveva appena detto.
Ma non poteva fare altro, doveva assolutamente chiamare Dojima e chiedergli aiuto.
La ragazza si maledì di non aver chiamato subito quell’uomo che era da sempre stato così tanto gentile e che lei non aveva avvertito per paura che fosse l’assassino…
No, non doveva pensarci in quel momento.
Sapeva che sulla collina non c’era campo, non c’era mai stato, e inoltre non aveva neanche idea di dove avesse lasciato il suo cellulare in quel momento.
Doveva assolutamente raggiungere il telefono pubblico che si trovava nello spiazzo dove si era lasciata con Kanji, pochi minuti prima-
Fu in quel momento che il tacco della sua scarpa si ruppe e Naoto scivolò, cadendo in avanti.
«Rise!»
Con uno scatto felino, afferrò il braccio di Rise e portò la ragazza davanti a sé, stringendola tra le sue braccia mentre lei cadeva al suolo.
Sentì la sua amica lasciare andare un gridolino strozzato quando le due toccarono terra e iniziarono a rotolare nel fango.
Naoto continuava a tenere stretta la sua amica, cercando di farle prendere meno colpi possibili, mentre lei sentiva ogni centimetro del suo corpo iniziare a farle male.
Rotolarono giù dal pendio, sbattendo ogni parte del loro corpo contro il suolo e i ciottoli che formavano il sentiero.
Quando finalmente si fermarono, la detective si rese conto che oramai si trovava nello spiazzo prima della cima della collina, il luogo in cui sarebbe dovuta arrivare.
Aprì le braccia, per controllare se Rise stesse bene.
«R-Rise, stai bene?!»
La sua amica non rispose.
«R-Rise…?»
Naoto sentì il sangue gelarsi nelle vene quando notò che la mano con cui le stava parando la testa era sporca di sangue.
Doveva assolutamente chiamare aiuto.
La detective strinse Rise a sé e si alzò, ignorando il dolore lancinante che le lanciavano le sue gambe e la sua schiena.
Il telefono era lì, poco lontano.
Doveva solo raggiungerlo e tutto sarebbe finito.
Naoto iniziò a camminare, incurante della pioggia che si era fatta più pesante su di lei e che stava quasi cercando di schiacciarla al suolo.
Quando sentì uno sparo in lontananza, la ragazza aumentò il passo.
Non poteva permettere che Tohru uccidesse Kanji.
Non poteva lasciare che quello accadesse…
Arrivò finalmente alla cabina e vi entrò, poggiando Rise a terra.
La ragazza afferrò la cornetta, digitando velocemente il numero del suo superiore.
«Pronto?»
Quando la voce di Dojima le arrivò dall’altro capo della linea, le gambe di Naoto cedettero e lei cadde al suolo.
«D-Dojima.»
«Shirogane! Sei ferita?! Mi hanno detto che Tatsumi-» la voce dell’uomo era chiaramente preoccupata.
«Tohru. È Tohru l’assassino.»
Quelle parole scivolarono fuori dalle sue labbra e la ragazza sentì tutta l’ansia che aveva accumulato fino a quel momento esplodere dentro di lei.
«Adachi? Cosa stai dicend-»
«L-la prego ci aiuti.– Naoto poteva sentire le lacrime iniziare a riempire nuovamente i suoi occhi, mentre continuava a parlare, non riuscendo a fermarsi –Rise è gravemente ferita, ha anche sbattuto la testa e non risponde. Kanji sta fermando Tohru, ma non so quanto a lungo ci riuscirà e non voglio ch-»
«Arriviamo subito, Shirogane.– la detective poteva sentire l’uomo mettere in moto la sua auto –Dimmi solo dove vi trovate.»
Naoto aprì la bocca, quando una fortissima fitta di dolore la colse completamente alla sprovvista.
Un fortissimo ronzio si propagò nelle sue orecchie e la ragazza lasciò andare la cornetta del telefono, portando le mani ai lati della testa e chiudendo gli occhi.
«Shirogane? Shirogane?!»
Quando la voce di Dojima arrivò dal telefono, la ragazza aprì nuovamente gli occhi e allungò la mano per recuperare la cornetta che ora penzolava nel vuoto.
I suoi movimenti si fermarono e il suo respiro si fece più pesante quando notò che il rosa pallido della sua pelle era adesso grigio.
«Shirogane, cosa sta succedendo?!»
La detective sbatté le palpebre e la scala di grigi, che un secondo prima aveva preso possesso del suo mondo, scomparve nuovamente.
Una strana sensazione la avvolse.
Se i colori stavano per andarsene, voleva dire che Tohru stava-
«Naoto?!»
La ragazza afferrò la cornetta del telefono, riportandola all’orecchio.
«S-Siamo al capanno sulla collina.» disse, mentre la voce le tremava.
«Arrivo.»
Poi, Dojima mise giù.
Naoto lasciò andare la cornetta, rilassandosi completamente contro la parete della cabina.
Afferrò Rise accanto a lei, stringendola a sé e cercando di riscaldarla per quanto fosse possibile.
Poteva sentire la sua amica respirare contro il suo petto.
Era viva.
Doveva solo mantenerla al caldo fino all’arrivo dei soccorsi.
La detective lanciò un ultimo sguardo al capanno, che si trovava poco più su rispetto al luogo in cui erano nascoste loro due.
Se quello che aveva visto poco prima non era un’allucinazione, la sua anima gemella aveva appena ricevuto un colpo al limite del fatale.
Tohru doveva essere ferito gravemente.
Naoto credeva che in una situazione del genere sarebbe corsa immediatamente sul posto, cercando in tutti i modi di salvare la vita all’uomo che amava.
E invece non fu così.
Anzi, poco prima, quando quella scala di grigi era tornata nel suo mondo, le sue lacrime si erano completamente fermate.
 
La polizia arrivò solo cinque minuti dopo.
Naoto non avrebbe mai pensato che ci fosse anche solo la possibilità che lei si potesse trovare un giorno dalla parte delle vittime e non di chi stava indagando.
Dojima era entrato personalmente nella cabina telefonica quando le aveva viste e aveva preso sia lei che Rise in braccio, portandole immediatamente dai paramedici che erano arrivati sul posto.
La sua amica era stata caricata in una delle ambulanze che avevano chiamato ed era stata portata via, all’ospedale più vicino, ma i paramedici avevano comunque rassicurato la detective e i poliziotti, dicendo che la idol non era fortunatamente in pericolo di vita.
Naoto sarebbe voluta andare con lei, stringerle la mano per tutto il tragitto e stare al suo fianco per tutto il tempo, ma, nonostante le proteste di Dojima, aveva deciso che era meglio restare.
Doveva assolutamente vedere come stava Kanji.
Per questo in quel momento si trovava lì, seduta dentro ad una delle macchine che si trovavano dietro al capanno, con la giacca del suo superiore addosso.
Non poteva far altro che osservare le sue gambe, completamente bendate, sbucare da quell’indumento così enorme per lei.
Era strano che ci mettessero tanto in realtà.
Lei era lì da già trenta minuti e i colori intorno a lei erano diventati così instabili che continuavano ad andare e venire, ogni volta che lei sbatteva le palpebre.
Tohru doveva essere ferito.
Gravemente ferito.
Allora perché ci mettevano tutto quel tempo per catturarlo?
Non aveva senso…
Un brivido le corse lungo la schiena.
Qualcosa non andava. C’era decisamente qualcosa che non andava.
Non sapeva perché, ma una fortissima sensazione di angoscia si era trasmessa dentro di lei dal momento in cui Dojima le aveva detto di aspettare lì.
Che Tohru fosse riuscito a ferire Kanji in qualche modo…?
Naoto uscì dall’auto, stringendosi nella giacca del suo superiore quando la pioggia tornò a colpirla.
Le facevano male i piedi. Le facevano incredibilmente male.
Abbassò lo sguardo, osservando come erano stati completamente fasciati dai paramedici e come ora non stesse indossando delle scarpe.
«Shirogane, cosa sta facendo?– un agente di polizia si era avvicinato a lei e l’aveva immediatamente coperta con il suo ombrello –Ha bisogno di qualcosa?»
Naoto scosse la testa.
«Voglio solo sapere cosa sta succedendo. Perché Dojima non ha ancora catturato Tohru?» domandò, alzando lo sguardo.
L’agente la guardò, leggermente a disagio.
«Adachi è comunque un poliziotto, è allenato.– le spiegò, grattandosi la testa –È normale che non si faccia catturare tanto facilmente.»
Sì, aveva ragione.
Era una cosa normale.
Se solo lei non continuasse a vedere i colori che non facevano che cambiare.
«Posso andare da loro?»
Doveva vedere la situazione con i suoi occhi.
Doveva assolutamente riuscire a capire cosa stesse succedendo.
L’agente non sembrava del tutto convinto.
«Potrebbe farsi male.» le disse, cercando di farla ragionare.
Naoto si guardò un attimo.
Tanto oramai, peggio di così.
«Sono la sua anima gemella. Posso provare a calmarlo.– tentò –Devo parlare con lui.»
Sapeva che in realtà non era quello il suo scopo.
L’unico motivo per cui Naoto voleva andare da Tohru, era per capire cosa stesse succedendo, e agire di conseguenza.
L’agente si guardò intorno.
Poi, sbuffò.
«Non sono nessuno per fermarla, Shirogane.– le disse, facendo un passo indietro –Vada pure, ma non dica a Dojima che sono stato io a lasciarla andare.»
Naoto annuì, riprendendo a camminare lungo la parete del capanno per raggiungere l’entrata dall’altro lato.
Fu solo quando era ormai a metà strada, che la ragazza li sentì.
«Adachi, ti ho detto di mettere giù la pistola!»
La voce di Dojima era più alta del solito.
Non l’aveva mai sentito così, come se ci fosse un pericolo imminente.
La detective accelerò il passo, nonostante tutto il suo corpo le lanciasse fitte di dolore.
Svoltò l’angolo e fu in quel momento che vide che il suo superiore si trovava davanti all’entrata del capanno, insieme ad altri agenti.
Tutti puntavano le pistole verso l’interno.
«Io ho detto che lo uccido se pensate di fare qualche gioco strano.»
Naoto sussultò leggermente, quando sentì Tohru pronunciare quelle parole dall’interno del capanno.
I suoi dubbi erano fondati.
Dalla voce non sembrava in pena, né che fosse particolarmente dolorante.
Allora perché la sua visione continuava a cambiare…?
«Libera l’ostaggio. Adesso.»
Dojima continuava ad urlare verso l’interno del capanno.
Un ostaggio?
Chi stava usando come ostaggio?
Come poteva star minacciando qualcuno se doveva essere ferito?
«Ho detto che voglio parlare con quella sgualdrina. Fatemela vedere.»
La detective sentì un brivido lungo la schiena.
Stava parlando di lei…?
Improvvisamente le sue gambe iniziarono a tremare.
Possibile che volesse ancora farle del male? Nonostante i poliziotti avessero ormai circondato il capanno…?
«Shirogane è ferita, la stiamo cur-»
Uno sparo esplose e la visione di Naoto si fece nuovamente grigia per un secondo.
«Adachi!»
«Questa volta l’ho mancato.– disse Tohru, la voce calma come al solito –Ma se non vedo Naoto entro 3 minuti nel punto in cui sei tu, a Tatsumi salta la testa.»
Fu come se una doccia d’acqua fredda la colpisse in pieno.
Kanji.
Kanji era ancora là dentro.
Kanji era l’ostaggio.
Una fortissima sensazione di rabbia la pervase.
Doveva aiutarlo. Doveva fare di tutto per salvarlo.
Le sue gambe iniziarono a muoversi senza che lei potesse farci niente.
«Vai a prenderla Dojim-.»
«Non ce n’è bisogno, sono già qui.»
Dojima si voltò immediatamente verso di lei quando la ragazza pronunciò quelle parole, raggiungendoli e piazzandosi davanti all’entrata del capanno.
«Shirogane!»
«Ecco vedi, Dojima? Lei a differenza tua sa che deve obbedire.»
Naoto non lo stava ascoltando.
Continuava ad esaminare la scena di fronte a lei, cercando di ottenere più informazioni possibili per capire come era meglio agire.
Tohru era in piedi, nel bel mezzo del capanno.
Era ferito, certo; ma niente di così grave in fondo.
Quello messo male era Kanji.
Il ragazzo era seduto contro il muro, aveva il respiro pesante e teneva il braccio intorno allo stomaco, come se fosse stato colpito con forza.
Una pozza di sangue si era espansa da sotto la sua gamba sinistra e la detective notò con orrore che Tohru doveva avergli sparato.
Due volte a giudicare dai due buchi ben visibili dal punto in cui lei si trovava.
Rischiava di morire dissanguato se non si sbrigava.
«Su Naoto, entra.»
Naoto riportò nuovamente lo sguardo all’uomo davanti a lei e vide solo in quel momento che Tohru teneva il braccio teso, la pistola puntata dritta alla testa di Kanji.
«Shirogane, non farlo.» Dojima le sussurrò quelle parole, visibilmente preoccupato.
Ma la ragazza non poteva stare ferma.
Doveva intervenire.
Doveva assolutamente mettere fine a quella storia.
«Naoto,– la voce di Tohru si era fatta più impaziente, il dito sul grilletto si stava muovendo –entra. Adesso.»
«N-Naoto, n-non farlo.»
Questa volta fu Kanji a parlare.
«Sbrigati o lo ammazzo.»
La ragazza si voltò verso Dojima.
«Mi dispiace.» disse, togliendosi la giacca che lui le aveva prestato e restituendola all’uomo.
Poi, sotto lo sguardo terrorizzato del suo supervisore, la ragazza entrò all’interno del capanno.
«Chiudi la porta.» le ordinò Tohru, sorridendo.
Naoto annuì.
In quel mese in cui erano stati insieme, la ragazza aveva notato quanto lui si sentisse appagato quando lei annuiva e basta, senza dire una parola.
Non sapeva perché le era sembrata una cosa normale fino a quel momento.
Non riusciva a spiegarselo.
«N-Naoto, s-scappa, p-per favore.»
Poteva sentire la voce di Kanji provenire dalla sua sinistra, ma la ragazza non si voltò.
Sapeva che, se lo avrebbe fatto, Tohru non avrebbe esitato a sparargli.
«La porta, Naoto. Senza voltarti.»
«Shirogane non farlo!»
La detective ignorò Dojima e portò una mano dietro la schiena, chiudendo la porta alle sue spalle.
Poteva sentire le urla del poliziotto dall’altro lato, ma sapeva che, se gli avrebbe risposto, la situazione avrebbe preso una piega ben peggiore.
«Vedo che sei obbediente come al solito.– le disse l’uomo, sorridendole –Eppure prima sei scappata. Non mi è piaciuto poi così tanto quel tuo comportamento, sai?»
Naoto non disse nulla.
Doveva assolutamente tirare fuori Kanji da quella situazione.
Doveva in tutti i costi salvare quel ragazzo.
«Su, adesso fa la brava e inizia a spogliarti.– le ordinò Tohru –Facciamo vedere a Kanji quanto ci amiamo, ti va?»
Naoto poteva sentire lo sguardo di Kanji posato su di lei.
Era come se cercasse di implorarla di scappare, di non fare niente di quello che l’uomo le stava chiedendo, di salvarsi e lasciarlo lì se necessario.
La ragazza portò una mano alla sua cintura, afferrando la sua pistola.
«Naoto, cosa stai facendo?»
«Mi dispiace, Tohru.»
No, non era vero. Non le dispiaceva affatto. 
Naoto puntò la pistola contro l'uomo di fronte a lei, il braccio fermo, mentre lo osservava con uno sguardo di ghiaccio.
Tohru scoppiò a ridere.
«Oh andiamo, Naoto.– disse, incredulo –Pensi davvero che io ci cada? Non prendermi in giro, sappiamo entrambi che tu non vuoi uccidermi.»
La detective non si mosse.
Era strano.
Era molto strano.
Ma era come se tutto in quel momento avesse riacquistato un senso.
«Perché non dovrei?» rispose lei, continuando a puntare la pistola contro l'uomo.
Tohru scosse la testa, con il suo solito fare teatrale.
«Perché siamo anime gemelle, no?– le disse, alzando le spalle –Vuoi davvero distruggere ciò che il destino ha creato, Naoto?»
Quante volte le aveva detto quella frase durante quel mese?
Tante, troppe per contarle.
Ogni volta che lei vacillava, lui le ricordava quel fatto, come se quello lo autorizzasse a farle fare tutto quello che lui voleva.
«Siamo fatti l'uno per l'altra,– Tohru aveva ancora quel sorriso stampato in volto –lo hai detto tu stessa, ricordi?»
Sì, ricordava; ricordava perfettamente.
E ora si sentiva anche fin troppo stupida per averlo anche solo pensato.
«Dai su, metti giù la pistola e inizia a fare la brava.»
«Scordatelo.»
Quella situazione le sembrava quasi irreale.
Normalmente si sarebbe aspettata di avere paura, di non riuscire neanche a parlare, come era successo solo un’ora prima, in quello stesso capanno.
Invece adesso non provava alcun tipo di terrore.
Non provava neanche rabbia, a dire la verità.
Solo puro odio.
«Ehi.– la voce di Tohru era dura, il sorriso era scomparso dal suo volto –Vedi di non farmi arrabbiare.»
La ragazza incrociò il suo sguardo.
E fu in quel momento che vide gli occhi di Tohr- Adachi spalancarsi.
Come se solo in quel momento avesse capito che lei non gli avrebbe più dato ascolto, che lei non era più il suo pupazzo; che non era più la sua “bambola”, così come aveva detto Rise quella sera.
«Naoto...? Cosa stai...?»
La ragazza ripensò a tutto quello che aveva subito in quel mese.
Ad ogni volta in cui l'aveva costretta a fare qualcosa che lei non voleva.
Ad ogni volta che lei aveva compiaciuto quell’uomo.
Ad ogni fottutissima volta in cui lei aveva nascosto la vera se stessa, in cui aveva rinchiuso il suo istinto da detective in un angolino del suo cervello, in cui si era lasciata comandare da quello sporco assassino.
«Va' al diavolo.» sussurrò, mentre tutte le emozioni che aveva tenuto rinchiuse dentro di lei fino a quel momento esplodevano.
Adachi portò immediatamente il dito al grilletto, pronto ad uccidere il ragazzo.
Ma Naoto si mosse per prima.
L'uomo urlò dal dolore quando il colpo della detective arrivò alla sua spalla, facendogli perdere l'equilibrio.
Sparò anche lui, ma il proiettile non raggiunse Kanji: si conficcò nel pavimento, almeno a 20 cm dalla gamba del ragazzo.
«N-Naoto...»
La voce che Adachi aveva usato in quel momento era un sibilo.
La ragazza  si preparò a esplodere il colpo successivo, puntando stavolta la pistola alla sua testa.
«Questa volta è il tuo braccio.– disse, ripetendo le stesse parole che l'uomo aveva detto poco prima, modificandole leggermente –Ma se non metti giù la pistola entro 3 secondi, la tua testa salta.»
L’uomo la guardò, incredulo.
«Shirogane!»
Quando Dojima entrò nel capanno, urlando il suo nome, Adachi aveva già lasciato cadere l’arma e si era messo in ginocchio.
La ragazza non si voltò verso il suo superiore.
Tenendo sempre la pistola ferma verso il suo obiettivo, corse verso Kanji, inginocchiandosi accanto a lui e abbassando l’arma solo quando vide Dojima e gli altri poliziotti andare a catturare l’uomo che era ormai a terra.
«N-Naoto…»
La sua voce era dolorante.
Doveva star provando dolore.
«Non parlare.– gli disse lei, strappando il bordo inferiore del suo vestito e fasciandogli la gamba come meglio poteva –Adesso andrà tutto bene. È tutto finito.»
Kanji la guardava, preoccupato.
«S-sicura di stare bene?» le chiese, mentre i poliziotti portavano via Adachi e chiamavano i paramedici.
Naoto lo guardò, sentendo una sensazione che mai aveva sentito prima invaderle il petto.
Non era lei quella che era gravemente ferita.
Non era lei quella che aveva rischiato di morire.
Non era lei quella che aveva fatto a pugni e si era presa due proiettili nella gamba.
Eppure lui si preoccupava per lei.
«Sì, sto bene.– rispose, quando notò che lo sguardo del ragazzo si era fatto più preoccupato, vedendo che lei non accennava a rispondere  –Sei tu quello che è messo male adesso, non io. Dobbiamo pensare a te.»
Fortunatamente la ferita che gli era stata inflitta non era mortale e non era neanche poi così tanto grave come le era sembrata alla prima occhiata.
Fu in quel momento che Kanji le mise un braccio intorno alla schiena e la tirò a sé, stringendola contro il suo petto.
Naoto sapeva fin troppo che, normalmente, se quella fosse stata una qualsiasi altra persona, si sarebbe immediatamente staccata da quell’abbraccio.
Ma quella sensazione di sicurezza, che mai aveva provato prima di allora, la travolse, la detective eliminò immediatamente qualsiasi minimo tentativo di resistenza.
Si lasciò abbracciare, mentre sentiva un calore che mai aveva sentito prima invaderla completamente.
Poi, lentamente, portò anche lei le braccia intorno al suo busto, stringendolo con più forza, mentre il suo corpo iniziava a tremare.
Fu in quel momento che lo notò.
Gli occhi di Naoto si spalancarono quando quel piccolo dettaglio, che fino a quel momento le era sfuggito, si faceva così evidente davanti ai suoi occhi. 
Il sangue.
Il colore del sangue che era a terra era adesso molto più vivido di prima, come se stesse brillando.
La ragazza alzò immediatamente lo sguardo, guardandosi intorno.
E rimase senza fiato.
Tutti i colori della stanza erano come se fossero molto più intensi del solito.
Erano così brillanti e luminosi che Naoto pensò che fosse come se in realtà, fino a quel momento, ne avesse visto solo una versione spenta e smorta di quelle stesse sfumature, come se il mondo fosse ancora più bello di come lei lo avesse visto fino ad allora, come se…
...come se stesse venendo i colori per la prima, vera, volta.
E fu in quel momento che tutti i pezzi andarono al suo posto.
Ricordò come i colori continuassero a sparire dalla sua visione e venissero soppiantati da quell’odiosa scala di grigi, nonostante Adachi non fosse ferito.
Ricordò cosa aveva passato quella sera.
Ricordò come Kanji era riuscito a farla sentire viva dopo tanto, troppo tempo.
Ricordò come le sue sole parole fossero state in grado di riattivare il suo cervello, completamente spento a causa di Adachi e il modo in cui quell’uomo la aveva manipolata.
Ricordò il giorno in cui aveva incontrato il ragazzo a scuola, il modo in cui il suo cuore aveva reagito quando aveva incrociato il suo sguardo, ciò che lei aveva provato quando lo aveva visto seduto al banco dietro al suo, a pochi centimetri da sé.
Ricordò l’espressione sconvolta e triste che Rise aveva fatto sul tetto della scuola, mentre osservava la reazione del ragazzo quando lui aveva sentito che lei pensava fosse Adachi la sua anima gemella.
Ricordò il momento in cui lui era uscito dall’ufficio di Adachi e lo sguardo triste che le aveva lanciato, prima di tornare a osservarla con quella sua solita freddezza e inespressività.
Ricordò il suo primo giorno ad Inaba.
Ricordò quando aveva visto lui e Adachi per la strada.
E, soprattutto, ricordò il mondo che si era colorato intorno a lei, quando aveva incrociato il suo sguardo.
Per la prima volta da quando era entrata in quel capanno, Naoto sentì tutta la paura che aveva provato sparire completamente e venire sostituita da una forte sensazione di calma e di tranquillità.
Una prima lacrima le rigò il viso e lei nascose il volto nell’incavo del collo del ragazzo, mentre le sue spalle iniziavano ad essere scosse dai singhiozzi.
Kanji la strinse di più a sé, posandole il mento sulla testa.
E anche dopo l’arrivo dei paramedici loro restarono così, in silenzio, fino a quando Naoto non verso tutte le lacrime accumulate in quell’inferno che era, finalmente, finito.

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